Personaggi azzeccati, una favola e un film su Petrucciani

Mariarosa Mancuso

La rivincita della buona maestra televisione (copyright Aldo Grasso) sul mediocre cinema d'autore. “Polisse” sta per “Police”, scritto come lo sbagliano gli immigrati che con l'ortografia francese se la cavano male. Potrebbe essere una bella serie poliziottesca, protagonista la brigata che si occupa dei minori: ragazzini da mandare al riformatorio, da strappare ai genitori zingari, da sottrarre ai genitori e ai nonni pedofili, da sistemare in case protette perché la madre dorme per strada.

    POLISSE di Maïwenn Le Besco, con Karin Viard, Joey Starr, Emmanuelle Bercot, Nicholas Duvauchelle (concorso)
    La rivincita della buona maestra televisione (copyright Aldo Grasso) sul mediocre cinema d'autore. “Polisse” sta per “Police”, scritto come lo sbagliano gli immigrati che con l'ortografia francese se la cavano male. Potrebbe essere una bella serie poliziottesca, protagonista la brigata che si occupa dei minori: ragazzini da mandare al riformatorio, da strappare ai genitori zingari, da sottrarre ai genitori e ai nonni pedofili, da sistemare in case protette perché la madre dorme per strada. Ottimi i dialoghi e gli interrogatori. E non era facile, data la scabrosa materia e gli agenti che ogni tanto sghignazzano quando non dovrebbero (la casistica è completa, dal nonno finto tonto all'intellettuale che non trova nulla di male nella faccenda, e comunque conosce un sacco di gente importante). Azzeccati i personaggi, tranne l'antipatica fotografa Melissa al seguito della squadra (Riccardo Scamarcio fa la parte del consorte). E' il ruolo da bella statuina che la regista ha voluto per sé, e nessuno ha avuto il coraggio di impedirglielo.

    LE FEÉ di Dominique Abel, Fiona Gordon, Bruno Romy, con Dominique Abel, Fiona Gordon, Bruno Romy (Quinzaine des réalisateurs)
    Favola belga. Con una fata, un giovanotto che non sa far partire lo scooter e neanche esprimere tre desideri, un albergo a una stella con l'ascensore che non funziona, un neonato e un cane a cui capitano molte disavventure. Torna il folle trio di “Rumba” – ballerina senza una gamba dopo l'incidente con un aspirante suicida, ed era solo l'inizio del film. Lui e lei magrissimi, che osano balletti nell'acquario con costumi fatti di alghe. E poi una danza sui tetti, con pancia di nove mesi. Gag da cinema muto, la città di Le Havre fotografata alternando esterni lividi e interni pop. Come in un film di Aki Kaurismaki, anche lui colto da recente passione per la foce della Senna. Martedì sapremo se nel suo “Le Havre” le orchestrine continuano a rallegrare disoccupati e depressi con i tanghi finlandesi.  

    TOOMELAH di Ivan Sen, con Christopher Edwards, Daniel Conners, Dean Daley (Un certain regard)
    Ultime dagli aborigeni, in diretta dalla comunità di Tomelaah: trecento abitanti della tribù Gamilaroi in una vecchia missione sul fiume Macintyre. Le penultime dagli aborigeni erano in “Beneath Clouds”, premiatissimo film di debutto del regista australiano: un ragazzo e una ragazza meticcia che fanno l'autostop in direzione Sydney. Non cambia molto. I ragazzi sono sbandati, da grandi vogliono fare i gangster. Le vecchie zie della “generazione rubata” – bambini tolti ai genitori e affidati a famiglie britanniche – tornano alla missione molto depresse. L'identità si appanna. I trafficanti arruolano la meglio gioventù che con il miraggio dei guadagni facili abbandona la scuola. E' terribile, certo. Ma è anche un capitolo già bello e pronto per la prossima edizione di “La cultura del piagnisteo” di Robert Hughes, australiano anche lui ma discendente dai prigionieri che l'Inghilterra depositava da quelle parti.

    MICHEL PETRUCCIANI di Michael Radford, con Michel Petrucciani (fuori concorso)
    Il regista del “Postino” (uno dei film sulla poesia che assieme a “L'attimo fuggente” merita la messa al bando) racconta vita, carriera e amori del pianista Michel Petrucciani. Morì per una polmonite presa a New York, dopo un tour di 200 concerti. Avrebbero stroncato un fisico più solido del suo: come il protagonista di “Unbreakable”, aveva ossa così fragili da spezzarsi alla nascita. Non si fece mancar niente, e mai si lamentava: “Ho vissuto più di Charlie Parker”.