La questione genitale / 5
La sregolatezza non è libertà. Ma in chiesa ci si sposa per grazia
Pur non possedendo la cultura teologica e la formazione dottrinaria indispensabili per cogliere appieno la spessa lezione del cardinale Mauro Piacenza, mi pare notevole anzitutto il suo tentativo analitico scevro da ogni moralismo. Per nulla ingenuo e per nulla radente i muri rispetto alla postmodernità (o a quel che è), la prima cosa che colpisce è la considerazione realistica che l'era digitale non significa tout court più libertà, più democrazia, più emancipazione umana. Ma significa piuttosto più schiavitù, più folla solitaria, più concentrazione di poteri forti.
Leggi Maledetti genitali. La dura battaglia della chiesa per la castità di Mauro Piacenza
Pur non possedendo la cultura teologica e la formazione dottrinaria indispensabili per cogliere appieno la spessa lezione del cardinale Mauro Piacenza, mi pare notevole anzitutto il suo tentativo analitico scevro da ogni moralismo. Per nulla ingenuo e per nulla radente i muri rispetto alla postmodernità (o a quel che è), la prima cosa che colpisce è la considerazione realistica che l'era digitale non significa tout court più libertà, più democrazia, più emancipazione umana. Ma significa piuttosto più schiavitù, più folla solitaria, più concentrazione di poteri forti. Altre intelligenti considerazioni (circa il pansessualismo e le circostanze d'ambiente che tendono a ridurre l'esperienza a “prova” scriteriata, “sregolatezza di tutti i sensi”, reattività biologica) non attengono alla sfera della morale, ma del reale. Complimenti. Mentre di fatto, l'avvenire radioso promesso dalla rivoluzione digitale si trasforma in alienazione da parzialità, nevrosi, dipendenza da una “mente di Dio” ridotta ai tracciati e cookie in un server (che a differenza del Dio vero e misericordioso, conservano puntualmente, anche a disposizione delle società di marketing, violazioni della privacy, indagini giudiziarie o addirittura esecuzioni via droni, la tua vita virtuale spesa a vedere, scrivere, fantasticare in rete).
Insomma, nell'analisi di Piacenza c'è in nuce una visione abbastanza dettagliata del fondo dell'occhio. Seconda intuizione, e a mio modesto avviso ancora più decisiva, è la sintesi su cosa sia un prete (e, sia detto in margine a un testo implicito, cosa non lo sia più in certa teologia postconciliare, da quella della liberazione a quella della Costituzione, da quella della psicologia alle varie “strategie” spirituali, o della famosa “Parola”, come spine dorsali dell'istruzione seminariale). Non c'è strategìa che possa sostituire una certezza. E siccome il cristianesimo ha bisogno soltanto della seconda, si capisce che la lectio di Piacenza insiste sul presupposto che rende ragionevole varcare le soglie di un ambiente così bizzarro come potrebbe apparire oggi un seminario. Il non detto è che c'è una bella differenza tra il millennio dove il prete poteva rappresentare tutto, tranne che l'indagato per pedofilìa dalle istituzioni secolari, e l'epoca scandalistica di un mondo che contraddice se stesso alimentando insieme pansessualismo e pansessuofobìa, dove il prete è solo un passato che non passa e come tale privato di ogni autorità. Una difficoltà enorme che, vista dalla parte giusta, cioé della chiesa e della ragione laica autentica, non la religione civile kantiana, presenta l'opportunità drammatica e unica di ritrovare le fondamenta per essere, o non essere, quello che potremmo definire l'Avventuriero, il Padre del “The road” maccartiano, nel nostro mondo esistenzialmente già post atomico. E qui, anch'io anticlericale d'antan, mi ci ritrovo. Sento la grazia e la grandezza del prete. Siamo al punto due e quattro della lezione cardinalizia: “Nella formazione affettiva è necessario riconoscere il primato assoluto della Grazia”. E al concetto, giustamente altrettanto segnalato in maiuscolo, di “Ministero”.
E qui pare si possa intuire perché matrimonio e sacerdozio siano sacramenti, cioè cose che non sono prodotte dalla conoscenza o dalla strategia umana. Grazia, ci ricorda Piacenza. Cioè avvenimento del Mistero che chiama (ci siamo sposati in chiesa così, sfarfallando tra tante bellezze ed effusioni, quando a un certo punto abbiamo presentito la grandezza di una cosa che non ti davi tu, ma che tu assumevi davanti al Mistero come compito della vita). E cosa volete dire ed educare (educere, tirar fuori) in chi entra in seminario, se non il non finir mai di entrare nella Grazia per cui la libertà ha sentito una grandezza più grande di qualsiasi sporcizia personale e perciò, sia quel che sia, è su Cristo che bisogna battere e sulla sua compagnia storica?
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