Fuori controllo

Nicoletta Tiliacos

Che fine ha fatto la gioiosa promessa della rivoluzione sessuale degli anni Sessanta e Settanta, l'orizzonte luminoso di una perfetta libertà nelle relazioni, finalmente emancipate dalle pastoie riproduttive e forti dell'idea che esistiamo perché desideriamo, che il piacere è un diritto e ogni limite al suo perseguimento un retaggio di oppressione? A giudicare dalle cronache che ci parlano di un uomo potente e coltivato che avrebbe preteso sesso dalla cameriera entrata nella sua stanza d'albergo, e di un parroco genovese che avrebbe comprato sesso da adolescenti in cambio di coca, a vincere, più che la libertà, è la desolazione.

    Che fine ha fatto la gioiosa promessa della rivoluzione sessuale degli anni Sessanta e Settanta, l'orizzonte luminoso di una perfetta libertà nelle relazioni, finalmente emancipate dalle pastoie riproduttive e forti dell'idea che esistiamo perché desideriamo, che il piacere è un diritto e ogni limite al suo perseguimento un retaggio di oppressione? A giudicare dalle cronache che ci parlano di un uomo potente e coltivato che avrebbe preteso sesso dalla cameriera entrata nella sua stanza d'albergo, e di un parroco genovese che avrebbe comprato sesso da adolescenti in cambio di coca, a vincere, più che la libertà, è la desolazione. Soffia, nel vento, la sensazione di una perdita di controllo che sa di schiavitù.

    Il cardinale prefetto della congregazione per il Clero, Mauro Piacenza, nel suo recente discorso alla Facoltà teologica dell'Italia settentrionale di Torino (testo integrale sul Foglio on line) ha detto che “il clima culturale pansessualista e ipereroticizzato” respirato soprattutto dai nati dopo gli anni Settanta e “l'aver artificialmente svincolato l'aspetto unitivo da quello fecondo, ha irrimediabilmente ridotto l'ampia sfera dell'affettività al solo esercizio della genitalità, privandola di quel contesto di definitività che le è proprio”.

    Si concordi o meno con il cardinale, rimane la sensazione di una realtà pervasa da una “questione genitale” che assomiglia a una malattia epidemica. Tanto lontana dall'erotismo quanto lo è quella trita apologia dell'“amore liberato” al quale i filosofi come Michel Onfray continuano a dedicare saggi (in “Teoria del corpo amoroso”, Onfray chiede di “farla finita con la monogamia, la fedeltà, la procreazione, la famiglia, il matrimonio e la connessa coabitazione”).

    Anche l'economista francese Jacques Attali, ora preoccupato per le disavventure dell'amico Strauss-Kahn, auspica nel suo ultimo libro (“Il senso delle cose”, Fazi) un “futuro dell'amore” in cui si realizzi finalmente “l'accettazione delle famiglie simultanee, l'affermazione della poligamia e della poliandria… come affermazione del diritto di uomini e donne all'amore simultaneo… sarà la vittoria dell'effimero, del passeggero, del cangiante, del multiplo”. Ma l'uomo e la donna liberati, immaginati a tavolino da progettisti sociali pieni di buone intenzioni, sono fatti di carne e sangue. Non ne vogliono sapere di quel che i libertari pensano sia meglio per loro, continuano a essere gelosi e impauriti dalla solitudine. Tutt'al più si convincono, perché non si fa che ripeterlo, che l'affievolimento del desiderio sessuale legato agli anni che passano sia una malattia. La peggiore delle malattie, che ti sottrae al mondo dei viventi in quanto desideranti full time. Le cronache desolanti raccontano da tempo di ondate di divorzi da Viagra, con il nonno miracolato dalla pasticca blu che, naturalmente, ha diritto a una giovane donna che lo assecondi, e dà il benservito alla moglie coetanea. Che cosa opporre alla voglia di vivere e di gioire? Il catechismo della chiesa cattolica? I richiami alla responsabilità, alla fedeltà, alla promessa di prendersi cura dell'altro “finché morte non vi separi”? Non scherziamo, il desiderio è sacro (il capogruppo di Rifondazione comunista a Milano, nel 2005, fece una battaglia per il Viagra mutuabile, in nome del diritto all'erezione, e fu assecondato da tutte le parti politiche).
    La femminista Marina Terragni vede in questi segni la fine del patriarcato (lo spiega nel saggio “La scomparsa delle donne”, Mondadori) e il sintomo del particolare modo maschile di vivere la paura della vecchiaia e della morte: “Si parla della pillola anticoncezionale come di qualcosa di rivoluzionario, e almeno per le italiane non è vero, l'hanno sempre presa pochissimo. Mentre la vera pillola rivoluzionaria è il Viagra, via di uscita illusoria dal lutto del ruolo virile. Philip Roth nei suoi libri lo spiega con spietatezza. Per questo, invito le donne alla compassione per i loro uomini malati di paura di invecchiare. Ricordiamoci, nell'“Animale morente”, le pagine in cui Roth fa spiegare al suo personaggio la fascinazione per il mestruo, prova di giovinezza e di fecondità di cui l'anziano protagonista ha bisogno, per sentirsi vivo. C'è, in tutto questo, il fallimento dell'illusione paritaria. Le donne hanno i figli, i nipoti, la casa, gli affetti. I maschi si sgretolano, perché hanno organizzato tutto attorno all'erezione, ed è devastante, quando non c'è più”.

    “Nei movimenti circolava la formula: ‘Non vorrai dirmi di no, se sei davvero libera (e/o intelligente, indipendente, brava, compagna')… il corollario era che fare l'amore non implicava affatto un impegno stabile: educate a tenere uniti sesso e amore, le ragazze venivano caldamente invitate a separarli”. Lo ricorda la storica e femminista Anna Bravo nel suo “A colpi di cuore” (Laterza), nel quale indaga i lasciti sessantottini che periodicamente riaffiorano e si inabissano nel costume italiano. Anna Bravo ci dice che dal trionfante disordine teorizzato in quegli anni (non era necessario essere maoisti per dar credito agli elogi della confusione) “non si è riusciti a far germogliare un ordine diverso. Quello su cui ci siamo più illusi è proprio il mito dell'innocenza del corpo. I bei corpi giovani e nudi facevano tenerezza e gioia, e questo ci ha portati a estendere quell'idea di innocenza in ambiti e modi che non hanno trovato riscontro reale, perché rimanevano tante le situazioni in cui il corpo veniva semplicemente usato. La sigla di quegli anni è il corpo senza peccato originale, è la ragazza nuda che balla a Woodstock. Un'utopia che non ha fatto i conti con i significati peccaminosi, pericolosi, misteriosi del corpo. Il disastro è nell'aver ignorato che una parte imponderabile, nel rapporto tra i corpi, esiste sempre, per fortuna”.

    E' il riconoscimento del mistero dell'altro che ti impedisce di credere di poterlo usare. Più facile, per i forzati della seduzione, accettare l'idea che la trasgressione non esiste, perché ormai si è trasformata in pratiche en plein air e in consigli igienico-pedagogici a portata di edicola (“Le nostre sex coach ti svelano i loro trucchi del mestiere”, Cosmopolitan, maggio 2011; “Anche un semplice paio di manette è sufficiente per portare aria di novità”, Men's Health, maggio 2011).