Il diavolo sotto coperta. Vecchie istruzioni ai seminaristi caste davvero

Stefano Di Michele

Il diavolo è dispettoso: a forza di stuzzicarlo, alla fine si presenta davvero. Sarà alta e dotta e accorata la lectio del card. Piacenza – ma nuova proprio no. E' circa un migliaio di anni che la chiesa su questa “questione genitale” ammonisce, frena, minaccia. Non che faccia male, non che faccia bene: pensa che così sia giusto e giustamente così si regola.

Leggi Maledetti genitali. La dura battaglia della chiesa per la castità di Mauro Piacenza - Leggi Quesito genitale: e se la morale fabbricasse solo preti impermeabili? di Camillo Langone

    Il diavolo è dispettoso: a forza di stuzzicarlo, alla fine si presenta davvero. Sarà alta e dotta e accorata la lectio del card. Piacenza – ma nuova proprio no. E' circa un migliaio di anni che la chiesa su questa “questione genitale” ammonisce, frena, minaccia. Non che faccia male, non che faccia bene: pensa che così sia giusto e giustamente così si regola. Fa – ma a volte a vuoto, fa. Quello di S. E. sembra un malamente argomentare intorno al clima “culturale pansessualista”, come un Giovanardi qualsiasi. C'è una frase del cardinale che a me, per niente ateo e passabilmente devoto, colpisce molto: “Che cosa sarebbe infatti la nostra umanità senza Cristo…” – resta il dubbio di che cos'è l'umanità del prete, senza tutto il resto. S. E. ha ragione – e qualche regola, se uno vuol fare il prete, bisogna pur che ci sia, ma lo stesso l'argine che apparentemente rinforza appare agli occhi di molti argine definitivamente crollato. E non perché dilaghi la “pansessualità” – ché  ha sempre dilagato, correndo gli ormoni ben più velocemente di ogni normativa. Così è, così è stato.

    Ho tra le mani una copia del “Direttorio per i noviziati e studentati dell'Ordine trinitario” del 1941. Pagine intere spese sul tema della castità – altro che il paterno argomentare del cardinale – con un linguaggio tra l'accurato dettaglio e i surreali rimedi – a rinforzo della tenzone richiesta ai seminaristi “tormentati da pensieri e immagini lascive”, così da “impedire al sangue giovane di ribollire”: tra santi che si buttavano tra i rovi “lacerando la propria carne, finché non si videro liberi dalla mala bestia”, bagni “nell'acqua diaccia”, dunque “pronti piuttosto a morire che a lasciarsi soggiogare dalla passione”. E tutto un normare sonno e veglia: le braccia dei seminaristi incrociate sopra le coperte, “non far giochi di mano” – a voler essere chiari, e casomai far conto “di sentirsi nella sepoltura e considerare che il loro giaciglio è migliore della Croce su cui agonizzò Gesù”. E poi un complicato meccanismo di spogliazione (meglio di una commedia di Feydeau) se si è in due nella cella, “non si tolgano l'abito in presenza dell'altro, se non è smorzata la luce”, e nel caso “stiano sulle tavole del letto, coperti a metà dalla coperta. Se si cambiano la tunica interiore la luce sarà spenta, oppure uno di essi uscirà dalla cella”. Molto san Bernardo qua e là, parecchi foschi ammonimenti, “il mio amato Dio pende conflitto alla Croce, ed io oserò indulger alla voluttà?”. Una terribile, disperata letteratura. Quella di S. E. è certo caritatevole, ma forse non meno disperata.

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