Arrivano a Cannes i miracoli di Mel Gibson e i lamenti di Kim Ki-Duk

Mariarosa Mancuso

Una fiaba fatta e finita, solo il finlandese poteva riuscirci. Un eroe che di cognome fa Marx, un trovatello, gli aiutanti, le prove da superare. Ambientata a Le Havre, che sostituisce Lille nella geografia delle città dove piove sui disoccupati: il porto e i clandestini sono il valore aggiunto narrativo. Monsieur Marx fa il lustrascarpe, non il massimo in tempi di Nike.

    LE HAVRE di Aki Kaurismäki (concorso)
    Una fiaba fatta e finita, solo il finlandese poteva riuscirci. Un eroe che di cognome fa Marx, un trovatello, gli aiutanti, le prove da superare. Ambientata a Le Havre, che sostituisce Lille nella geografia delle città dove piove sui disoccupati: il porto e i clandestini sono il valore aggiunto narrativo. Monsieur Marx fa il lustrascarpe, non il massimo in tempi di Nike. Ha la moglie malata e qualche debituccio, eppur si prende cura del ragazzo nero trovato nel container.

    THE BEAVER di Jodie Foster, con Mel Gibson (fuori concorso)
    Il castoro fa miracoli. Mel Gibson pure: provate voi a recitare un film intero con una marionetta spelacchiata e dentona infilata nel braccio. Cambiando voce e regalando al peluche una personalità propria. Il castoro cura la depressione. Quando Mel Gibson lo usa come doppio riesce a parlare con i figli e la moglie Jodie Foster (qui al terzo film come regista). Il maggiore ha i post-it attaccati al muro, con i tic del padre che non vuole ereditare. Arrotonda la paghetta scrivendo temi per i compagni, altro mestiere vicario.

    MICHAEL
    di Markus Schleinzer, con Michael Fuith (concorso)
    Al pedofilo non si sfugge. In “Polisse” ce n'era una schiera. Qui uno solo, del tipo molto amato dai vicini (“un signore educato” riferiranno ai cronisti tv). Austriaco, e messo in scena dall'assistente di Michael Haneke. Preciso e gelido come il maestro, con cui evidentemente ha conti in sospeso: Michael è il nome del carnefice. Come il maestro, punisce gli spettatori sottraendo informazioni e chiudendo il film quando gli pare.

    L'APOLLONIDE - SOUVENIRS DE LA MAISON CLOSE di Bertrand Bonello, con Adèle Haenel (concorso)
    Dei bordelli parigini sapevamo quel che raccontano gli scrittori (per esempio Guy de Maupassant, nel divertissement “Al petalo di rosa, casa turca”). Visto il film di Bonello, possiamo scrivere una tesi di laurea. Conosciamo gli orari, le norme igieniche, i profumi, i saponi, le visite mediche anti sifilide, le teorie degli scienzati sulle prostitute. Facciamo conoscenza con i clienti che legano e sfregiano, quelli che soltanto guardano “L'origine del mondo” (dipinta da Courbet trent'anni prima), quelli che vogliono la geisha, quelli che scopano nella vasca piena di champagne gelido.

    ARIRANG
    di Kim Ki-Duk, con Kim Ki-Duk (Un certain regard)
    Era scomparso da tre anni, ricompare con un lamento lungo un film. Colpa di un incidente sul set di “Dreams” (un'attrice rischiò di morire impiccata) e di un'idea della vita non proprio ilare: o torturiamo qualcuno, o siamo torturati da qualcuno, o ci flagelliamo da soli. Il coreano di “Ferro 3” vive sotto una tenda, cucina con la neve sciolta, mentre l'acqua gela nelle tubature. Parla da solo (malissimo dei suoi assistenti che lo hanno tradito) e siccome prima di diventare regista era meccanico si costruisce una macchinetta per l'espresso.