Il caso Strauss-Kahn - Storie di manette e di maschi

Imbarazzi, omertà e garantismo per gli amici. Come si passa a Parigi dal marivaudage alla tragedia

Marina Valensise

Il franco americano Franz-Olivier Giesbert, direttore di Le Point, non vuole polemizzare sulle pagine del Foglio col suo collaboratore Bernard-Henri Lévy. Ma ammette di avere idee opposte sul caso Dominique Strauss-Kahn, come dimostra fra l'altro anche il numero speciale uscito con due giorni di anticipo. BHL, da  amico e sodale di DSK, difende il direttore del Fmi, sotto processo a New York per tentato stupro, violenza carnale e sequestro di persona. E accusa senza mezzi termini  i media di essersi scagliati come avvoltoi sul caso umano di un potente.

    Il franco americano Franz-Olivier Giesbert, direttore di Le Point, non vuole polemizzare sulle pagine del Foglio col suo collaboratore Bernard-Henri Lévy. Ma ammette di avere idee opposte sul caso Dominique Strauss-Kahn, come dimostra fra l'altro anche il numero speciale uscito con due giorni di anticipo. BHL, da amico e sodale di DSK, difende il direttore del Fmi, sotto processo a New York per tentato stupro, violenza carnale e sequestro di persona. E accusa senza mezzi termini  i media di essersi scagliati come avvoltoi sul caso umano di un potente.

    Giesbert, uomo di punta dei media, respinge ogni addebito. Lui che nel suo ultimo libro (“M. le Président, scènes de la vie politique, 2005-2011”, ed. Grasset), ha osato spiattellare urbi et orbi il contenuto di una telefonata che il presidente Nicolas Sarkozy, furente, gli fece per chiedere la testa dell'autore di un articolo a suo dire offensivo nei confronti della moglie italiana, adesso che la stampa francese ha iniziato l'autocritica per “l'omertà” nei confronti dei potenti, di cui si conoscevano le magagne, ma non si rivelavano ai lettori: “Accusare la stampa è un vizio nazionale, ma in questo caso i media non hanno commesso errori particolari. Noi abbiamo sempre scritto che DSK era ‘un homme à femme'”, dice al Foglio il direttore di Le Point. “E' vero che se i fatti che oggi gli sono imputati vengano provati, si passa dal marivaudage alla tragedia, perché il tentato stupro è un reato per il quale non ci sono circostanze attenuanti. Ma è assurdo accusare la stampa di omertà. Noi giornalisti noi possiamo trasformarci in agenti della buon costume. Se un rapporto sessuale è consensuale appartiene solo alla vita privata e in quanto tale va tutelato. E se Tristane Banon (la scrittrice trentunenne che ora vorrebbe denunciare DSK per le molestie subìte nove anni fa), non ha sporto denuncia, nessuno può rimproverare la stampa di aver tradito la sua missione civile”.

    Altri sono più a disagio. Marcel Gauchet responsabile del Débat, il bimestrale più chic della Rive Gauche, dice che “se c'è un argomento del quale davvero non ho voglia di parlare è questa vicenda pietosa”. Anche André Glucksmann fa sapere di non avere “niente da dire”. Le Monde che per anni, a cominciare da Alain Minc, ha puntato il dito contro Silvio Berlusconi (come fate voi italiani che siete tanto civili a votare per lui?) continua a confondere i lettori, evitando di distinguere tra stupro e seduzione, per cercare di spiegare come un politico resiste allo scandalo sessuale. Dev'essere il velo pietoso steso sul caso per compiacere il nuovo azionista del Monde, Mathieu Pigasse, ex wonder boy di DSK ministro delle Finanze.

    Così per trovare una voce originale, bisogna parlare con Alain Besançon, storico dell'Amore attento alla società contemporanea. “BHL non lo leggo, non mi interessa: è un retore vuoto, magniloquente e vanitoso che solo voi prendete sul serio. Il problema è un altro. Se fossimo stati nel 1930, la cameriera sarebbe stata licenziata in tronco dalla direzione d'albergo, accusata di calunnia e ricatto, sarebbe stata rinchiusa subito nel carcere di Sing Sing. I responsabili dell'albergo si sarebbero scusati col direttore del Fmi, gli avrebbero messo a disposizione una limousine. DSK avrebbe rinunciato a sporgere querela, avrebbe fatto il check-out senza battere ciglio, lasciando 20 dollari di mancia alla signorina e augurandole buona fortuna. Oggi come s'è visto le cose vanno in modo diverso. Meglio? Mio figlio ha detto di sì, è meglio oggi. La cosa  che mi colpisce è il grado straordinario di sofferenza,  atroce,  che starà vivendo DSK. Aveva tutto:  gloria,  fama,  potere, prestigio, e adesso è un uomo completamente finito, non solo politicamente. La sua è una caduta crudele, come quella di Icaro, che s'era  avvicinato troppo al sole per non bruciarsi le ali e precipitare in mare. Gli americani dicono che i francesi sono leggeri, erotomani, il che in parte è vero e in parte no”. Intanto, però, la procedura penale newyorchese lascia i francesi esterrefatti e riaccende i loro l'antiamericanismo.
    Alain Finkielkraut si domanda se l'America sia un paese civile, mentre Georges Kiejman, l'avvocato di Roman Polanski, insiste sulla presunzione d'innocenza: per rimettere in libertà DSK e permettergli una difesa ad armi pari con l'accusa, è convinto che basterebbe che la rappresentanza diplomatica garantisse la sua presenza alle udienze.