La depressione di Von Trier, la fede di Sarko e un altro film senza trama

Mariarosa Mancuso

L'inguardabile “Anticristo” cominciava al rallentatore sull'aria settecentesca “Lascia ch'io pianga”, dal “Rinaldo” di Georg Friedrich Händel. L'appena più guardabile “Melancholia” parte al rallentatore sull'ouverture wagneriana del “Tristano e Isotta”. Diagnosi nostra: Lars von Trier non è ancora guarito dalla depressione. Diagnosi sua: una passione finalmente rivelata per il romanticismo tedesco, unita alla convinzione che i melanconici alla fine del mondo soffriranno meno degli altri.

    MELANCHOLIA di Lars von Trier (concorso)
    L'inguardabile “Anticristo” cominciava al rallentatore sull'aria settecentesca “Lascia ch'io pianga”, dal “Rinaldo” di Georg Friedrich Händel. L'appena più guardabile “Melancholia” parte al rallentatore sull'ouverture wagneriana del “Tristano e Isotta”. Diagnosi nostra: Lars von Trier non è ancora guarito dalla depressione. Diagnosi sua: una passione finalmente rivelata per il romanticismo tedesco, unita alla convinzione che i melanconici alla fine del mondo soffriranno meno degli altri. Possono sempre dire: “Avevo ragione a tormentarmi”. Tanto più che a scontrarsi con la Terra è Saturno, il loro pianeta. Kirsten Dunst attende la catastrofe vestita da sposa. Un altro film cosmicheggiante, e siamo pronti a rivalutare i fratelli Dardenne, che trovano le loro storie dietro l'angolo di casa.

    PATER di Alain Cavalier (concorso)
    Facciamo che io ero il presidente della Repubblica e tu eri il primo ministro. Il regista Alain Cavalier e l'attore Vincent Lindon, ora in casa dell'uno ora in casa dell'altro, giocano al conflitto d'interessi (subito risolto), alla giustizia sociale (perché un operaio deve guadagnare tanto meno di un imprenditore?), alla campagna elettorale, al passo indietro (seguito dallo scatto felino da parte del numero due). Loro si divertono molto, lo spettatore un po' meno, se non ama le favole politiche che fan sentire migliori.

    LA CONQUÊTE di Xavier Durringer, con Denis Podalydès (fuori concorso)
    Chi di scandalo ferisce di (altro) scandalo perisce. La scalata al potere di Sarkozy doveva essere il picco politico del festival. La folla c'era, ma vedere il presidente appena eletto che in vestaglia si rigira la fede tra le mani e chiama disperatamente Cécilia non può competere con un'accusa di stupro ai danni di una femme de chambre. Soprannomi di Sarko: il nano, il tappetto, il piccoletto. Galeotta fu la convention del partito, e il pubblicitario Attias chiamato per organizzarla.

    HANEZU NO TSUKI
    di Naomi Kawase (concorso)
    Là dove la cultura giapponese ha le sue origini, e due montagne maschio litigavano per una montagna femmina, la regista inquadra a lungo i ragni, i paesaggi, le verdure dell'orto, gli album di famiglia, i lini da tingere (“hanetu” è il rosso del sangue e della passione). Trama (si fa per dire): un uomo e una donna si amano, lei aspetta un figlio da un altro.

    ET MAINTENANT ON VA OU?
    di Nadine Labaki, con Claude Moussawbaa (Un Certain Regard)
    La moschea sorge accanto alla chiesetta cattolica, in un remoto villaggetto libanese. Metà delle donne portano il velo, metà sono scollate con abitucci a fiori anni Sessanta, tutte guardano la tv in pace e armonia. Quando i mariti minacciano la guerra di religione, come Lisistrata fanno lo sciopero dell'amore. Dalla regista di “Caramel”, un musical che non si ferma neanche davanti ai rispettivi cimiteri.