Il caso Strauss-Kahn - Storie di manette e di maschi
Perp walk, la gogna anglosassone
Sbuca all'improvviso, da dietro un angolo di muro del commissariato di Harlem. I flash dei fotografi fanno sembrare il volto più pallido, lo sguardo più vuoto. Ha le mani dietro la schiena, manette ai polsi, due poliziotti lo tengono per le braccia, altri due seguono a un metro.
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Sbuca all'improvviso, da dietro un angolo di muro del commissariato di Harlem. I flash dei fotografi fanno sembrare il volto più pallido, lo sguardo più vuoto. Ha le mani dietro la schiena, manette ai polsi, due poliziotti lo tengono per le braccia, altri due seguono a un metro. Ha il colletto slacciato, camicia e barba di un giorno. I poliziotti sono vestiti come per le grandi occasioni, completi scuri, blazer blu e pantaloni grigi, cravatte. Non affrettano il passo, le telecamere riprendono i loro sguardi autorevoli, i loro gesti sicuri. Un'auto attende a pochi metri di distanza, la portiera posteriore già aperta. L'uomo in manette entra, si siede, si fa più in là per fare posto a uno dei poliziotti. Gli altri tre salgono a loro volta, la macchina si allontana. Trenta secondi in tutto, forse meno. Eppure scorrono crudeli, ineluttabili, con la forza del simbolo: è la perp walk, la passeggiata del “perpetrator”, di colui che è sospettato di aver per l'appunto perpetrato un crimine. Non è il trionfo della legge ma del suo braccio violento, della forza legittima che della legge è il presupposto. E' la dimostrazione visiva che non ci può essere scampo per nessuno che abbia oltrepassato la linea, anche se è ricco, potente, famoso. E viene per questo deliberatamente violato il diritto alla privacy che pure la società liberale riconosce al cittadino fino alla condanna definitiva, mostrato al mondo, in manette, esibito impietosamente proprio quando è più debole: questo vogliono l'America e il suo popolo con la benedizione di Dio, questo c'è nelle leggi, nella cultura, nella loro storia fin dalle origini. Che per lo spirito europeo di oggi invece è infamia.
Ieri sul Corriere della Sera, Bernard-Henri Lévy, filosofo francese e amico di lunga data di Dominque Strauss-Kahn, si scagliava contro il giudice americano che ha pensato “che egli fosse un imputato come un altro”. E contro il sistema giudiziario accusatorio che permetterebbe a qualsiasi individuo “di accusare qualsiasi altro individuo di qualsiasi crimine”, che dà un “uomo in pasto ai cani”. Che invita il mondo “a pascersi dello spettacolo” di una silhouette in manette, in disordine dopo trenta ore di fermo, che consente infine che un'altra donna, sua moglie, sia anch'essa esposta alle volgarità di un'opinione pubblica “ebbra di story telling” . In Francia in effetti la legge vieta che persone arrestate vengano mostrate in manette. E anche in Italia, un provvedimento simile fu adottato in seguito all'indignazione per le immagini del povero Enzo Carra esibito da poliziotti e procuratori come un trofeo in schiavettoni.
“E' vero”, dice al Foglio Luca Marafioti, ordinario di Diritto processuale penale a Roma III e che ha a lungo insegnato nelle università americane, “quello che vediamo è feroce, è così il ‘trial by media', la consumazione pubblica del potere della polizia. Compensata però dal divieto (con eccezioni) di ingresso di telecamere e fotografi in aula, nel corso delle diverse fasi del processo. Il contrario insomma di quanto accade in Italia dove per altro la tutela della privacy del cittadino in manette non sempre è rispettata”.
L'esibizione di colui che ha violato la legge ed è stato catturato appartiene all'immaginario, alla fondazione stessa del grande paese dalle mille opportunità, non ci sarebbe stata espansione o, come si dice, “destino manifesto”, se i pionieri non avessero visto con i loro occhi il marshall tornarsene con il fuorilegge legato, ridotto all'impotenza. Senza risposta al bisogno insopprimibile di sicurezza hobbesiano, senza fiducia in un possibile ordine collettivo, senza la celebrazione visiva di una forza legittima, efficace, non ci sarebbe mai stata la crescita delle comunità. Non ci si può dunque scandalizzare più di tanto. In fondo l'America non ha fatto altro che riprendere a modo suo strumenti della vecchia Europa che della perp walk ha usato e abusato: trasporto de esibizione dei detenuti ovvero la gogna, lo ricorda anche Michel Foucault in “Sorvegliare e punire”, come solo mezzo di prevenzione quando le pene erano corporali ed eseguite sulla pubblica piazza.
Dice Marafioti: “Di fronte all'evidenza che la funzione simbolica della pena svanisce se non è visibile, il sistema americano e quello italiano ad esempio, hanno preso strade diverse. Il nostro ordinamento dà meno garanzie processuali ma pene meno severe, soprattutto per i crimini dei cosiddetti colletti bianchi. Quello americano fa l'esatto contrario. Fa sconti a chi patteggia ma ricarica sugli imputati che vanno in processo e questi in caso di condanna vengono stangati senza pietà. Ma non è questione di sistema accusatorio o inquisitorio come sembra dire BHL. E' vero in America si va più in fretta non c'è dubbio, nel caso di Strauss-Kahn è evidente in questa fase della procedura le garanzie sono poche o nulle, la sola che ha è che non dovrà aspettare mesi per comparire davanti al giudice terzo. Anche il Grand jury, in cui qualcuno vede il momento della verità, è un passaggio sostanzialmente inquisitorio, che potrebbe risolversi anche in poco tempo. Ora insomma comanda la polizia. Nessun sistema è al riparo dall'errore dunque, e chiunque può essere stritolato”.
Colpiscono infine anche la severità della condanna in cui DSK potrebbe incorrere e la negazione della libertà su cauzione da parte della giudice che, secondo Lévy avrebbe finito di pensare che quell'imputato fosse come gli altri. “Il sistema americano cerca di limitare i poteri discrezionali del giudice nei suoi poteri in materia di cauzione e di pena”. Ma non sempre funzionano i check and balance, ogni sistema ha i suoi atroci squilibri.
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