Il diavolo e i vergini di Dio

Maurizio Crippa

Davvero “don Riccardo si è ammalato ed è diventato una povera belva praticando gli insegnamenti sessuomaniaci della chiesa”, come ha scritto ieri su Repubblica Francesco Merlo? Davvero la sua storia di “prete-bestia” (una prima occorrenza, temiamo, nella titolazione dei giornali italiani, che abbatte la soglia dell'“orco”) è “il culmine, il punto di non ritorno della sessuo-teologia italiana”, perché “nel catalogo della sessuofobia cattolica nazionale non c'era ancora il prete-diavolo”?

    Davvero “don Riccardo si è ammalato ed è diventato una povera belva praticando gli insegnamenti sessuomaniaci della chiesa”, come ha scritto ieri su Repubblica Francesco Merlo? Davvero la sua storia di “prete-bestia” (una prima occorrenza, temiamo, nella titolazione dei giornali italiani, che abbatte la soglia dell'“orco”) è “il culmine, il punto di non ritorno della sessuo-teologia italiana”, perché “nel catalogo della sessuofobia cattolica nazionale non c'era ancora il prete-diavolo”? O invece don Riccardo Seppia, il parroco di Sestri Ponente arrestato la scorsa settimana con l'accusa di violenza sessuale su minori e cessione di stupefacenti, tale è diventato (“malato”, cioè: “belva” lo lasciamo dire a chi ambisce amministrare la pubblica virtù) perché quegli stessi insegnamenti in materia di verginità, castità,  non abuso della sua genitalità li ha in pieno e completamente e (in)coscientemente trasgrediti? Quegli insegnamenti richiamati in modo rigoroso, a suo modo antico e post moderno, dal cardinale Mauro Piacenza, prefetto della congregazione per il Clero, ai seminaristi piemontesi, di cui abbiamo pubblicato il testo intitolandolo alla “questione genitale” dentro e fuori la chiesa. Per cedere agli insegnamenti pervasivi, al sussurro continuo del pansessualismo della “cultura dominante” che “se non si è vigili si finisce con l'essere anestetizzati attraverso una sorta di flebo goccia-goccia”, come ha detto il Piacenza? Francesco Merlo incalza: il prete-diavolo, il prete della notte. Ma non è a lui che in verità dà la caccia, come invece gliela davano i ragazzi cattivi nelle notti di Sampierdarena. La sua denuncia mira più in alto, “il marasma sessuale che c'è tra i funzionari di Dio”.

    Le accuse che riguardano don Riccardo sono del resto così pesanti, e così esplicita la celerità con cui il suo vescovo, il cardinale Angelo Bagnasco, è accorso per una messa riparatoria in parrocchia, da suggerire di attenersi a un formale garantismo. Difficile provare per il prete della notte quella compassione, quella disponibilità a soffrire insieme, che sorgeva per “il prete dell'acquavite” di Graham Greene. Anche il prete del “Potere e la gloria” ha ceduto ai suoi genitali, ma ha in sé tutte le piaghe e la grandezza del sacerdozio, compresi certi lampi laceranti di gioia che bisogna leggere (qui sotto) nella lettera di padre Aldo Trento (per intuire). A patto di non essere resi ottusi dall'astratta passione per il raddrizzamento dei legni storti.

    Scrive Merlo che “oggi nella chiesa lo sconcerto,  il putiferio, è sempre e solo di origine sessuale, come aveva appunto previsto il filosofo cattolico Augusto Del Noce”. Del Noce, in realtà, diceva anche qualcosa d'altro. Nel 1970 tracciava un durissimo giudizio sulla mancata percezione, da parte della chiesa, di quale fosse la reale questione antropologica in gioco. Per Del Noce, il limite fu non cogliere il senso della rivoluzione di costume e cultura che avveniva attorno alla metà del Novecento: “Videro nelle manifestazioni che essa aveva nel romanzo e nello spettacolo soprattutto un fatto di cattivo gusto o di commercio: ravvisarono la pornografia, laddove si trattava invece dell'erotismo”. Stava dicendo che il mondo pansessualista stava cambiando, e non in meglio, il cuore stesso dell'umano, e che i preti molto male avevano fatto a non correre ai ripari.

    Ora Merlo dice che “è come se vescovi e cardinali sapessero che quel reato è il prodotto indesiderato della loro cultura, del sesso matrattato”. Sesso maltrattato? Saprebbe offrire Merlo grandi esempi di sesso liberato, coccolato, ben vissuto nella attuale pornosfera in cui viviamo? Anna Bravo, storica femminista, sul Foglio dell'altroieri diceva piuttosto, che “quello su cui ci siamo più illusi è proprio il mito dell'innocenza del corpo… La sigla di quegli anni è il corpo senza peccato originale, è la ragazza nuda che balla a Woodstock” (coincidenze: leggete qui sotto cosa dice uno studio del John Jay College). Bravo parla di “un'utopia che non ha fatto i conti con i significati peccaminosi, pericolosi, misteriosi del corpo. Il disastro è nell'aver ignorato che una parte imponderabile, nel rapporto tra i corpi, esiste sempre, per fortuna”. Il Fatto ha scritto che don Riccardo probabilmente aveva avuto all'inizio “comportamenti che, per chi non è prete sarebbero espressioni di libertà. I reati sarebbero arrivati solo dopo e rappresentano quello che Bagnasco ha evocato come uno ‘scivolare nel peggio quasi insensibilmente'”.

    Forse non è stato sufficiente volergli bene, curarlo, come aveva provato a fare Dionigi Tettamanzi, quando era vescovo a Genova. Un po' come aveva tentato di fare Giovanni Scanavino, l'ex vescovo di Orvieto, con il suo seminarista che forse aveva anche lui problemi con i suoi genitali, e persino con il loro orientamento, e si era buttato nel vuoto perché gli era stata chiusa la strada del sacerdozio. Che è pure quella della dura castità. Non a caso, tra i pochi a difendere monsignor Scanavino c'era stato proprio Tettamanzi. Resta ovviamente l'interrogativo se il metodo Orvieto, per dirimere queste questioni, possa funzionare. L'esito di Sestri suggerirebbe di no. Dov'erano, però, ai tempi del suicidio del seminarista di Orvieto, i castigatori della “sessuofobia della chiesa”? Non spesero una parola, non esternarono “pena” per quel povero suicida per presunte tendenze omofile. No, perché il dogma antipedofilo che hanno imposto alla chiesa fa premio su tutto. Pure sulla rivendicazione di comportamenti che “per chi non è prete sarebbero espressioni di libertà”.

    Ma colpisce soprattutto che Merlo non possa nemmeno per un istante collegare la tragedia (che fa “pena”) del prete della notte non alle rigide leggi della chiesa, ma allo strapotere invasivo di quella “rete delle comunicazioni” che “veicola un pansessualismo violento, capace di distorcere la percezione stessa della sfera affettiva, sessuale e relazionale”, come l'ha denunciata Piacenza. O almeno di quella diffusa gay culture che non è solo la belluria dei telefilm sexually correct, ma ha in sé anche una componente trasgressiva, predatrice, notturna e orgiastica stretta parente di quella che alimentava le notti del prete lupo. Si può sottoscrivere qualsiasi benemerita legge sull'omofobia, ma non andrebbe censurata, sui giornali laici importanti, la domanda sull'esito sociale di quegli elevati tassi di trasgressività nei comportamenti sessuali. Ma insomma: per Merlo è impossibile anche solo prendere in considerazione il contesto evocato dal cardinal Piacenza, quando dice che forse Internet ha modificato più di quanto crediamo la percezione stessa del nostro subconscio, fino a “letteralmente ‘imbottire' i giovani di immagini, e dunque di ‘memorie' un tempo inimmaginabili”.

    Tutto questo, la “questione genitale”, è il grande rimosso. Assieme al dubbio, che dovrebbe invece sorgere, che non sia solo un problema dei preti, dei celibi e casti. Si può passare persino al delitto. Hanno arrestato il “prete-bestia”. Ma anche nel mondo del più rispettato potere mondano si può passare dall'immoralismo compulsivo e machista al reato meritevole di “perp walk”. Ma Merlo, fintamente compiangendo il “perp walk” riservato a don Riccardo, vorrebbe predisporre il tappeto della vergogna non solo per la chiesa, ma per la sua stessa idea di umanità. Per farlo dire ancora a Piacenza: “Il mondo… non attacca il nostro agire ‘sociale', né le nostre opere caritative; esso non può tollerare la testimonianza della castità per il Regno dei Cieli”. Non le perdona di non essersi ancora acconciata all'idea che la sessualità sia solo una questione maledettamente genitale. Nonostante i suoi preti della notte.

    • Maurizio Crippa
    • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

      E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"