L'eroe letterario della neopuritana

Alessandro Giuli

Il tribunale della letteratura non conosce imputati a una dimensione né condanne definitive. E' l'abituale rifugio d'ogni sofisticato collegio difensivo, se non dei complici. E così Barbara Spinelli, su Repubblica, attinge a Dostoevskij per rimettere le ali al porco caduto, e suo amico, laddove per mesi aveva girato attorno al suo nemico che è porco e basta.

    Il tribunale della letteratura non conosce imputati a una dimensione né condanne definitive. E' l'abituale rifugio d'ogni sofisticato collegio difensivo, se non dei complici. E così Barbara Spinelli, su Repubblica, attinge a Dostoevskij per rimettere le ali al porco caduto, e suo amico, laddove per mesi aveva girato attorno al suo nemico che è porco e basta. Per proiettare una luce di grandezza tragica su Dominique Strauss-Kahn, sottrarlo al giudizio del senso comune e avvolgerlo nella nebbia della complessità, nella trama delle amicizie (i buoni bisognosi da lui aiutati nella sua funzione di capo del Fmi) e delle inimicizie (i cattivi che gliel'hanno giurata e chissà se anche loro in questa storiaccia…).

    La figura retorica diventa un salvacondotto formidabile, quando DSK si svela per la Spinelli “non un Eroe ma un Giocatore dei nostri tempi” cui l'uso di mondo non bastò a sedare la dismisura desiderativa, il piacere istintuale del rischio che è al centro di una roulette in cui lo sfondo erotico va in secondo piano. Perché DSK sarà forse un Mr. Hyde – altra metafora liberatoria infilata nella toppa delle manette ai polsi dell'arrestato – ma può esserlo solo a patto di riconoscere in lui anche e sopra tutto un Dr. Jekyll ricolmo di meritate benemerenze.

    Questa volta l'unità di misura imbracciata da Barbara Spinelli è in apparenza assai poco puritana e rozza; ovvero è fin troppo luterana lì dove il suo monoteismo moralista sembra spingerla a chiamare in causa – per il tramite di Borges: “Dio muove il giocatore, e questi il pezzo. Quale dio dietro Dio la trama ordisce di tempo e polvere, sogno e agonia?” – l'origine non peccaminosa del peccato. Spinelli non osa assolvere DSK urlando “pecca fortiter”, ma singolarmente ne declassa il presunto reato di stupro animalesco per farne un tradimento di famiglia culturale. Ecco il punto: al fondo di sé lo stupratore “non era un antipolitico come Berlusconi, ma si è comportato come se lo fosse”. E la sua vicenda è “talmente incredibile che allo stupore s'aggiunge qualcosa di infuriante”. Dolore s'aggiunge a stupore, pare aver confidato a se stessa Barbara, dal momento che DSK era uno dei suoi prima che quella forza incognita e bruta lo sopraffacesse, esiliandolo dal giorno alla notte fuori dal cono dei Lumi della sua patria ideale.

    Precipitato dal salotto dell'universalismo perbene, e così prudentemente parigino, al saloon postribolare del più volgare fra gli archetipi (il berlusconismo, nulla di più antiletterario e inappellabile), DSK esemplifica “una gigantesca sconfitta politica” che è al contempo un caso di scuola filosofica. Il caso in cui il principio di contraddizione altrove assunto come legge marziale – o sei contro Berlusconi, o sei come Berlusconi – non sarà mai sufficiente a spiegare la doppiezza di un blasonato consanguineo che violenta una cameriera dal colore e dallo status rivelativi d'una servitù scandalizzante, laddove invece doveva naturaliter salvare i paesi poveri e la Grecia e il Portogallo. In casi come questi, appunto, nemmeno la più pura Spinelli può affidare l'istanza di scarcerazione al giudice. Deve ricorrere alla letteratura, sperabilmente a un noir politico dal lieto fine.