Le contromisure del Tesoro
Per fermare il massacro siriano, Obama colpisce Assad con le sanzioni
Gli Stati Uniti hanno approvato nuove sanzioni economiche contro il presidente della Siria, Bashar el Assad, e sei uomini del suo regime. E' così che il presidente americano, Barack Obama, cerca di allentare la pressione sui civili che protestano da settimane in ogni città della Siria chiedendo riforme e democrazia.
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Gli Stati Uniti hanno approvato nuove sanzioni economiche contro il presidente della Siria, Bashar el Assad, e sei uomini del suo regime. E' così che il presidente americano, Barack Obama, cerca di allentare la pressione sui civili che protestano da settimane in ogni città della Siria chiedendo riforme e democrazia. Oltre ad Assad, sulla lista del dipartimento del Tesoro ci sono il vicepresidente, Farouq al Shara, il primo ministro, Adel Safar, il responsabile dell'Interno, Mohammad al Shaar, il capo della Difesa, Ali Habib, quello dell'intelligence militare, Abdul Fatah Qudsiya, e il direttore dell'Ufficio per la sicurezza politica, Mohammed Dib Zaitoun. Le sanzioni permettono di congelare i loro beni negli Stati Uniti e di impedire ogni loro movimento sul mercato americano. L'Ue si muove con lo stesso passo: ha dato il via libera ad alcuni provvedimenti contro Damasco, ma ha preso tempo per decidere se includere el Assad nel pacchetto.
Secondo gli attivisti siriani, 700 civili sono già morti dall'inizio della protesta. L'esistenza di una fossa comune a Deraa denunciata nei giorni scorsi dall'opposizione è stata confermata da una fonte dell'amministrazione locale. Il quotidiano libanese as Safir, che solitamente esprime aperte simpatie per la Siria, ha citato le parole di un funzionario anonimo di Daraa: “Domenica scorsa è stato reso noto il ritrovamento di cinque corpi nella zona di Bahhar, nella parte vecchia di Daraa”. Secondo la stessa fonte, “una commissione governativa sta indagando su quanto accaduto. Un medico dell'ospedale di Daraa, Ali F., ha dichiarato che i funerali di 25 di queste vittime si sono tenuti ieri, e che la sepoltura è stata seguita da una manifestazione di protesta”. In realtà, Amar Qurabi dell'organizzazione per i diritti umani Ondus ha denunciato l'esistenza di due fosse comuni, una con 24 corpi – compresi quelli di donne e bambini con il volto sfigurato – e l'altra con sette corpi.
Secondo altre fonti, in una delle fosse sarebbero stati trovati 43 corpi. La conferma della pratica delle fosse comuni dimostra l'efferatezza delle milizie del regime e ricorda le abitudini dei due partiti Baath – quello siriano e quello iracheno – e dei loro leader. Bashar al Assad rinnova le stesse tecniche stragiste messe in atto da Saddam Hussein contro le rivolte degli sciiti e dei curdi iracheni.
La rivoluzione siriana, tuttavia, non si è ancora fermata. Le forze dell'opposizione hanno indetto ieri uno sciopero generale che anticipa l'appuntamento dei “venerdì della collera”. Non sono filtrate notizie sul successo di questa nuova forma di protesta, ma è evidente che – nonostante la ribellione sia ancora viva a Tal Kalakh, Nawa, Suwayda, Kanakir e a Homs – nel complesso la crudeltà della repressione è riuscita a indebolire la mobilitazione popolare. E' terribile la testimonianza di un manifestante di Tal Kalakh, dove ieri sono stati uccisi otto oppositori: “Sembra una città fantasma, ci sono decine di feriti che non possiamo evacuare, è un massacro”. L'agenzia ufficiale Sana parla di nove vittime militari (compreso il capo della polizia politica) negli scontri scoppiati a Homs. I soldati non sono morti per l'azione di “terroristi”, come dice la tesi ufficiale del governo, ma più probabilmente nelle sparatorie tra milizie fedeli al governo e militari di leva sunniti che si rifiutano di sparare sulla folla. E' avvenuto lo stesso sia a Daraa sia a Latakia. Certo è che Bashar el Assad ritiene di avere avuto ragione della protesta, come ha detto ieri Issam Maatuq, il membro di una delegazione di “gente comune” del quartiere sunnita Midan di Damasco, che è stato ricevuto dal rais. Per Maatuq, “il presidente ha detto che la crisi è alla sua fine”. El Assad avrebbe anche ammesso che “ci sono stati errori interni che si sono accumulati e che hanno contribuito a creare il terreno per la situazione attuale, i mezzi d'informazione ne hanno poi approfittato per sobillare”.
E' presto per valutare se la sicumera dimostrata dal raìs siriano sia o meno giustificata e se la protesta sia destinata a soccombere sotto i colpi delle milizie fedeli al fratello del presidente, Maher el Assad, i cui carri armati continuano a occupare molti centri del paese. Di sicuro si è registrata la colpevole lentezza della comunità internazionale nell'esercitare pressioni efficaci per costringere el Assad a cessare la sua politica di eccidi. La scelta europea di evitare al presidente le sanzioni personali stabilite contro tredici esponenti del regime – nella speranza di indurlo a una politica riformista – è stata ripagata dalla scoperta delle fosse comuni. Ora, sia la Casa Bianca sia l'Unione europea applicano nuove e più pressanti sanzioni contro Damasco. Ma il presidente russo, Dmitri Medvedev, ha annunciato che Mosca opporrà il veto alla risoluzione di condanna della Siria nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu: “Non darò sostegno alla risoluzione neanche se mi pregheranno di farlo. E' triste come queste risoluzioni possano essere manipolate”. Il riferimento alla Libia è evidente. Troppo poco, dunque, e troppo tardi. E lo spirito di Sreberenica incombe ormai sulla Siria.
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