Uno Scaroni segreto su Libia, concorrenza francese e nucleare

Michele Arnese

Pensate che l'Eni stia vivendo con preoccupazione l'offensiva militare dell'occidente contro il regime di Gheddafi con cui il gruppo italiano ha chiuso in passato fruttuosi accordi? Pensate che il Cane a sei zampe tema la concorrenza in Libia del colosso francese Total? Pensate che il colosso petrolifero italiano sia ben contento che il nucleare dopo l'incidente di Fukushima è in declino non solo in Germania? Bene. Però sappiate che Paolo Scaroni, dimostra tesi esattamente contrarie.

    Pensate che l'Eni stia vivendo con preoccupazione l'offensiva militare dell'occidente contro il regime di Gheddafi con cui il gruppo italiano ha chiuso in passato fruttuosi accordi? Pensate che il Cane a sei zampe tema la concorrenza in Libia del colosso francese Total? Pensate che il colosso petrolifero italiano sia ben contento che il nucleare dopo l'incidente di Fukushima è in declino non solo in Germania? Bene. Però sappiate che contro tutte queste vostre convinzioni il capo azienda dell'Eni, Paolo Scaroni, dimostra tesi esattamente contrarie. A dimostrarlo è stato lo stesso Scaroni nel corso di un recente intervento riservato ai giovani studenti della Bocconi che il Foglio è in grado di ricostruire.

    “La logica d'intervento portata avanti dalla comunità internazionale in alcune aree del mondo con carenza di democrazia – ha detto Scaroni – ha portato conseguenze positive”. A partire dall'Iraq? “Anche se il percorso continua a essere molto difficile, la sicurezza e la democrazia hanno fatto grandi progressi. Ne è un esempio lo svolgimento delle ultime elezioni nel paese, alle quali hanno partecipato più del 60 per cento degli iracheni. Nella stessa direzione vanno i dati sull'alfabetizzazione, sull'accesso ai servizi sanitari, sulle utenze di Facebook (che forse possiamo considerare un nuovo indicatore di libertà di pensiero e associazione), sul pil, cresciuto del 5,5 per cento nel 2010, e non ultimo sulla performance dell'Iraq Stock Exchange, che negli ultimi dodici mesi ha registrato un incremento del 35 per cento”.

    Però l'intervento in Iraq aveva anche ragioni energetiche, ha riconosciuto il capo azienda dell'Eni davanti ai giovani bocconiani. “L'aver portato l'Iraq nel novero delle nazioni democratiche del mondo indubbiamente ha un'altra ricaduta positiva, che ci riguarda tutti, sulla sicurezza degli approvvigionamenti energetici globali. Dal punto di vista energetico, l'Iraq è un colosso potenziale, con 115 miliardi di barili di riserve, equivalenti al 10 per cento delle riserve globali. Ora può ritornare a essere un colosso reale: il paese si è posto il target di produrre 12 milioni di barili di petrolio al giorno al 2017, ovvero il 40 per cento di più di quello che oggi produce l'Arabia Saudita. Che l'Iraq riesca in questo gigantesco sforzo, al quale Eni partecipa, è una questione tutta da vedere, ma non c'è dubbio che, con i campi iracheni progressivamente in produzione, la sicurezza energetica globale migliorerà in modo significativo”.

    Scaroni segue in questi giorni con attenzione – qualche osservatore direbbe con apprensione – i cambi di regime nel nord Africa. Nessuna apprensione, invece, secondo Scaroni, nonostante gli accordi sottoscritti in passato con Muammar Gheddafi: “La cosa che salta all'occhio è che la Libia ha imboccato un percorso diverso dagli altri stati arabi. Le rivoluzioni in Egitto e Tunisia sono state relativamente pacifiche, mentre episodi di violenza in altri stati non hanno a oggi stimolato un intervento internazionale”. “Come se lo spiega?”, gli hanno chiesto i bocconiani. “Leggendo i giornali, potrebbe sembrare che l'occidente abbia scelto di intervenire in Libia, e soltanto in Libia, per ragioni di sicurezza energetica”. I giornali non dicono il vero? “Questa teoria non trova supporto nei dati. Per quanto riguarda il petrolio, il contributo della Libia è assolutamente minimo: meno del 2 per cento del consumo mondiale di petrolio viene soddisfatto dalla Libia, e dall'inizio della crisi l'Arabia Saudita ha aumentato le sue produzioni per compensare la sospensione delle esportazioni libiche”. Però nel metano il peso di Tripoli è maggiore. “Nel settore del gas la Libia gioca un ruolo più importante, ma ancora relativamente contenuto: le esportazioni libiche di circa 10 miliardi di metri cubi di gas naturale all'anno, equivalgono a poco più del 10 per cento del consumo italiano, e circa il 2 per cento del consumo europeo. Tra capacità di stoccaggio, che in Italia ammonta a 13 miliardi di metri cubi, e fonti alternative di approvvigionamento, per il momento possiamo far fronte alla sospensione delle esportazioni libiche con relativa serenità”.

    Scaroni è ricorso a un paragone per ridimensionare la rilevanza strategica della Libia: “L'Algeria gioca un ruolo molto più importante della Libia per quanto riguarda la nostra sicurezza degli approvvigionamenti; più del 30 per cento del consumo italiano viene soddisfatto dall'Algeria, e oltre il 10 per cento del consumo europeo”. Difficile negare, come hanno rimarcato tutti gli osservatori, che gli interessi francesi sulla Libia mirano a soppiantare l'Italia, e l'Eni, come partner privilegiati di Tripoli.

    Eppure Scaroni ha detto: “Sotto il capitolo ‘chiacchiere da bar' metterei la teoria secondo la quale la Francia ha assunto un ruolo preminente nell'intervento militare contro Gheddafi nella speranza che, una volta instaurato il nuovo regime, questo potesse favorire la compagnia energetica francese Total”. Scaroni ha poi spiegato, rassicurando: “Le attribuzioni di concessioni petrolifere non funzionano così. Innanzi tutto sono regolate da contratti internazionali, validi anche in situazioni di cambio di regime, con clausole arbitrali forti e particolarmente efficaci in casi come quello della Libia, che ha ingenti somme congelate in banche internazionali. Oltre alla legge, poi, spingono per la continuità delle concessioni gli interessi di un nuovo regime: chi arriva vuole ricominciare a produrre petrolio – e a incassare – il più rapidamente possibile. Questo favorisce un operatore come Eni, che in Libia conosce campi e uomini, e che può riportare la produzione ai livelli pre-crisi rapidamente. Non ultimo, la Libia esporta il suo gas attraverso un tubo, il Greenstream, che la collega a Gela in Sicilia. Questo tubo non si può spostare: il gas non può essere esportato in Spagna o in Francia. Ne consegue che qualunque regime ha tutto l'interesse a mantenere gli accordi esistenti, in particolare con noi”.

    Il realismo del capo azienda dell'Eni si estende anche al nucleare: “A Fukushima sono seguite chiusure e ritardi nei programmi nucleari di tutto il mondo. Credo che questa sarà una policy di breve durata, perché il nucleare è troppo importante per la diversificazione delle fonti energetiche e per la riduzione delle emissioni”.

    Quel che è certo è che “sospensioni e ritardi nel nucleare si tradurranno in un aumento dei consumi di gas naturale, che è il combustibile fossile più pulito, e che è inoltre abbondante e facile da utilizzare. Solo in Giappone, il disastro porterà a un aumento dei consumi di gas di 10 miliardi di metri cubi all'anno, quantità che verranno principalmente dal Qatar”. Da dove verrà tutto questo gas? “A oggi l'unico paese fornitore dell'Europa in grado di far fronte d un forte incremento della domanda è la Russia, che è già il nostro primo fornitore”.