L'orrore di Finkielkraut, “il caso DSK è rivelatore dell'identità americana”

Marina Valensise

In Francia hanno provocato stupore i metodi della giustizia americana e il trattamento riservato al direttore del Fondo monetario internazionale, Dominique Strauss-Kahn, fino a sabato scorso candidato in pectore per le presidenziali del 2012 e ora ridotto agli arresti domiciliari dopo essere passato per la cella di uno dei penitenziari più duri d'America.

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    In Francia hanno provocato stupore i metodi della giustizia americana e il trattamento riservato al direttore del Fondo monetario internazionale, Dominique Strauss-Kahn, fino a sabato scorso candidato in pectore per le presidenziali del 2012 e ora ridotto agli arresti domiciliari dopo essere passato per la cella di uno dei penitenziari più duri d'America. I penalisti protestano, i giornalisti giustificano DSK, gli esperti sfornano distinguo tra sistema inquisitorio e accusatorio, i filosofi speculano.

    Alain Finkielkraut, critico severo del politicamente corretto e delle scorciatoie totalitarie che la democrazia rischia di prendere quando persegue l'assoluta trasparenza, si dice “sconvolto” e confessa un “sentimento di compassione” nei confronti dell'ex ministro. “Qualunque cosa abbia fatto, DSK vive una situazione atroce, con la prospettiva di una condanna a 74 anni di carcere. Da un giorno all'altro, la sua vita è scivolata nell'incubo”.

    Un crollo verticale dai vertici del potere mondiale. Quando però si chiama in causa l'identità francese che questa tragedia pare mettere in crisi, Finkielkraut reagisce da patriota. “Non vedo in che senso. Ammettiamo che DSK sia colpevole: è un singolo individuo responsabile di un'aggressione, perché affetto da una patologia sessuale. Sono casi rari che esistono però in ogni paese, non hanno niente di rappresentativo”. E l'imbarazzo che i francesi fossero sul punto di candidarlo alla più alta carica dello stato nemmeno lo sfiora: “I francesi non hanno l'abitudine di comportarsi in questo modo con le donne, sono loro che hanno inventato la galanteria”. Il punto cruciale per Finkielkraut è un altro: il caso DSK è rivelatore dell'identità americana, anzi di un'immagine rovinosa dell'America. “Mostra la barbarie di un sistema giudiziario che prevede il perp walk, la passeggiata del boia coi poliziotti che ostentano l'accusato come un trofeo. Della presunzione di innocenza, l'America sembra fregarsene”. A questa barbarie, che affonda le radici nella legittimazione violenta della forza legittima, come spiegano gli esperti, se ne aggiunge anche un'altra, l'addizione delle pene. “Se DSK avesse sgozzato la donna, sarebbe stato condannato all'ergastolo, in Europa sarebbe uscito dopo 22 anni. In America invece per le varie accuse rischia 74 anni di carcere, condanna completamente sproporzionata. Lungi da me dal voler sottovalutare la violenza, posto che l'accusa sia vera, ma il sistema giudiziario americano funziona così”. Infatti in America la legge vale per tutti, l'ultimo degli ultimi ha gli stessi diritti del più potente della terra. “E noi siamo soddisfatti perché i potenti non sfuggono alla giustizia? Io ne sono orripilato”, ammette Finkielkraut. “Il fatto che il giudice Jackson abbia citato Polanski per giustificare la detenzione di DSK mi lascia esterrefatto. Gli americani dimenticano che il giudice del caso Polanski era stato revocato per parzialità e lacune, e la fuga del regista fu una sorta di legittima difesa. Ce l'hanno con l'Europa e in particolare con la Francia per non aver consegnato Polanski alla giustizia americana. Mai nella vita, dovessi essere pure costretto per non so quali ragioni, sceglierei di vivere in un paese con un tale sistema giudiziario”.

    Nemmeno l'argomento del “cultural divide” col sistema accusatorio e le altre peculiarità del processo penale americano riesce a contenere le critiche di Finkielkraut. “Non mi interessa conoscere la procedura americana, avrò il diritto di giudicare se mi pare folle o ingiusta: se si tratta di stabilire se un uomo offre o meno delle garanzie, se può fuggire o no, come minimo bisogna interrogarlo, fargli dire perché era salito sull'aereo. E invece niente. Il giudice Jackson ha deciso da sola in mezzo secondo. Si poteva immaginare una discussione collegiale, senza telecamere, invece niente. L'udienza filmata è stata un'infamia. L'accusato cercava di parlare, ma l'avvocato gliel'impediva. Il giudice ha detto di non voler discutere sul fondo della questione. Ha invocato il pericolo di fuga, ma DSK non ha preso l'aereo per fuggire”.

    Finkielkraut è sotto choc: “Intendiamoci, non conosco i fatti, e non ne sottovaluto la brutalità e nemmeno la sofferenza della vittima presunta. Ma il fatto che DSK rivestisse un ruolo pubblico non ha niente di esemplare. Offre solo l'occasione di un risentimento più atroce. Quest'uomo oggi è abbattuto in quanto è un potente della terra. Non solo il potere non lo protegge, ma la celebrità lo danneggia, rendendolo più fragile e più esposto. E i giudici si inebriano davanti all'opinione pubblica che resta pietrificata dalla loro audacia nell'applicare le leggi democratiche”.
    Per questo Finkielkraut parla di “accanimento giudiziario”. E' convinto che il giudice Melissa Jackson con la sua decisione “abbia voluto gloriarsi di umiliare un potente, per di più francese”.

    Così, il caso DSK finisce per esasperare le rivalità transatlantiche: “La giustizia americana non accetta di essere stata privata del piacere sadico di punire Polanski trent'anni dopo i fatti, e ora si vendica. Non so se DSK sia colpevole o innocente, non nego che l'atto di cui lo si accusa è assolutamente criminale, ma averlo trattenuto in carcere come un criminale indegno di libertà su cauzione rivela un sistema giudiziario spaventoso, quasi peggio della giustizia russa. E l'unica domanda che sorge spontanea è se l'America sia un paese civile”.

    L'altro aspetto inquietante è il pericolo di scardinare la tutela della vita privata dei potenti. “Adesso si comincia a dire che DSK era un donnaiolo acclarato, che tutti lo sapevano ma nessuno l'ha detto, e perciò per evitare che il caso si ripeta, da ora in poi sarà meglio denunciare i comportamenti devianti, anche a rischio di dare in pasto al pubblico le vite private dei politici, così grazie alla vigilanza dei giornalisti avremo una sorta di polizia preventiva della vita sessuale. Ora io non conosco DSK, non sono amico suo, non l'avrei votato, non penso nemmeno fosse il miglior candidato della sinistra, ma da semplice testimone lo considero uno scenario agghiacciante, che ripropone l'incubo totalitario di George Orwell”. Intanto, il 57 per cento dei francesi pensa si tratti di un complotto o quanto meno di una trappola. “Viviamo nel mondo dei serial tv, dobbiamo per forza credere a plot e macchinazioni. E già mi immagino le ripercussioni che avrà sull'opinione pubblica planetaria il faccia a faccia tra la giovane madre di colore e il potente banchiere accusato di averla aggredita…”.

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