Italiani più poveri? Eppure i numeri Istat dicono il contrario

Michele Arnese

“So che ci sono dei poveri ma considero discutibile la rappresentazione” secondo cui un italiano su quattro sarebbe povero. Così ieri si è espresso il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, commentando il rapporto Istat 2010 sulla situazione dell'Italia. Dall'analisi di oltre 400 pagine, stampa e televisioni hanno estrapolato in particolare i dati sulla povertà, considerata crescente secondo l'interpretazione pressoché unanime. Eppure, leggendo il testo e le tabelle con i raffronti storici e i confronti tra stati, l'allarme della relazione dell'Istituto nazionale di statistica presieduto da Enrico Giovannini si stempera.

    “So che ci sono dei poveri ma considero discutibile la rappresentazione” secondo cui un italiano su quattro sarebbe povero. Così ieri si è espresso il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, commentando il rapporto Istat 2010 sulla situazione dell'Italia. Dall'analisi di oltre 400 pagine, stampa e televisioni hanno estrapolato in particolare i dati sulla povertà, considerata crescente secondo l'interpretazione pressoché unanime. Eppure, leggendo il testo e le tabelle con i raffronti storici e i confronti tra stati, l'allarme della relazione dell'Istituto nazionale di statistica presieduto da Enrico Giovannini si stempera. Infatti in due dei tre indicatori selezionati nella Strategia Europa 2020 la “povertà” in Italia diminuisce e non cresce: cala (dal 18,9 per cento al 18,4 per cento) la “popolazione in famiglie a rischio di povertà dopo i trasferimenti sociali” e decresce (dal 10,3 per cento all'8,8 per cento) pure la “popolazione in famiglie a intensità lavorativa molto bassa”, mentre cresce (come anche in Francia e Germania) la “popolazione in famiglie con grave deprivazione materiale”.

    Non c'è dubbio che, come si legge nella relazione dell'Istat, “in termini percentuali in Italia, nel 2009, considerando i redditi disponibili per le famiglie a seguito dei trasferimenti sociali (che, nel nostro paese, consistono quasi totalmente nei trasferimenti pensionistici), quasi un quinto della popolazione residente (il 18,4 per cento) risulta a rischio di povertà”. “Il valore osservato – aggiungono i ricercatori dell'Istat – è più elevato della media europea, sia essa calcolata sui paesi dell'area euro (15,9 per cento), sia essa calcolata sull'Unione a 27 (16,3 per cento)”. Ma livelli simili a quello italiano caratterizzano Grecia (19,7 per cento), Spagna (19,5 per cento), Portogallo (17,9 per cento) e Polonia (17,1 per cento). Inoltre “questi quattro paesi – spiega il rapporto – mostrano valori di reddito medio e mediano inferiori a quelli registrati in Italia, la quale è caratterizzata da un valore superiore a quello medio dell'Unione a 27”. Inoltre, come rimarcano i ricercatori Istat in una nota a piè di pagina, “se si considerano le variazioni su più anni, tra il 2007 e il 2009 si osserva una diminuzione significativa del rischio di povertà”.

    La progressiva povertà assume una connotazione differente se si guarda una tabella dello stesso rapporto Istat: quella che confronta la situazione degli stati dal 2005 al 2009. Ebbene la “percentuale di popolazione di famiglie a rischio povertà dopo i trasferimenti sociali” negli ultimi anni in Italia è calata e non aumentata: era del 18,9 per cento nel 2005 ed è diventata del 18,4 per cento nel 2009. Invece in Francia è rimasta pressoché stabile al 13 per cento e in Germania è addirittura cresciuta, passando da 12,2 al 15,5 per cento. Stessa tendenza si riscontra per l'indicatore complessivo (“popolazione in famiglie a rischio di povertà o esclusione”) della povertà. Il dato italiano (24,7 per cento) ha destato scalpore, eppure è di poco superiore alla media dei 27 paesi dell'Unione (23,1 per cento) ed è in leggero calo rispetto al 2005, quando fece segnare quota 25 per cento. In Germania, invece, il dato è cresciuto dal 18,4 per cento del 2005 al 20 per cento del 2009 ed è rimasto stabile in Spagna (23,4 per cento). Una curiosità che induce a far riflettere quando si maneggiano le statistiche: in Grecia negli ultimi anni la “povertà” è calata: i poveri erano il 29,4 per cento nel 2005 e nel 2009 sono diminuiti a 27,6. Nel frattempo Atene è prossima al default.

    A cercare di contestualizzare i dati italiani enfatizzati è stato ieri il presidente dell'Istat: “Sono rimasto sorpreso da quanto riportato dai giornali – ha detto Enrico Giovannini – hanno confuso i dati sulla povertà col rischio di povertà e il rischio di esclusione sociale”. “L'indicatore della povertà è stabile al 13 per cento – ha aggiunto il presidente dell'Istat – mentre al 25 per cento è l'indicatore, scelto dai governi a livello europeo, che comprende i rischi di povertà e i rischi di esclusione sociale. Un indicatore, come evidenziato nel Rapporto sulla situazione dell'Italia, che anche in questo caso è abbastanza stabile”.