Lo specchio rotto di DSK

Marina Valensise

La Palma d'oro di Cannes avrebbero dovuta darla a Dominique Strauss-Kahn”, dice Jean-Paul Enthoven, romanziere e amico dell'ex direttore del FMI, nel suo studiolo dall'editore Grasset. I francesi hanno ancora voglia di scherzare, ma vivono il caso DSK come un trauma, un'incredibile tragedia e soprattutto come lo specchio dei costumi nazionali, si tratti di rapporti tra uomo e donna o di arroganza del potere e di indulgenza dei media. In balìa di una psicoanalisi forzata, da dieci giorni non si parla d'altro.

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    La Palma d'oro di Cannes avrebbero dovuta darla a Dominique Strauss-Kahn”, dice Jean-Paul Enthoven, romanziere e amico dell'ex direttore del FMI, nel suo studiolo dall'editore Grasset. I francesi hanno ancora voglia di scherzare, ma vivono il caso DSK come un trauma, un'incredibile tragedia e soprattutto come lo specchio dei costumi nazionali, si tratti di rapporti tra uomo e donna o di arroganza del potere e di indulgenza dei media. In balìa di una psicoanalisi forzata, da dieci giorni non si parla d'altro. Nelle case, per strada, sui luoghi di lavoro, nei bar, nei ristoranti è un continuo di analisi, commenti, riflessioni, un misto crescente di sorpresa, costernazione, dove tra pianti e risa entra in scena il rimosso, il senso di colpa, l'atto mancato, l'autosabotaggio l'umiliazione di tutta una nazione. All'inizio non si riusciva a credere che il direttore del Fondo Monetario Internazionale, l'ex ministro socialista delle Finanze, potenziale candidato alla presidenza della Repubblica atteso come un messia all'apertura delle candidature per le prossime primarie del Ps il 28 giugno, potesse venire accusato di tentato stupro e sequestro di persona da una cameriera del Sofitel di New York. Per questo si è subito pensato al complotto. “Quando la notizia è talmente enorme hai bisogno di una realtà di sostituzione per sopportarla”, dice Enthoven, che dell'abate Barruel e della teoria del complotto rivoluzionario è stato uno specialista ai tempi del seminario di François Furet. Al complotto anti DSK ha creduto per tre ore, salvo cedere alla razionalità: quale interesse avevano le potenze del Brics a fare fuori un direttore del FMI in carica ancora per un mese? E quale vantaggio avevano i sarkozisti, che sul caso mantengono un severo riserbo, a eliminare un anno prima il concorrente più pericoloso nella corsa all'Eliseo?

    “La caduta di DSK per noi è l'equivalente dell'11 settembre”, dice al Foglio Michaël Darmon, il cronista politico più famoso del momento, che compare anche in “La Conquête”, il film-documentario sulla vittoria di Sarkozy quattro anni fa. Per convincersi che era tutto vero, i francesi hanno passato dieci giorni incollati alla tv, guardando e riguardando il film dell'arresto di DSK. Le immagini della “perp walk”, col candidato in pectore alla presidenza che esce dal commissariato, vitreo in volto, la barba sfatta, avanza in manette con uno stuolo di poliziotti nerboruti al fianco, sale in macchina e prende posto al centro del sedile di dietro, sono sfilate 24 ore su 24 nei molti canali all news. “La passeggiata della vergogna” è stata vissuta come un insulto alla nazione che dal 2000 grazie alla legge Guigou vieta le immagini di un imputato in manette.

    I francesi sono rimasti sorpresi.
    “E' apparso a tutti inverosimile che un uomo tanto ricco e potente, che poteva togliersi tutti gli sfizi del mondo, potesse avere bisogno di violentare una donna delle pulizie”, spiega il politologo della Sorbona Philippe Raynaud, e sottolinea come l'inverosimiglianza all'inizio sia stata corroborata anche dalle incongruenze sulla cronologia. “Per questo, insistere sulla difesa di DSK e sulla presunzione di innocenza non dico fosse giustificato, ma comprensibile”. Per arginare la brutalità della giustizia americana, il socialista Harlem Désir ha invocato l'intervento dell'Eliseo, come se DSK fosse finito in qualche foresta tropicale. Qualcun altro ha preteso che le immagini dell'arresto venissero oscurate in Francia. “Vedere DSK in tribunale è un cortocircuito tra due concezioni della democrazia”, spiega Michaël Darmon, “da un lato, la democrazia monarchica alla francese, che protegge i potenti, e per giorni ha parlato solo della presunzione di innocenza di DSK, senza una parola per la vittima; dall'altro, la democrazia americana, che sarà pure violenta, ma non esita a trattare allo stesso modo una cameriera e un potenziale presidente della Repubblica”.

    E' proprio quest'idea
    che ora è difficile da accettare. Eppure anche i francesi hanno fatto la rivoluzione per combattere i privilegi di ancien régime e imporre l'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge. In nome dell'astrazione illuministica, hanno sempre rincorso la democrazia in America come la quintessenza di un progetto di emancipazione universale, al quale essi stessi avevano fornito un contributo essenziale. “Sono due repubbliche che hanno principi comuni e interpretazioni divergenti quanto all'ineguaglianza economica”, spiega Raynaud. “In Francia, il caso DSK è complicato, perché è un uomo ricco e percepito come ancora più ricco. I francesi amano l'eguaglianza sociale, ma nutrono una tradizionale diffidenza verso la giustizia e lo stato, non hanno una grande fiducia nella legge. Coltivano una sorta di indulgenza verso la mancanza di moralità dei potenti, perché pensano che per i potenti sia naturale abusare del potere. I francesi fanno molta attenzione all'eguaglianza di fronte alla legge, ma insistono sull'argomento della capacità economica: la giustizia americana tratta i potenti allo stesso modo dei deboli, poi però condanna a morte i poveri più che i ricchi, e l'errore giudiziario miete più vittime là dove non ci sono soldi per evitarlo. In sostanza, per i francesi la giustizia americana ha il merito principale di produrre buon cinema, ma non persuade. In un paese che accetta l'ineguaglianza economica, dove Donald Trump può pensare di candidarsi alla presidenza perché è più ricco del candidato mormone, insistere sull'eguaglianza davanti alla legge è una contrappeso: per questo si dà la soddisfazione di fare cadere un potente con una procedura fondata sul giurì popolare. Rispetto alla nostra, quella americana è un'altra cultura dell'eguaglianza, coi suoi vantaggi e inconvenienti. La maggioranza dei francesi però non la capisce e chi la capisce non la capisce del tutto”.

    E infatti adesso, davanti alla caduta di DSK, amico di molti sinceri democratici esponenti della “gauche caviar”, campione di quell'aristocrazia egalitaria fondata sul merito e sul sistema di selezione per concorso delle grandi scuole repubblicane e dunque naturalmente votata all'esercizio della responsabilità politica, non c'è nessuna nostalgia per la democrazia in America, nemmeno in quell'aspirante emulo di Tocqueville che pretende essere Bernard-Henri Lévy, da sempre fanatico dell'atlantismo e dei suoi valori come chiave di volta per difendere l'occidente. “Un conto è l'eguaglianza, un conto è l'iniquità”, avverte Jean-Paul Enthoven che di BHL è collaboratore e amico, come lo è pure di DSK e della moglie Anne Sinclair. “Col pretesto dell'eguaglianza, il sistema giudiziario americano fabbrica iniquità”. Gli americani, secondo Enthoven, avrebbero dovuto fermarlo, avvisarlo che c'era una denuncia contro di lui, spiegargli che lo trattenevano a New York perché la Francia non estrada, chiarire i fatti senza clamore e dargli la possibilità di difendersi. Invece hanno divulgato su scala planetaria la notizia dell'arresto e diffuso urbi et orbi le immagini della perp walk: “L'hanno voluto ‘pulvériser' solo perché era un potente della terra”, accusa Enthoven. “Il trattamento che gli è stato riservato è uno scandalo. La giustizia americana ha una procedura barbarica, quel tempo lungo riservato all'accusa, quel modo di far intendere che tutto si può risolvere col danaro, la fretta di far apparire l'imputato come colpevole, di sbatterlo a Rikers Island sulla base di una semplice testimonianza mi pare intollerabile. Il giudice americano ha protetto la vittima presunta dicendo che non bisognava esercitare pressioni, ma nulla ha fatto per evitare pressioni sul giurì popolare che secondo la stampa stava per gudicare un libertino ricco e perverso, un politico moralmente corrotto”. Ma – obiezione – la stampa è libera in America, e il giurì ha lavorato a porte chiuse. “Il fatto di essere una star, o un uomo famoso non ti dà più diritti, ma nemmeno meno diritti di un altro. DSK è stato costretto a dimettersi dal FMI in 48 ore, ha dovuto rinunciare alla sua vita, alla carriera, al suo destino”. I francesi dunque non sapranno molto della procedura giudiziaria americana, ma hanno visto come funziona una grande democrazia, e hanno capito che può essere un lavoro duro e doloroso, anche se in America si può ottenere la libertà su cauzione, senza peraltro sfuggire al rigore dei capi d'accusa, com'è successo a DSK, che nonostante i milioni di cui dispone non è ancora riuscito a trovare un appartamento a Manhattan, visto il rifiuto di molti condomini, tant'è che la moglie ora è in cerca di una casa individuale.

    Intanto continua la pioggia di indiscrezioni. Prima sono trapelate le circostanze in cui la cameriera è stata trovata dai suoi colleghi del Sofitel, traumatizzata e in lacrime, accovacciata nel corridoio, mentre cercava di sputare a terra e vomitare. Poi è arrivata la notizia delle tracce di sperma sul colletto della divisa della donna, e la conferma che dalle analisi del Dna risulterebbe quello di DSK. I francesi però continuano a diffidare. Anche loro come Benjamin Brafman, l'avvocato dei casi disperati che canta vittoria ogni volta che deve sgonfiare le accuse (e per questo secondo alcuni andrebbe licenziato in tronco) sono convinti che tra il direttore del FMI e la cameriera non ci sia stata violenza, ma un rapporto consenziente. Il che resta da dimostrare.
    Così per chiarire il caso i francesi hanno aperte le dighe, liberandosi da ogni senso del pudore. Nei dîners en ville è tutto un fiorire di riflessioni semiridanciane sulla “fellation imposée”. Accademici serissimi, studiosi di Racine e di Pascal, disquisiscono senza complessi sulle technicalities dell'orgasmo. Come è possibile estorcere una fellatio? Si domandano increduli. Semplice, rispondono vecchie signore disinibite e cominciano a mimare la sorpresa dell'attacco, la nuca immobilizzata dalla presa possente dello stupratore presunto, lasciando poco o niente all'immaginazione. Lo stesso interrogativo sulla “fellation imposée” serpeggia intorno al desco familiare: qui sono i figli adolescenti a rispondere con un solo gesto (cioè tappandosi il naso), mentre i genitori approvano, scafati. “E' l'unica situazione in cui l'uomo si espone al massimo della vulnerabilità”, precisa il romanziere Enthoven, che di seduzione e di galanteria, di politesse e di amour fou, e dell'amore del piacere passa per un sommo sacerdote qui a Parigi. Lui che pure lavora molto di immaginazione, per nulla al mondo vorrebbe valicare la frontiera che separa un rapporto tra adulti consenzienti, dal tentativo di violenza sessuale, “reato abietto ed esecrabile” ai suoi occhi. Perché in Francia il rispetto della privacy è un obbligo di legge, e una cosa è la seduzione, il libertinaggio, persino lo scambismo, gioiosa deriva dei corpi in balia dell'edonismo, altra cosa è la violenza. E per i francesi è un punto d'onore non seguire i tabloid anglosassoni, rispettare la privacy, fermandosi davanti alla porta della stanza da letto. “Chiunque di noi è al corrente degli amanti e delle amanti di un certo politico, dei loro incontri e delle loro abitudini sessuali. Ma a nessuno di noi verrebbe in mente di spiattellare in pubblico queste confidenze, a meno che, evidentemente, non ci sia una denuncia” dice Enthoven, seguendo in questo la dottrina di tutta la consorteria politico-mediatica che dirige l'opinione pubblica sul caso DSK. “E una denuncia non c'è mai stata”, nemmeno da parte di Tristane Banon, la figlioccia della seconda moglie e amica della figlia di DSK, e figlia di una consigliera regionale del Ps, che ha confessato in tv di aver subito un'aggressione dallo “chimpanzé en rut” nel 2002, ma non aveva sporto denuncia e ora ha deciso di non presentarsi nemmeno al processo americano.
    Che DSK fosse “un coureur, un tombeur, un homme à femmes impénitent”, lo riconoscono tutti, amici come Enthoven e nemici come il cattolico Paul-Marie Coûteaux: “La stampa anglosassone ci accusa di proteggere la vita privata, come se fossimo responsabili delle turpitudini altrui, ma da cattolico – dice l'eurodeputato – io difendo il segreto e mi oppongo all'evoluzione della stampa in senso inquisitoriale e poliziesco, e insisto nel dire che senza una querela non c'è indagine possibile”.

    Poi però è tutto un fiorire
    di pettegolezzi retroattivi. C'è sempre qualcuno che ricordi quella certa serata in cui DSK fu visto allungare la mano sotto il tavolo per raggiungere la coscia di una commensale, e dirottarla poi verso un'altra coscia più accogliente. Non manca mai l'ex studentessa di Sciences Po che ricordi gli inviti alle orge del simpatico professore. Tutti sapevano e tutti tacevano. Ma che DSK fosse un violento, mai e poi mai. Così c'è chi minimizza, come il direttore del settimanale Marianne, Jean-François Kahn. Gran fustigatore della politica, denunciatore del sarkofascismo, alla vigilia delle presidenziali del 2007, e dell'implacabile deriva “bling bling” del presidente, troppo arrendevole alle lusinghe della ricchezza, del lusso e della bella vita, ha perso un'occasione di fairplay. Intervistato da France Culture, ha parlato di “troussage de domestique”, espressione corriva che a molti è apparsa la spia di una condiscendenza ancien régime, visto che il verbo trousser riferito alle maniche significa rimboccarsele, ma riferito alle cameriere perde tutta la sua grazia operosa, per esprimere solo una forma di libido ancillare. Cosa davvero imperdonabile in un centrista radicale di sinistra, difensore della morale egalitaria e dell'emancipazione delle masse. “Ero imbarazzato” ha confessato poi Jean-François Kahn chiedendo scusa. Pure Jack Lang, altro amico di vecchia data di DSK, ha dovuto scusarsi per aver detto: “In fondo non c'è il morto”.

    E c'è chi si indigna come le femministe scese sabato in piazza per protestare contro il sessismo imperante, e puntare il dito contro l'assenza di compassione verso la presunta vittima. Mentre i libertini insorgono contro le forzature del politicamente corretto: “Negli anni Sessanta, Jean-Paul Sartre stabilì che un certo notaio di Bruay-en-Artois fosse colpevole di violenza contro una donna, solo perché borghese. Maurice Barrès diceva che Dreyfus era colpevole perché era ebreo. Questo tipo di ragionamento mi fa orrore”, dice Enthoven, “e lo trovo simmetrico al ragionamento di Gisèle Halimi, che sostiene che la cameriera, essendo nera, povera e musulmana deve per forza essere una vittima”.
    Gli unici che hanno saputo mostrare compassione alla presunta vittima, senza cadere nella trappola della presunzione di innocenza, sono stati i cattolici, che in Francia sono una minoranza. “L'unico quotidiano che ha affrontato il caso DSK in modo misurato, senza sparare grandi titoli e senza cedere al voyeurismo è stato la Croix” dice Jean-Claude Guillebaud, ex inviato di guerra e neoconvertito, e oggi editorialista del Nouvel Obs. Famoso per aver scritto anni orsono un articolo durissimo contro Michel Rocard, che alla domanda di un giornalista in tv, “faire une fellation est-ce tromper?”, invece di alzarsi e andarsene indignato rispose che no, non voleva dire tradire. Guillebaud è convinto che qualcosa vada cambiato. “Finora siamo stati attenti a proteggere la vita privata, ma il principio oggi va corretto. Da 20 anni a questa parte i politici hanno fatto della loro vita privata un argomento di promozione personale, esibendo mogli e figli come trofei. Un tempo l'intimità era minacciata dal totalitarismo, oggi invece prevale la logica dell'esibizione, dell'‘extimité', come dicono gli psicoanalisti. Perciò, non è assurdo aspettarsi che un candidato alla presidenza della Repubblica sia in grado di controllare le sue pulsioni”. Alla fine, però, anche il cristiano Guillebaud, come Enthoven l'epicureo, tenta con aria complice il paragone: “Del resto pure voi italiani, con Berlusconi, non scherzate”. Ma Guillebaud è pronto a riconoscere che i casi sono diversi, una cosa è una denuncia per tentata violenza, altra è essere oggetto della protesta di tante signorine deluse per il mancato invito. Viceversa Enthoven, con sublime perfidia, si presta all'interpretazione: “Noi francesi forse superiamo voi italiani per la gravità del caso DSK, ma voi italiani continuate di gran lunga a surclassarci. A noi tocca in sorte il candidato violentatore presunto, voi invece avete un presidente del Consiglio che sembra il nonnino nell'harem. Come al solito, anche stavolta, siete riusciti a recitare la parte meglio di noi”.

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