Il paradigma dello stato complottardo vuole colpevoli per il terremoto

Nicoletta Tiliacos

Il rinvio a giudizio, con l'accusa di omicidio colposo plurimo e lesioni, dei componenti della commissione Grandi rischi della Protezione civile che si era riunita all'Aquila sei giorni prima del terremoto del 2009, scrive un nuovo capitolo dell'eterno sottotesto della storia italiana che parla di complotto, incuria, dolo, stato corrotto. Di qualcosa che succede nascostamente, mentre l'Italia vive, arranca, lavora, e in cui la magistratura trova nuovi motivi di intervento e supplenza, mentre indica colpevoli già designati per il fatto di rivestire funzioni istituzionali.

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    Il rinvio a giudizio, con l'accusa di omicidio colposo plurimo e lesioni, dei componenti della commissione Grandi rischi della Protezione civile che si era riunita all'Aquila sei giorni prima del terremoto del 2009, scrive un nuovo capitolo dell'eterno sottotesto della storia italiana che parla di complotto, incuria, dolo, stato corrotto. Di qualcosa che succede nascostamente, mentre l'Italia vive, arranca, lavora, e in cui la magistratura trova nuovi motivi di intervento e supplenza, mentre indica colpevoli già designati per il fatto di rivestire funzioni istituzionali. Con la sua decisione, il Gup dell'Aquila si è fatto sismologo, ha stabilito la prevedibilità di quel terremoto e l'eluso dovere, da parte della commissione Grandi rischi, di diffondere i dati dell'allarme.

    Come in altri capitoli di quel sottotesto, c'è una narrazione parallela ai fatti acclarati. Pensiamo alla “strage di stato” a Piazza Fontana, con le tesi sempre revenant sulla responsabilità dei servizi deviati, o sul disastro di Ustica oggetto di copertura e depistaggio da parte di alti ufficiali italiani (tutti assolti). Le stesse bufale sulla trattativa tra stato e mafia, nei suoi capitoli via via più immaginifici e barocchi, e la messa sotto accusa di chi la mafia l'ha combattuta, come il generale Mori, rimandano a quell'inesauribile sottotesto che trova in una parte della magistratura una sponda perfetta.

    Nel caso dell'Aquila, si afferma l'idea della “strage”. Uno dei fondatori dell'associazione “309 martiri dell'Aquila” (Giustino Parisse, che il 6 aprile del 2009 ha perso due figli e il padre), ha detto che “il terremoto è il killer, i mandanti ora sono da individuare”. Lo storico Ernesto Galli della Loggia, editorialista del Corriere della Sera, fa notare che “è la strage di Piazza Fontana – prima la parola ‘strage' era stata usata solo per Portella della Ginestra – ad aver fornito il modello. Lì è nato un paradigma che fa ricondurre al malaffare statale ogni orrore, con l'altro paradigma della magistratura che ‘fa luce', che deve scoprire la verità. Anche dove, come in queste cronache dall'Aquila, la verità è il terremoto. Attenzione: non sto dicendo che non va perseguito chi ha costruito la casa dello studente con cemento inadatto. Lì, se sarà appurata, c'è una frode in appalto, e i responsabili vanno condannati. Ma è evidente la corruzione del linguaggio, se definiamo ‘martiri' le vittime del terremoto o i morti alla stazione di Viareggio, uccisi nel giugno del 2009 dall'esplosione di un carico di propano. Martiri sono i fratelli Bandiera, i cristiani al Colosseo, Salvo D'Acquisto. Martire significa ‘testimone', qualcuno che con la propria morte testimonia dell'adesione a certi valori ideali. Chi rimane vittima di una sciagura non è un martire. Ma nemmeno questa definizione è casuale, perché serve a condannare alla dannazione perpetua i presunti artefici del martirio”.

    C'è una strage, ci sono i martiri, deve esserci una colpa giuridicamente rilevante: la mancata onniscienza, il mancato allarme per il terremoto, il mancato rispetto di un principio di precauzione che, preso alla lettera, richiederebbe l'evacuazione dell'intera zona appenninica (ma nel 1985 la commissione Grandi rischi diede l'allarme per un terremoto in Garfagnana e l'allora ministro della Protezione civile, Zamberletti, ordinò l'evacuazione di circa centomila persone. Non ci fu nessun terremoto e Zamberletti finì sotto inchiesta per procurato allarme).

    Il tecnico di laboratorio Giampaolo Giuliani il terremoto dell'Aquila lo aveva previsto per il 29 marzo, e oggi è lui a dichiarare, dopo il rinvio a giudizio della commissione Grandi rischi, che “non è mai accaduto che su un fenomeno fisico fosse stata accertata una certa responsabilità di chi era preposto all'incolumità delle persone”. Vero. Anche nel caso del disastro del Vajont, avvenuto nel 1963 dopo il cedimento di una grande diga a seguito di una frana, ci furono tre condanne ma non fu riconosciuta la prevedibilità dell'evento (Indro Montanelli e Dino Buzzati parlarono di catastrofe naturale e accusarono di sciacallaggio i sostenitori del contrario).

    L'editorialista della Stampa e analista politico Luca Ricolfi, che pure concorda sulla lettura generale del vizio italiano di attribuire ogni male allo stato parallelo del malaffare, non si dice tuttavia “sicuro che l'episodio del terremoto dell'Aquila si inserisca in questo filone. C'è un'altra lettura possibile del rinvio a giudizio della commissione Grandi rischi – ma bisognerà leggere le motivazioni dell'ordinanza – ed è che siano stati nascosti dei dati importanti. Lo avevo sostenuto, controcorrente, dopo il terremoto: non c'è solo un problema di prevedibilità, ma di comportamenti da adottare quando non si è in grado di formulare previsioni esatte, ma solo probabilistiche. Bisogna per forza rinunciare a portare a conoscenza della popolazione certi dati? Parlerei di invadenza della magistratura se venisse imputato alla commissione il fatto di non aver previsto il terremoto. Se il problema è di informazioni che potevano o dovevano essere date, la questione rimane più aperta”.

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