Non pensarci, Giggs
Questo pomeriggio Sir Alex Ferguson lo fisserà negli occhi. Forse non avrà nemmeno bisogno di chiedergli qualcosa. Dopo ventiquattro anni passati insieme basterà uno sguardo per capire se Ryan Giggs è in grado di scendere in campo e battere il Barcellona dei fenomeni, cancellando la vergogna della finale di Roma di due anni fa, 2-0 per i catalani e Manchester United annichilito. Un calciatore che in ventun anni ha vinto trentatré trofei non avrebbe bisogno di guardare in faccia il suo allenatore per capire se è pronto per giocare.
Questo pomeriggio Sir Alex Ferguson lo fisserà negli occhi. Forse non avrà nemmeno bisogno di chiedergli qualcosa. Dopo ventiquattro anni passati insieme basterà uno sguardo per capire se Ryan Giggs è in grado di scendere in campo e battere il Barcellona dei fenomeni, cancellando la vergogna della finale di Roma di due anni fa, 2-0 per i catalani e Manchester United annichilito. Un calciatore che in ventun anni ha vinto trentatré trofei non avrebbe bisogno di guardare in faccia il suo allenatore per capire se è pronto per giocare. Un giocatore che ha già vinto due Champions League e, a trentasette anni, arriva da una delle sue stagioni più belle, non dovrebbe avere dubbi. Giggs sa come funziona, conosce la tensione negli spogliatoi prima del match, riconosce i passi dei tifosi che poco per volta riempiono gli spalti sulla sua testa, sa a memoria i gesti da fare, dove guardare entrando in campo, come lasciarsi caricare dall'urlo della folla rimanendo concentrato. Giggs sa già tutto, ma questa volta è diverso.
Per quella formidabile capacità di farsi del male che hanno solo gli inglesi, il giocatore più decisivo della storia del Manchester United è stato travolto a quattro giorni dalla partita dell'anno dal più classico dei luoghi comuni della stampa anglosassone: lo scandalo sessuale, la scappatella con la showgirl mentre moglie e figli aspettano a casa il ritorno dagli allenamenti. Un anno fa l'Inghilterra di Fabio Capello arrivò al Mondiale con il capitano John Terry sulle prime pagine di tutti i tabloid per una storia extraconiugale con la moglie di un ex compagno di squadra. Capello fu costretto a togliergli la fascia di capitano, e la vicenda probabilmente influì sull'umore della Nazionale, che partiva da favorita e finì tra i fischi. Massimo Marianella è una voce imprescindibile per chiunque ami il calcio inglese: le sue telecronache della Premier League su Sky hanno fatto affezionare tanti a quello che oggi è forse il campionato più bello del mondo. Da Londra spiega che “questa volta però non è colpa dei giornali, ma di come lui e i suoi legali hanno gestito la vicenda”.
La vicenda è una delle più assurde mai scritte per il genere “corna & gossip”: Imogen Thomas, ex miss Galles 2003 e concorrente del Grande Fratello britannico, racconta qualche tempo fa di un suo flirt con Giggs al tabloid Sun che, prima di pubblicare l'intervista, avverte il giocatore. Grazie a un'azione legale Giggs ottiene un pronunciamento dell'Alta corte che diffida il quotidiano dal pubblicare la notizia e minaccia l'arresto per chiunque ne parli (Thomas compresa). La figura giuridica che tutela il calciatore è tipica del sistema inglese, ed è la cosiddetta “super injunction”, grazie alla quale molti vip anglosassoni evitano un certo tipo di gogna mediatica. Giggs e i suoi avvocati non tengono però conto della potenza di Twitter, il social network che diffonde sul Web brevi messaggi di 140 caratteri al massimo. Qualcuno scrive proprio su Twitter della scappatella censurata, e nel giro di qualche giorno la notizia viene “ritwittata” più di 75 mila volte. I giornali cominciano a trattare il caso, ma non possono nominare Giggs. Tutti ne “twittano”, ma quotidiani e tv possono soltanto raccontare di “un famoso calciatore” che avrebbe tradito la moglie con una famosa star del piccolo schermo. Il giocatore gallese annuncia a questo punto una ancor più surreale causa contro il social network, chiedendo senza successo a Twitter di rivelare i nomi di chi ha pubblicato la notizia. Il tabloid Sun guida la crociata dei giornali. Il caso arriva in Parlamento, e lo stesso premier David Cameron riconosce che norme che impediscono alla stampa di scrivere fatti che tutti conoscono sono “ingiuste e da cambiare”. Fino a che, tutelato da una regola di trecento anni fa che protegge i parlamentari dalle conseguenze delle loro dichiarazioni, un deputato dei Lib-Dem, John Hemming, fa il nome di Ryan Giggs in pubblico. Nella settimana in cui si sarebbe dovuto scrivere di lui per la rivincita contro il Barça, giornali e tv si soffermano invece sulle forme della presunta amante. “Sabato possiamo farcela. Tra trenta o quarant'anni tutti parleranno di questo Manchester”, aveva detto lunedì, poco prima che i tabloid facessero il suo nome. Martedì non si è allenato, ma mercoledì sera era in campo per l'amichevole contro la Juventus per l'addio al calcio dell'amico e compagno di squadra Gary Neville. Il suo assist per il gol di Rooney fa ben sperare i tifosi (che nel frattempo hanno cominciato a minacciare di morte la Thomas, ovviamente su Twitter). Ma il Barcellona di Messi non è la Juventus delle riserve, e una storia di corna che si è trasformata in una vicenda che sta travolgendo l'intera legislazione inglese sulla privacy (l'accusa è che i giudici del Regno Unito, con l'utilizzo delle “super injunction”, abbiano costruito una sorta di sistema parallelo alla legge per tutelare chi in segreto si appella a loro) potrebbe far decidere a Ferguson di non schierarlo. Almeno non dal primo minuto. Il calcio è ironico quanto la vita, e che una caduta di stile colpisse uno dei giocatori più stilosi della storia di questo sport ha il sapore cinicamente amaro di una traversa colpita al novantesimo sullo 0-0.
C'è un gol che tutti dovrebbero vedere, per capire chi è Ryan Giggs. E' il 14 aprile 1999, e al Villa Park di Birmingham si gioca il replay della semifinale di FA Cup inglese tra l'Arsenal e il Manchester United. I 90 minuti si sono chiusi sull'1-1. Il secondo tempo supplementare sta per finire, poi ci saranno i rigori. L'Arsenal sta attaccando, quando Patrick Vieira fa quello che alla scuola calcio insegnano a non fare mai: un passaggio orizzontale a metà campo. Prima che Vieira lo decida, però, Giggs lo ha già capito: parte sulla fascia sinistra e intercetta il pallone. Poi non si ferma più. “Sembrava che potessi superare chiunque mi si parasse davanti – racconta Giggs nella sua autobiografia – poi mi sono ritrovato di colpo in mezzo all'area, dove non potevano più toccarmi. Prima non sapevo nemmeno bene dove fossi, dato che tenevo gli occhi fissi sul pallone”. Tra il centrocampo e l'area piccola, Giggs ha dribblato quattro giocatori (là dove dire “dribblato” è concedere troppo agli avversari: quasi non lo hanno visto passare); entrato in area, arrivato verso la linea di fondo, ne evita un quinto e tira di sinistro sotto la traversa. Massimo Marianella era allo stadio a raccontare la partita, quel giorno, e dice che “quello è il gol per eccellenza, quello che più ho impresso nella memoria. Di chiunque, non solo di Giggs”.
Quello scatto al 110° minuto di partita porta lo United alla Finale di FA Cup, poi vinta. Negli stessi giorni il Manchester vince il campionato e si trova in finale di Champions League contro il Bayern Monaco. Il trofeo manca dalla bacheca dei Red Devils da più di trent'anni, e quella sembra la volta buona. Al 90° però i tedeschi conducono 1-0. Il quarto uomo a bordo campo alza la lavagna luminosa: si giocherà ancora tre minuti, poi i tifosi del Bayern potranno festeggiare. C'è un calcio d'angolo per lo United, sale in attacco anche il portiere Schmeichel: non c'è più nulla da perdere. Beckham mette il pallone in mezzo e la difesa tedesca, disturbata anche da Schmeichel, non riesce ad allontanarlo. Dopo qualche rimbalzo, la palla finisce, al limite dell'area, sul piede destro di Giggs. Il piede sbagliato, per un mancino purissimo come lui. Giggs tira come può, e la palla è destinata a uscire di poco a lato. A un metro dalla porta, però, si materializza Teddy Sheringham, che tocca la palla quel tanto che basta. Gol, 1-1. E' il 91°. I giocatori tedeschi sono paralizzati: quando tutto sembrava finito, ecco lo spettro dei supplementari. Lo stadio è una bolgia, c'è ancora un minuto e mezzo da giocare. Lo United avanza, e guadagna un altro calcio d'angolo. Questa volta è Solskjaer a toccarla dentro. Gol, 2-1. E' il 93°. Giggs quella sera piange, al fischio finale: il suo Manchester è tornato grande come quello di George Best e Bobby Charlton. Ed è solo l'inizio. “Giocare nello United per così tanti anni mi ha insegnato a credere che c'è sempre un'altra possibilità”, dirà poi. Poche settimane prima, a Torino, avevano ribaltato la partita in 45 minuti: da 2-0 per la Juventus a 3-2 per lo United.
Poeta, artista, mago. Modello irriproducibile di campione totale, nessun epiteto è mai riuscito a catalogare le giocate di quest'ala sinistra che da ragazzino ha rischiato di giocare dalla parte sbagliata di Manchester. Nel 1985, appena dodicenne, fu notato dagli osservatori del City, dove giocò per due anni; poi l'allora neo allenatore dello United, Alex Ferguson, lo vide durante un provino e gli offrì un contratto nelle giovanili dei Red Devils. Nel marzo del 1991, a soli 17 anni, Giggs entrerà dalla panchina al posto dell'infortunato Denis, occupando per la prima volta da professionista la fascia sinistra dello United. Non la lascerà mai più.
“Se dovessi cercargli un difetto – ragiona ancora Massimo Marianella – direi che è un ragazzo che sorride poco in campo. Con tutto quello che ha vinto, forse qualche sorriso in più non avrebbe guastato”. Modesto, serio, carismatico, i compagni di squadra di vent'anni di carriera ne fanno quasi un santino con i tacchetti, quando devono parlarne. Adesso che va di moda il Barcellona, e qualsiasi cosa salti fuori dal Camp Nou è oro puro (anche laddove spesso è puro circo), ci si dimentica che allo United il “metodo Barça” lo praticano almeno da 25 anni, da quando cioè sulla panchina dei diavoli rossi si sedette Alex Ferguson. L'ossatura dei Manchester di Sir Alex arriva di volta in volta dalle giovanili, dove i talenti grezzi scovati dal manager scozzese in giro per il mondo vengono preparati per brillare all'Old Trafford, lo stadio dello United. Quando Giggs firmò per la squadra che sarebbe stata la sua famiglia non era ancora Giggs. Non nel senso banalmente retorico che dovesse ancora diventare il giocatore che è oggi, ma semplicemente perché non si chiamava Giggs. Ryan Joseph Wilson, questo il nome che scrisse sul contratto. Suo padre Danny era un famoso giocatore di rugby. Prima di abbandonare la famiglia, insegnò a Ryan la passione per lo sport. Il giovane calciatore non gli perdonò però la durezza in casa e la successiva separazione dalla madre, di cui da allora prese il cognome: Giggs.
Tutti hanno bisogno di un padre per potere essere se stessi, ma è troppo facile (forse perché troppo vero) dire che Alex Ferguson è stato il padre che Giggs non ha mai avuto. Per evitare l'eccesso di sentimentalismo basta guardare una foto di qualche anno fa, quando Giggs era già uno dei giocatori più forti in circolazione. Si vedono il manager e il numero 11 entrare in campo chiacchierando. Sullo sfondo, sfocato, il pubblico dell'Old Trafford sta applaudendo. Sulla destra di Giggs, a mezzo metro, una telecamera guidata da due cameramen segue passo passo il loro ingresso. Ferguson parla al suo giocatore, e con il braccio destro gli circonda le spalle, quasi a difenderlo dall'occhio della telecamera. E' lo stesso Giggs a parlarne: “Quella foto è la rappresentazione plastica di come Ferguson mi proteggesse nei primi anni. Voleva che mi concentrassi sul calcio, conoscendo tutte le trappole in cui l'essere giovani e giocare in un club come il Manchester possono far cadere. Non avrei potuto avere un uomo migliore accanto a me. Non avevo ancora capito che a quell'età tutti vogliono un pezzo di te”. Sir Alex impedì che media e tifosi se lo prendessero, che lo cambiassero. E' lo stesso Gary Neville, nell'autobiografia di Giggs, a parlare di Ferguson come di una “figura paterna” per la squadra. Un rapporto unico, quasi misterioso, impensabile nel calcio di oggi, quello tra il manager e il suo giocatore. Volendo usare un'immagine abusata, si potrebbe dire che è una delle ultime bandiere del calcio. Con dei distinguo necessari, però: se dobbiamo pensare a bandiere nel nostro calcio, vengono in mente giocatori come Francesco Totti o Alessandro Del Piero. Talmente bandiere da decidere gli esoneri degli allenatori e da determinare il cattivo umore della squadra quando siedono in panchina per troppo tempo. Questo a Manchester con Giggs non è mai successo. Negli ultimi anni il mago gallese si è seduto in panchina molte volte senza protestare.
Come quella volta in finale di Champions League, nel 2008 a Mosca contro il Chelsea. Giggs entra a diciotto minuti dalla fine al posto di Paul Scholes, altra chicca del vivaio di Sir Alex. Il match è fermo sull'1-1, e lì rimane fino alla fine dei supplementari. Piove a dirotto su Mosca, quella sera. Cristiano Ronaldo sbaglia il secondo rigore. Del Chelsea non sbaglia nessuno e quando capitan Terry si presenta sul dischetto per l'ultimo penalty anche Giggs pensa “è finita”. Terry non ha mai sbagliato un rigore. Di colpo la pioggia comincia a cadere più forte, il gigante Van Der Sar è piccolissimo dentro a quella porta. Il portiere dello United anticipa il movimento, si tuffa a destra. A questo punto è tutto troppo facile: Terry apre il piatto destro e indirizza il pallone dall'altra parte. La gamba sinistra cede, la sua rincorsa finisce con uno scivolone sull'erba bagnata. La palla, colpita male, sbatte sul palo. Manchester e Chelsea sono di nuovo pari. Quando tocca a Giggs, non sbaglia. Van Der Sar para il rigore di Anelka, lo United è campione d'Europa. Questa volta Giggs non piange, le lacrime le lascia al giovane Cristiano Ronaldo.
C'è Giggs in ogni successo del Manchester United: un suo gol, un suo assist, una sua accelerazione. Anche adesso che ha quasi trentotto anni; anche adesso che ha molti capelli bianchi perché è “vecchio”; anche adesso che Ferguson se lo è reinventato centrocampista centrale (ma quando serve gioca persino in fascia destra, pronto a difendere nei minuti finali); anche adesso che ha battuto il record di presenze con la maglia dei Red Devils che apparteneva a Bobby Charlton (875, con 159 gol); anche adesso che alla domanda “ogni volta che vinci è come se fosse la prima?” lui risponde sincero “sì, certo”; anche adesso che appare credibile quando dice “a Manchester non abbiamo mai festeggiato troppo per un trofeo, perché sappiamo che quello più importante è sempre il prossimo”; anche adesso che è rimasto l'ultimo della vecchia guardia, che ha appena rinnovato il contratto per un altro anno ancora, e in molti sono pronti a scommettere che tra dodici mesi si parlerà di un'altra stagione da giocare; anche adesso che quando lo vedi correre con la palla tra i piedi ti chiedi “ma come fa ad andare ancora così?”, e la domanda successiva è “ma come farà il calcio senza uno come lui?”. Giggs non sorride in campo perché sorridere non serve. Basta un suo sguardo, un urlo, un cenno a bocca chiusa, e la squadra capisce cosa deve fare.
Come tanti grandi giocatori troppo umili per vestire i panni delle star, non ha mai vinto il Pallone d'Oro. “Se non glielo danno quest'anno – dice ancora Marianella – non so veramente a chi possano assegnarlo. Ma sia chiaro che se non glielo danno è un problema del Pallone d'Oro, non suo”. Quando esordì in prima squadra molti fecero come si fa con qualunque ragazzino calcisticamente dotato che si affacci sul palcoscenico del professionismo: lo paragonarono a qualcuno di grande. Il calcio è pieno di nuovi Maradona, nuovi Ronaldo e nuovi Pelé poi finiti nel dimenticatorio delle serie minori; quando di lui dissero che sembrava George Best, pochi avrebbero potuto scommettere che sarebbe diventato più grande di George Best. I tifosi dello United lo hanno eletto miglior giocatore di sempre della loro squadra. Più di Charlton, più di Cantona, più di Beckham. “Quelli che se ne sono andati in altri grandi club – ha scritto Giggs – lo hanno fatto per poi scoprire che la magia dell'Old Trafford non è riproducibile da nessuna altra parte. Io non baratterei la mia carriera qui con nulla al mondo”. In più di vent'anni ha visto il calcio cambiare rimanendone sempre superiore: ha le gambe magre dell'ala sinistra di un tempo, ma quindici anni prima di Kaká tagliava in due le difese avversarie avanzando palla al piede in velocità. Ha superato tre generazioni di calciatori, ora gioca con gente che quando lui vinceva la prima Premier League doveva ancora nascere. Ha dato la certezza agli appassionati di calcio che finché c'è lui le cose non andranno male, che di sicuro il mondo non finirà. Ha imparato subito che il calcio non è fatto di buoni sentimenti, che c'è un gusto particolare a segnare alle squadre “nemiche”, che i cori dei tifosi avversari sono una scarica di adrenalina ineguagliabile. Gode quando gioca in trasferta e i tifosi delle altre squadre insultano lui e i suoi compagni mentre ancora sono sul pullman. Era il 1992 quando, dopo una sconfitta contro il Liverpool ad Anfield, lo stadio dei Reds, un tifoso avversario avvicinò la giovane ala gallese per chiedergli un autografo. Orgoglioso per la richiesta, Giggs firmò. Il tifoso dei Reds gli stracciò in faccia il foglio e, ghignando, gli disse: “Non vincerete mai il campionato”. Giggs provò allora per la prima volta sulla sua pelle l'odio dei fan avversari per la sua squadra. Non reagì. Si limitò a vincere 12 campionati nelle successive 19 stagioni. Quando Ferguson lo volle nelle giovanili della sua squadra, l'italiano Federico Macheda trovò ad aspettarlo all'aeroporto di Manchester proprio Ryan Giggs, che lo accompagnò al suo primo allenamento. C'è poco altro da aggiungere per spiegare che Ferguson non sarebbe stato Ferguson senza Giggs, e Giggs non sarebbe stato Giggs senza Ferguson.
Due anni fa era il capitano del Manchester che a Roma finì sconfitto dal Barcellona di Messi, Eto'o e Guardiola. “All'epoca eravamo favoriti – ha detto recentemente Ferguson – e abbiamo perso senza giocare. Questa volta gli sfidanti siamo noi, e la cosa potrebbe tornare a nostro vantaggio”. Giggs non riuscì a lasciare il segno, e uscì dal campo a un quarto d'ora dalla fine. Scriveva un anno fa nella sua autobiografia, commentando quella sconfitta: “L'unico aspetto positivo fu che mi convinsi che avremmo potuto usare quell'esperienza per evitare che succedesse di nuovo una cosa del genere. E andare avanti”. Il Dio del calcio ha voluto che due anni dopo le due squadre migliori del mondo siano di nuovo l'una davanti all'altra. Questa volta il Barça è più forte, ecco perché lo United ha tutte le carte per ribaltare il pronostico. E' la sua specialità. Oggi Ryan Giggs guarderà negli occhi Alex Ferguson, e qualunque decisione prenderà l'allenatore, proverà comunque a vincere quella dannata coppa. Anche dalla panchina. Come ha sempre fatto. Non pensarci, Giggs. E batti il Barcellona.
Il Foglio sportivo - in corpore sano