Il mistero di Gheddafi

Toni Capuozzo

La guerra dei ballottaggi italiani è una guerra dimenticata, per i tunisini. L'unico voto che interessa è quello per le prime elezioni libere, che probabilmente saranno spostate dal 24 luglio al 16 ottobre. L'unica proiezione ruota attorno a una domanda – quanto durerà il vicino scomodo Gheddafi ? – il solo exit poll che accende le curiosità ruota attorno a un piccolo mistero: dove sono Safia e Aisha, moglie e figlia di Gheddafi?

    Tunisi. La guerra dei ballottaggi italiani è una guerra dimenticata, per i tunisini. L'unico voto che interessa è quello per le prime elezioni libere, che probabilmente saranno spostate dal 24 luglio al 16 ottobre. L'unica proiezione ruota attorno a una domanda – quanto durerà il vicino scomodo Gheddafi ? – il solo exit poll che accende le curiosità ruota attorno a un piccolo mistero: dove sono Safia e Aisha, moglie e figlia di Gheddafi? La prima questione – il voto che eleggerà la Costituente – è ancora piuttosto confusa, perché sono ormai una sessantina i partiti formatisi nell'arena improvvisamente libera, e il tema all'ordine del giorno è ancora quello del recupero delle ricchezze accumulate in Svizzera da Ben Alì. Ma, tra incertezze, sospetti e disillusioni, si respira ancora l'euforia della libertà e l'orgoglio di essere stati i primi, nel mondo arabo, a mostrare la via per liberarsi dai despoti.

    Le radio trasmettono barzellette sul conto del nuovo, anziano presidente provvisorio, Essebsi, la centrale piazza della capitale che era dedicata al 7 novembre, data del colpo di stato che 23 anni fa portò al potere Ben Alì, si chiama piazza Mohamed Bouazizi, il venditore ambulante di frutta e verdura che, dandosi fuoco lo scorso dicembre, accese la rivoluzione. A preoccupare è, piuttosto, la situazione ai confini del paese. La scorsa settimana a Rouhia, nei pressi del confine algerino, un tassista, insospettito del fatto che due clienti non volevano deporre nel bagagliaio i propri zainetti, ha rifiutato la corsa. E lo stesso ha fatto il collega che lo seguiva, nel posteggio di auto pubbliche. Circondati dai tassisti, i due si sono allontanati in fretta, inseguiti da una folla. Qualcuno ha chiamato le forze dell'ordine, e due militari sono rimasti uccisi nello scontro a fuoco che ha posto fine all'inseguimento. Erano ben armati, e non è chiaro se, provenienti dall'Algeria, fossero intenzionati a fermarsi in Tunisia o fossero diretti in Libia per combattere Gheddafi.

    Più chiara è la composizione del gruppo, legato ad al Qaida del Maghreb: nove membri, tra cui libici e algerini, con a capo un ventiseienne tunisino, Nabil Saadou, cresciuto in un ambiente sufi nel sud desertico del paese, e poi improvvisamente virato su un'attività meno contemplativa.

    Dall'altro lato, al confine con la Libia, ogni settimana i volontari di ciascuna regione tunisina si danno il cambio per assistere i profughi. In questi giorni l'esodo si è spostato a sud, dove passano il confine migliaia di berberi provenienti dalle montagne di Nefusa, dove tre cittadine – Ifren, Q'Aala e Kikla – sono assediate da tre mesi: piccole e sconosciute Misurata. Sulla costa, il valico di Ras Jedir è quello usato dagli ultimi immigrati (sabato quattro eritrei sono morti nell'incendio delle loro tende, e tre sudanesi che stranamente cercavano il percorso inverso sono stati uccisi dalle guardie di frontiera libiche) e dalla nomenclatura per lasciare la Libia. Da lì sarebbero passate, velate dalla testa ai piedi, Safia e Aisha, moglie e figlia del raìs. Fonti ufficiali tunisine smentiscono la loro presenza, ma le versioni sul loro ingresso – con passaporto falso, o nella confusione di un improvviso black out elettrico durato mezz'ora al posto di confine – si incrociano con le ipotesi sul loro rifugio. Il figlio maggiore del raìs, Mohamed, presidente della più grande compagnia di telefonia mobile libica, si troverebbe in una clinica di Djerba, in cura per depressione. E Safia e Aisha, la Claudia Schiffer del Sahara (più seducente chiamarla così che ricordare la sua intervista al londinese Asharq alAwsat: “Chi è contro Gheddafi non merita di vivere”)? All'hotel Dar Djerba, di proprietà della famiglia Gheddafi, non ci sono. Un uomo d'affari tunisino mi ha detto, ieri, che si trovano, inavvicinabili, all'Hotel Borj el Kebir Fort. Come centinaia di rifugiati illustri, sparsi con le famiglie tra gli hotel più lussuosi della costa. Giovedì scorso un funzionario di Gheddafi ha versato in una banca cinquanta milioni di euro in contanti.

    In Tunisia il numero dei rifugiati libici ufficiale ammonta ormai a 700 mila, ma almeno altri 500 mila non sono registrati. Nella sola Djerba ci sono quattromila oppositori di Gheddafi. “Sono venuti a cercare un po' di  pace separata da noi – ha detto il mio interlocutore – e va bene, siamo fratelli. Ma  ci è costato un cinquanta per cento di turismo europeo in meno”. Sotto un vento insolito per maggio, e un cielo carico di piovaschi, pochi turisti tedeschi e belgi camminano curvi sul lungomare.