Che cosa c'è oltre il nazionalismo serbo che protesta per Mladic all'Aia
Le proteste a Belgrado per la cattura del generale serbo, Ratko Mladic, sembravano legate al nazionalismo ma anche alla crisi economica. Per Stefano Bianchini, direttore del Centro per l'Europa centro-orientale e balcanica, nazionalismo e crisi economica sono due cose ben distinte. “La crisi economica in Serbia si fa sentire ma meno che in altri paesi europei. I bombardamenti del 1999 hanno pesato”.
Le proteste a Belgrado per la cattura del generale serbo, Ratko Mladic, sembravano legate al nazionalismo ma anche alla crisi economica. Per Stefano Bianchini, direttore del Centro per l'Europa centro-orientale e balcanica, nazionalismo e crisi economica sono due cose ben distinte. “La crisi economica in Serbia si fa sentire ma meno che in altri paesi europei. I bombardamenti del 1999 hanno pesato. E' un aspetto che incide, certamente, ma che la Serbia governa bene e riesce a contenere grazie anche al flusso di finanziamenti che arrivano dall'Ue. In tutto il sudest europeo il nazionalismo è molto forte, ma quasi sempre strumentalizzato dal potere politico. Anche in Croazia hanno protestato per i 25 anni di carcere dati al generale Gotovina. Parte dell'informazione passa le notizie che fanno comodo perché c'è il pericolo che si possa mettere in discussione la legittimità dell'indipendenza delle Repubbliche che sono succedute alla federazione Jugoslava”.
La cattura di Mladic era comunque conditio sine qua non per l'ingresso della Serbia in Europa. “La maggioranza assoluta è favorevole”, spiega Bianchini, “ma non è detto che i valori avvertiti in Serbia siano gli stessi dell'Unione Europea. Per loro entrare in Europa significa poter avere uno standard di vita più elevato e avere un sistema giudiziario più solido. Se però penso a valori quali la tolleranza, o i diritti civili, la lotta all'omofobia, qui sono molto più deboli”. In ogni caso anche all'Europa conviene l'apertura alla Serbia perché, secondo Bianchini, “l'esclusione dei paesi balcanici potrebbe portare a nuove guerre. Lasciarli al loro destino avrebbe potuto comportare una divisione tra un'Europa garantista e una non-garantista, con il ritorno di politiche di potenza che avrebbero allontanato il processo di integrazione europea, che quindi va concluso al più presto. I discorsi politici impregnati di odio sono calati negli ultimi anni, anche se si è aggravato il linguaggio dei rappresentanti del mondo religioso che nelle loro funzioni hanno fatto sempre più ricorso ai termini del patriottismo e del nazionalismo contribuendo a mantenere vivo il sentimento di una parte della popolazione”.
Dal punto di vista della Comunità europea “non esiste alcun problema economico nell'ingresso dei Balcani. La questione è piuttosto politico, perché il progetto di Unione Europea è entrato in crisi dal 2005 e molti elementi indeboliscono la candidatura di altri paesi, in una situazione molto simile a quella della Jugloslavia nel 1981-1985”. Secondo Bianchini anche l'America gioca un ruolo importante: “In questo momento è lo stabilizzatore dei Balcani attraverso la Nato, visto che Croazia e Albania ne fanno parte”. E poi anche l'Europa ha le sue colpe. “In particolare l'Olanda”, dice , “e questo spiega perché in tutti questi anni sia stata severa con la Croazia e la Serbia chiedendo loro di collaborare a pieno con il tribunale penale per crimini di guerra della ex Jugoslavia, per ripulirsi delle responsabilità che ricadono sull'Occidente per il modo in cui ha sottovalutato tutta la crisi jugoslava, per il modo in cui ha ritardato di intervenire”.
Ma per Bianchini la Serbia non è solo nazionalismo: “E'stato il paese che più ha assorbito idee e dalla Francia e dall'Inghilterra all'inizio del Novecento. Esiste un'altra Serbia, ma è sempre stata ignorata in Occidente risentendo troppo della cultura dello stato-nazione e dello stato-etnico”. E poi le responsabilità in Kosovo: “L'indipendenza è arrivata in ritardo, zoppa e incompleta. Questo ha deluso le aspettative di sia tra gli albanesi che tra i serbi. Pesa anche il blocco economico che la Serbia ha imposto al Kosovo e il riconoscimento da parte di un certo numero di paesi, ma non da tutti. Il processo di dialogo tra Pristina e Belgrado ripartirà nell'ambiguità più profonda. Di più. La situazione cipriota incide sulle relazioni Serbia-Kosovo ma anche sul futuro della Bosnia”. “E'interesse dell'Italia avere buoni rapporti con tutti i paesi dell'oltre Adriatico perché sono culturalmente vicini a noi”, conclude Bianchini, “e poi ci sono i tradizionali interessi economici”.
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