Avvisate i mozzorecchi pallonari che Calciopoli non era il male assoluto

Beppe Di Corrado

Avevano detto che Calciopoli era il punto finale. Facile, no? L'inchiesta più grande e mediaticamente rilevante degli ultimi anni avrebbe dovuto servire da lezione morale per il mondo del pallone. Il nuovo calcio scommesse smentisce gli apocalittici del 2006 diventati speranzosi subito dopo le sentenze di quel processo sommario: il pallone non s'è ripulito, è rimasto identico, brutto, sporco e cattivo esattamente quanto può essere bello, pulito e buono.

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    Avevano detto che Calciopoli era il punto finale. Facile, no? L'inchiesta più grande e mediaticamente rilevante degli ultimi anni avrebbe dovuto servire da lezione morale per il mondo del pallone. Dicevano: tolto Moggi cambierà il pallone. Il nuovo calcio scommesse smentisce gli apocalittici del 2006 diventati speranzosi subito dopo le sentenze di quel processo sommario: il pallone non s'è ripulito, è rimasto identico, brutto, sporco e cattivo esattamente quanto può essere bello, pulito e buono. I calciatori che si vendono, gli ex giocatori che si trasformano in allibratori senza scrupoli, il sottobosco pallonaro che si muove nell'ombra con risultati che tutti considerano discutibili subito, ma che restano sepolti nella memoria fino a quando qualcuno non li fa riemergere con un'inchiesta.

    Calciopoli non ha moralizzato, esattamente come il calcio scommesse del 1980 non aveva immunizzato il nostro pallone: il germe della corruzione resta, perché è figlio dell'avidità, dell'ignoranza e della cultura del sotterfugio. Si scandalizzeranno tutti, criminalizzando il sistema e non le persone. E' così che funziona: diranno che il calcio è marcio e così faranno in modo che si autoassolva. Il principio è il solito: tutti colpevoli, nessun colpevole. Invece bisogna chiedersi perché. Perché ci cadono ancora? Perché un ex calciatore come Beppe Signori, uno che è stato un simbolo, uno che è stato un milionario e che è ancora un ricco vero, cada in una storia così. E con lui Cristiano Doni. La molla che fa scattare un meccanismo perverso come quello di voler taroccare le partite forse sta nell'incapacità dei calciatori di essere uomini: non riuscire a vedersi fuori dal pallone, non essere stati in grado di costruirsi un'alternativa, essere schiavi di una cosa che era un sogno, è diventato un lavoro privilegiato, ma al tempo stesso una frustrazione perché non ha rispettato le aspettative.

    Il caso del 1980 era diverso: altri stipendi e altri giri. Adesso no. C'è una costante nelle inchieste che riguardano le scommesse degli ultimi anni: le persone coinvolte sono o ex giocatori, o giocatori a fine carriera, o giocatori che non hanno più speranza di diventare top player nonostante siano ancora in età per farlo. E' come se odiassero il proprio mondo o per averli fatti fuori o per averli illusi e poi disillusi. Scommettono per rispettare un tenore di vita che è quello di quando giocavano, oppure quello che avrebbero avuto se avessero fatto più carriera. Fanno tristezza, più che indignazione. Fanno pena, più che rabbia.

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