Ma Tripoli dov'è? / 5
A sud di Tripoli ci portano a vedere la prova di un altro missile della Nato. Che però ha scritte in cirillico
La settimana è iniziata nel più assurdo dei modi. Era l'una di notte, ieri, quando siamo stati convocati per la solita destinazione misteriosa. Una quarantina di minuti in pullman, fino a un sobborgo a sud della capitale e, in fondo a una strada sterrata, un uliveto. In mezzo, illuminato dalle finestre accese delle case intorno e, a quel punto, dai flash dei fotografi e dai faretti delle telecamere, un cilindro ammaccato.
Tripoli. La settimana è iniziata nel più assurdo dei modi. Era l'una di notte, ieri, quando siamo stati convocati per la solita destinazione misteriosa. Una quarantina di minuti in pullman, fino a un sobborgo a sud della capitale e, in fondo a una strada sterrata, un uliveto. In mezzo, illuminato dalle finestre accese delle case intorno e, a quel punto, dai flash dei fotografi e dai faretti delle telecamere, un cilindro ammaccato. La prova di un altro missile Nato lanciato a caso, caduto in mezzo alle case? Questo volevano dirci, con sguardi e parole e segni, le persone lì attorno e i funzionari che ci avevano accompagnato. Peccato che un pezzo del cilindro recasse una targhetta con una sigla in cirillico. E né la Russia né l'Ucraina né la Bielorussia né la Serbia fanno parte della Nato. E allora?
Quando lo abbiamo fatto notare, la versione dell'accaduto è diventata un cartone animato: sì è un missile libico, forse sono stati i ribelli. No, il fatto è che la Nato ha colpito una nostra postazione e il missile è partito come impazzito, poteva essere una strage. Alle due di notte, nell'uliveto, abbiamo continuato a vegliare la carcassa di quello che era, con ogni evidenza, la sezione finale, con tanto di timone, di uno Scud, illuminata ormai solo dalla luna, mentre i fotografi e i cameramen spegnevano flash e faretti.
E, a rendere più surreale la situazione, nel capannello si aggirava lo stesso uomo che quattro ore prima, in ospedale, si era presentato come lo zio di una bambina di pochi mesi, ferita da una scheggia a un tallone. Come per un altro miracolo si palesava, adesso, da abitante della zona attorno all'uliveto, all'altro capo della città: un uomo perseguitato dalla sorte.
La domenica, nel pomeriggio, eravamo andati nell'aia di una casa, ai margini di Tajoura, il sobborgo ribelle di Tripoli. Qui, un missile era caduto nel mezzo del cortile, facendo cadere alcuni muretti di cinta, mandando in frantumi i vetri delle case, facendo strage di piccioni. La cosa che colpiva di più, però, era che mentre un gruppetto di accesi sostenitori di Gheddafi inalberava cartelli e lanciava slogan, la maggior parte delle persone raccolte attorno al piccolo cratere sembrava indifferente, e qualche volta lasciava capire, a mezze parole, di più. L'aia era a seicento metri da una caserma, e a duecento da una postazione radar, e l'imprecisione del bombardamento, grossolana, era evidente. Ma non c'erano vittime, e questo permetteva che trapelasse, senza dolore e rabbia, una muta animosità di qualcuno nei confronti degli uomini dell'apparato e i loro sostenitori.
Andare oltre era impossibile. Quello che si poteva fare, l'ho fatto. Non so perché, ma i piccioni e le galline non mi hanno destato pietà. Il cane sì, un cane dal pelo folto, di cui ho chiesto inutilmente il nome. E il vitellino, che si muoveva incerto sulle zampe, e poi si è lasciato andare a terra, il pelo bianco segnato dal sangue che incominciava a seccarsi. Mi sono sorpreso – eravamo in disparte, in un angolo dell'aia – un uomo accanto. Guardava, come me, il vitellino. Mi ha guardato con uno sguardo intenso, per niente ostile. “Muschila”, mi ha detto: problemi.
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