L'aggravante dei calciatori che scommettono è che lo fanno per un motivo futile
Un mio amico da anni, alto, bello, padre e marito affettuoso, appena si siede al tavolo da gioco si trasforma: aggressivo con punte di paranoia, un umore che va su e giù e produce a volte incompatibilità e frizioni anche tra noi. Il giovedì pomeriggio, poi, è proprio intrattabile: vive confinato in un altro mondo e non si lascia nemmeno avvicinare. Chi frequenta gli ippodromi magari lo ha anche incontrato, mentre saggia la consistenza del terreno, cronometra i tempi di ogni singolo cavallo in rettilineo e in curva, ne studia la morfologia.
Un mio amico da anni, alto, bello, padre e marito affettuoso, appena si siede al tavolo da gioco si trasforma: aggressivo con punte di paranoia, un umore che va su e giù e produce a volte incompatibilità e frizioni anche tra noi. Il giovedì pomeriggio, poi, è proprio intrattabile: vive confinato in un altro mondo e non si lascia nemmeno avvicinare. Chi frequenta gli ippodromi magari lo ha anche incontrato, mentre saggia la consistenza del terreno, cronometra i tempi di ogni singolo cavallo in rettilineo e in curva, ne studia la morfologia. E con calligrafia minuta riporta i dati su un piccolo quaderno, fa così da una vita. Migliaia di pagine senza uno spazio bianco, una litania di numeri, quote, puntate, vincite, perdite: storia e memoria di una febbre da cavallo. Non ha mai rifilato all'animale il sonnifero della moglie, né ha fatto combine con fantini, preparatori. Semplicemente perché il giocatore una cosa sola non può fare: barare. Per il giocatore i soldi contano, certo. Ma solo se li strappa dimostrando di essere più pronto, più intuitivo, più temerario, più cattivo di altri. Di saper piegare le probabilità a proprio vantaggio, con l'ambizione folle di dominare il caso. Che è una brutta bestia: per cavalcarla, occorrono metodo e tenuta.
Al mercato qui vicino conosco ragazzotti che scommettono un cento a settimana e quando va male si fanno sette, ottocento al mese, quando va bene tremila. E' questo scommettere cioè giocare. Una questione di buona disposizione della testa che non ha bisogno di compari né di faccendieri. E nemmeno di cellulari, che poi tutti quelli che intendono a vario livello delinquere continuano imperterriti a usare, come se la zona grigia non fosse vasta e come diceva quello con sei gradi di separazione si arriva a chiunque.
Ora si teme un mezzo terremoto, si cercano le mani delle mafie criminali. Le classifiche con annesse retrocessioni e promozioni potrebbero essere rimesse in discussione. Maroni mette su una task force, il capo della polizia è ai piedi dell'opera. Coni e Figc fanno il muso duro e giovedì annunciano inasprimento delle sanzioni.
A noi dovrebbe solo interessare che qualcuno ha barato e con questo ha violato il senso e lo spirito stesso del gioco, di qualsiasi gioco. Che l'abbia fatto per avidità, per disperazione, per citrullaggine, per noia da provincia è inessenziale: chi lo fa ferisce una vasta e libera comunità di giocatori.
Per questo non è facile provare pietà, per lei, gentile Beppe Signori, vecchio pezzo pregiato dell'orafo di Boemia. Né per lei, gentile dentista marchigiano di buona famiglia. Né per lei, portiere aitante che in campo pare ne abbia fatte un paio di troppo e ora che sta in prigione dice di essere come uscito da un incubo, di sentirsi finalmente libero, propedeutica alla collaborazione con la giustizia.
Non avete attenuanti ma l'aggravante di aver agito per motivi reali ma futili. Per una macchina, per mettere su un ristorante, per levarsi un debito, per far un po' di soldi, perché si è in cattive acque. Questa è vita. Ordinaria vita quotidiana di tutti. Senza l'adrenalina di una vera scommessa. Senza l'emozione del gioco.
Il Foglio sportivo - in corpore sano