Che fare, se il miglior nemico s'eclissa

Stefano Di Michele

E così, adesso che l'Homme Fatal della Seconda Repubblica sfiora come non mai il rischio del tramonto politico – cinematograficamente e politicamente il suo “raggio verde”, politicamente e berlusconianamente il minaccioso “raggio rosso” – appurato quel che è stato, si può pure provare a capire cosa resterà, secondo i suoi avversari, di questi anni di avventura. E si scopre che qualcosa ognuno vorrebbe conservare.

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    E così, adesso che l'Homme Fatal della Seconda Repubblica sfiora come non mai il rischio del tramonto politico – cinematograficamente e politicamente il suo “raggio verde”, politicamente e berlusconianamente il minaccioso “raggio rosso” – appurato quel che è stato, si può pure provare a capire cosa resterà, secondo i suoi avversari, di questi anni di avventura. E si scopre che qualcosa ognuno vorrebbe conservare – e certi rimproveri somigliano sorprendentemente a quelli che inquieti liberali della prim'ora al Cav. rivolgono da qualche anno.

    Intanto, per cominciare sul come (sul quando, a dar retta al diretto interessato, si dovrebbe agevolmente superare pure la profezia dei Maya dell'anno prossimo) uscire di scena. Il “teorema Piccolo” (inteso Francesco), illustrato l'altro giorno sull'Unità e che tanto ha messo di cattivo umore Massimo D'Alema (“primitivismo!”, ha accusato), a sinistra si fa strada. Per Piccolo, “c'è una sola possibilità che Berlusconi esca dalla scena politica, e sono le elezioni. Soltanto una sonora sconfitta elettorale può essere decisiva, non tutte le altre questioni in cui sperano in molti” – governi di salvezza, governi di unità, governi d'emergenza. “Ogni altra soluzione in questi diciotto anni – è la convinzione dell'anomalo editorialista del giornale di Concita – lo ha sempre e soltanto rafforzato”.

    A dir la verità, anche certe vittorie del fronte avverso – risicate nel risultato, confuse nella composizione: l'Unione del 2006 – male non gli hanno fatto. Comunque: siamo al 2011, i Maya sono allertati per l'anno prossimo, il Cav. fino all'anno successivo vorrebbe tirare. E così, come il Primo Attore (che quando gli capita l'occasione preferisce fare l'Attor Giovane) del bipolarismo dovrebbe lasciare il suo palcoscenico? Certo, c'è chi sogna le monetine craxiane del Raphael, con un Hammamet caraibico in rapida successione. L'inconfessabile desiderio, in frange più rabbiose, di un piazzale Loreto adeguato ai giorni nostri. Ma il buon senso – da ebbrezza milanese fortificato – prevale. “Il futuro di Berlusconi? Che venga eletto in Parlamento la prossima volta e che diventi il punto di riferimento dell'opposizione”, dice il costituzionalista, ed ex deputato del Pds, Augusto Barbera.

    “Né piazzale Loreto né monetine come a Craxi, io penso a un'uscita di Berlusconi determinata da una normalissima sconfitta elettorale, non a minchiate di questo genere”, è l'opinione di Miriam Mafai. E così la pensa pure Gianni Cuperlo: “Dobbiamo essere in grado di sconfiggerlo in una libera competizione, trovare la nostra forza nel consenso. Una battaglia trasparente, uno scontro trasparente. I problemi del centrosinistra non saranno risolti da poteri esterni. E non auspico neanche la soluzione giudiziaria, che sarebbe la sconfitta della politica”. E nemmeno Vladimir Luxuria, ex parlamentare di Rifondazione (che sul Cav. ha detto un giorno una delle migliori battute di questi anni, trovando persino singolare convergenza: “Io odiarlo perché sono comunista? Ma figurati, in fondo facciamo le stesse cose: tutti e due ci trucchiamo e tutti e due portiamo i tacchi alti!”), fa lo sguardo accigliato, sotto le lunghe ciglia: “La via giudiziaria per il suo tramonto mi dispiacerebbe. So che c'è anche chi gli auguro uno schioppon, come dicono dalle sue parti, ma io davvero no… Una bella elezione, una bella vittoria dei suoi avversari. E siccome tante volte ha detto che per il troppo lavoro non si riesce a godere né le case né le barche che ha, potrebbe finalmente cominciare…”.

    Ride Stefano Menichini, direttore di Europa: “Il modo migliore è batterlo alle elezioni, come sicuramente accadrà. Cosa farà dopo sconfitto? Non so… Ci vorrà la generosità del vincitore e tanti buoni avvocati, che del resto ha”. Vede nero (per il Cav., e dunque vede rosa) Francesco Caruso, l'ex leader dei no global, che adesso fa il ricercatore universitario a Madrid: “Ci sarà un megafestone ai Caraibi, con un megabunga-bunga e tanti mandati di cattura che arriveranno subito dopo… Purtroppo qui in Italia funziona così”.

    Ma il Cav. non è né un politico rinunciatario né un uomo in fuga. Ha segnato un orizzonte ormai ventennale – e molto di suo resterà a lungo. Anzi, attenti a cantar vittoria (a sinistra) troppo presto, avverte il senatore del Pd Enrico Morando. “Tramonto? Mah… Io constato che è il leader del Pdl ed è il capo del governo: mai dare per catturato l'orso prima di averlo preso”. Massimo Bordin, voce storica di Radio radicale, editorialista del Riformista, la vede così: “Purtroppo per lui e per la sinistra, Berlusconi non è stato la Thatcher. Dopo la ‘lady di ferro' la sinistra inglese ha avuto Tony Blair, la sinistra italiana si ritrova ancora e solo con Prodi e D'Alema… L'unica novità, figurarsi, è De Magistris… Proprio il fatto che la sinistra italiana sia rimasta sostanzialmente quella del 1996 è la prova che Berlusconi ha fallito nel suo quasi ventennio: non l'ha cambiata affatto”. Un rimprovero che al leader del centrodestra muove anche il direttore di Europa. “Lui neanche ha provato a imitare la Thatcher, quindi noi non abbiamo avuto qualcuno che provasse a imitare Blair. Quando toglierà il disturbo temo che avremo una sinistra più leggera, forse non più inquinata dal giustizialismo, ma sul piano economico un po' più indietro di quanto sperassi – dice Menichini – Però quindici giorni fa avrei detto che ci lascia una sinistra molto peggiorata, persino degenerata nella lotta al berlusconismo. A Milano ho visto i barlumi di un miracolo: un garantista eletto, una maniera pulita e ironica di fare campagna elettorale, prendendo per il culo l'avversario senza farsi prendere per il culo. Per la prima volta comincio a pensare che possiamo uscire dal berlusconismo in meglio, non in peggio”.

    Perché poi, per gli oppositori del Cav., la strada non è certo in discesa. Ecco lo scenario che descrive Morando: “La mia opinione è la seguente: se il centrodestra rimane così com'è oggi, in un'attività di resistenza passiva, allora anche il Pd, così com'è oggi, con il suo sistema di alleanze, è in grado di vincere le elezioni. Se non fanno niente sono un soggetto battibile. Ma se mettono in moto una loro idea di ristrutturazione, se lanciano sul serio l'ipotesi delle primarie, se riallacciano i rapporti con Casini, grazie alle virtù del bipolarismo anche il centrosinistra deve cambiare se vuol prevalere”. Fa un esempio, Morando: “Per quanto ci riguarda, penso al problema della linea politica di fondo. Domenica scorsa, sul Corriere, Bersani, a una domanda sul patto di stabilità europea, ha detto che l'obiettivo di pareggio del bilancio strutturale al 2014 non è condivisibile e in ogni caso non è raggiungibile. Ma questo vale se Pdl e Lega dicono a Tremonti di aprire la borsa. Se invece c'è un centrodestra che vuole adottare politiche di pareggio strutturale per il 2014, dubito che da parte nostra si possa dire che non le condividiamo”. E' appunto il meccanismo di quello che Morando definisce “il lascito positivo della grande stagione del bipolarismo”. Così, “il centrosinistra deve cambiare comunque, sulla linea riformista tante volte indicata”.

    Sostiene Paola Concia, deputata democratica, unica lesbica dichiarata a Montecitorio: “La sua uscita di scena mi renderebbe felice perché finalmente potremmo cimentarci con le nostre proposte, non soltanto essere costretti a schierarci in nome dell'antiberlusconismo, a ripetere il solito mantra, a mostrare la solita ossessione. Si libereranno tante energie. Lui lascia un paese più individualista, incapace di dire ‘noi'… Ma ha rotto anche molti schemi della liturgia politica, e dovremmo essere pronti a prendere anche alcune cose positive che ha lasciato intravedere, per esempio la capacità, che per un lungo periodo ha avuto, di essere vicino a ciò che davvero sentono le persone”.

    Cosa resterà, infine? “Intanto il bipolarismo – dice Augusto Barbera – Adesso, a certe condizioni, c'è un centrosinistra che può vincere. Abbiamo un leader, Bersani: in un sistema bipolare il leader del maggior partito è il candidato premier. Non dobbiamo fare primarie, né pensare a papi stranieri. L'altra condizione è che vi sia un programma credibile, che non può essere solo quello di sconfiggere Berlusconi. E su questo mantengo delle riserve…”.

    E queste sono le riserve del professor Barbera: “Due punti mi fanno dubitare. Intanto, l'atteggiamento che stiamo tenendo sul referendum sull'acqua: stiamo mettendo da parte una linea riformista per inseguire demagogie inconsistenti. Secondo: voglio verificare cosa proporremo a luglio, quando ci sarà la manovra. Non possiamo rincorrere tutti gli interessi colpiti, come abbiamo fatto finora, ma dobbiamo avere un programma alternativo che sia davvero credibile”. Per Vladimir Luxuria, dopo il “merlo maschio” di Arcore, e fatta la tara sul tanto di negativo che lascia in eredità, “la sinistra dovrebbe imparare qualcosa dalla sua lezione: a gestire meglio la litigiosità interna, a non vergognarsi di nuovi strumenti di comunicazione: è importante la sostanza, ma anche il modo come si presenta”.

    Ovviamente Caruso non la pensa affatto così. “Cosa lascia di buono Berlusconi? Ma quale buono! Un danno che va al di là della sua caduta, radiazioni che resisteranno per decenni, scorie in giro per il paese che chissà quando saranno smaltite… La sinistra? C'è il rischio che il contagio sia arrivato anche là. L'unica prospettiva è l'adozione del modello d'indignazione spagnola, per ripulire il nostro paese non solo dalle scorie berlusconiane, ma da tutti i personaggi rimasti contagiati, a destra e pure a sinistra… Certo, il movimento è in affanno, credo che l'occasione per rilanciare qualcosa sia il prossimo decennale del G8 di Genova. Il 14 dicembre c'è stata una fiammata, ma poi tutto si è spento”. Bilancio di Miriam Mafai: “Rimarrà alla fine il ricordo di un clima di suburra e di malaffare, ma spero si salvi qualcosa nel dopo Berlusconi: l'idea liberale del merito individuale riconosciuto e ricompensato. Idea che Berlusconi stesso aveva sdoganato, ma alla quale non ha saputo dare una risposta soddisfacente. E la sinistra che verrà dovrebbe far sua questa battaglia, contro tutte le cricche e tutte le corporazioni, ovunque annidate, che impediscono alle capacità personali di emergere”.

    Gianni Cuperlo: “La ragione per cui credo che debba essere battuto è che non è vero che ha introdotto elementi di modernizzazione nella vita democratica, non ha realizzato le riforme liberali che aveva promesso, ha messo seriamente in discussione il modello democratico e repubblicano e costituzionale. Ha prodotto un grado di conflittualità durissimo, peraltro depurato dalle ideologie, una conflittualità autoreferenziale… La sinistra ora deve sfuggire al suo riflesso conservatore, ma distinguere, ristabilire un primato del nostro impianto costituzionale. Come è avvenuto per le elezioni a Milano: mitezza di linguaggio, radicalità dei contenuti, imparare a essere meno timidi sui temi dell'euguaglianza e dei diritti di cittadinanza”. Secondo un altro parlamentare del Pd, Roberto Giachetti, “non basterebbero sette numeri del Foglio, a cinquantaquattro pagine, per dire ciò che Berlusconi lascerà di negativo”.

    E dato per letto e visionato tutto questo? “Non puoi non prendere atto del rapporto forte che ha saputo instaurare con il suo popolo, la capacità di comunicazione, la rapidità di sintonia con gli umori del paese, anche cavalcando le cose che meno condivido. Noi dobbiamo essere capaci di presentare una proposta limpida, chiara, vera di alternativa, ma non partire per principio, a 360 gradi, contro tutto ciò che il governo attuale ha fatto”. In fondo, che Berlusconi stia al fondo, è ancora più speranza, a sinistra, che realtà. “Io non so dare consigli a Berlusconi, per carità – chiude Giachetti – ma fossi in lui uscirei dalla scena con un grande coup de théâtre: davvero pochi saprebbero farlo bene come lui”.

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