Ma Tripoli dov'è? / 6
Nessuno sa niente, a Tripoli. “Che cosa volete, una Libia senza libici?”
I ribelli dell'ovest, i berberi delle montagne di Nafusah, hanno preso Yafran, quasi senza colpo ferire, e sono scesi a Bir Ayyad, in pianura. La voce corre nell'albergo come un passaparola, nel giorno in cui l'inviato russo arriva a Bengasi, e le battaglie attorno a Misurata si avvitano su se stesse. Vuol dire che a sud della capitale i ribelli sono a una settantina di chilometri dall'aeroporto internazionale di Tripoli.
Tripoli. I ribelli dell'ovest, i berberi delle montagne di Nafusah, hanno preso Yafran, quasi senza colpo ferire, e sono scesi a Bir Ayyad, in pianura. La voce corre nell'albergo come un passaparola, nel giorno in cui l'inviato russo arriva a Bengasi, e le battaglie attorno a Misurata si avvitano su se stesse. Vuol dire che a sud della capitale i ribelli sono a una settantina di chilometri dall'aeroporto internazionale di Tripoli. Vuol dire che tra pochi giorni, o poche settimane, può cambiare tutto.
I giornalisti pensano che cosa si può fare, come evadere la trappola dell'albergo. Gli oppositori, in città, pensano a che cosa cambia per loro. I fedelissimi pensano a come prepararsi alla battaglia di Tripoli. Ognuno pensa a come cavarsela, a che bandiera mettere o togliere sul balcone, a come scomparire, se l'impossibile dovesse succedere.
Le vie d'uscita dalla capitale si restringono: una litoranea verso la Tunisia, e la strada verso Bani Walid a sud, verso il Niger e il Ciad. E il colonnello Gheddafi? Che cosa pensa, mentre si alzano colonne di fumo dal suo compound? Non appare in televisione dal giorno dell'incontro con Zuma, e non è previsto che l'inviato russo venga a Tripoli. Le incursioni hanno superato le diecimila, e sembra che gli elicotteri da combattimento che decollano dall'Ocean e dal Tonnerre, al largo delle coste, abbiano aggiunto efficacia. Ieri ci hanno portato a vedere uno degli obiettivi colpiti nella notte. Un complesso di edifici davanti al porto, sul lungomare che gli anziani chiamano ancora lungomare Volpi, invece che Corniche. I missili hanno centrato uno dopo l'altro il Centro per l'unione del Maghreb, il Centro per la pace, la sede dello speaker del Congresso, la commissione per l'Infanzia, l'ufficio del procuratore generale. Erano ospitati in quattro eleganti palazzine, costruite ai tempi della colonia italiana. Adesso sono un cumulo di macerie, sulle quali il vento solleva polvere e fogli.
I ritratti di un Gheddafi trionfante sembrano ignorare quel che è successo, l'acqua delle condutture spezzate ruscella tra brandelli di imposte e mobili da ufficio. Gli uomini armati di guardia alle rovine hanno recuperato due o tre poltroncine impolverate, e torneranno a sedervisi quando il viceministro degli Esteri se ne sarà andato. E' un uomo robusto e sorridente, e paziente. Che non si irrita quando la stampa insiste sulle messinscene del giorno prima – una bambina vittima di incidente stradale presentata come vittima dei bombardamenti, un testimone sospetto presente in luoghi distanti tra loro decine di chilometri, un missile di fabbricazione russa venduto come missile Nato – che continua a negare con forza ogni ipotesi di futuro che non preveda Gheddafi, che accusa, sempre sorridendo: “Cosa volete da noi, una Libia senza libici? Siamo pronti a trattare, e voi continuate a bombardare”.
Viene da chiedersi se anche Khaled Seem, il viceministro dal gessato che si impolvera tra le macerie, pensi al suo dopo, come invita a fare il segretario della Nato, Anders Fogh Rasmussen, se abbia un piano personale, se abbia una famiglia, o vada avanti soltanto per continuità, o fedeltà, o inerzia, o assenza di alternative. Non lo sappiamo, nessuno glielo chiede, e non sappiamo neppure se questo compound di articolazioni del regime fosse la sede dei servizi segreti che la Nato afferma di aver colpito. Nessuno sa niente, qui a Tripoli, e tutti pensano in silenzio. E' un silenzio che può durare mesi, settimane o giorni, ma non per sempre.
Il Foglio sportivo - in corpore sano