L'arte di uscire bene di scena per cancellare l'anomalia
Uscire bene di scena è un'arte. Richiede intuito, conoscenza di sé, consapevolezza della traccia che si lascia nella storia. L'attore di razza sa che l'ultimo spettacolo è il più importante: fissa la retina, acuisce il rimpianto, lo trasforma in nostalgia. Alcide De Gasperi fa del suo partito, la Dc, il cardine dello stato da ricostruire, nel mondo di Yalta sceglie senza tentennamenti l'occidente e l'alleato americano. Alle elezioni del 1948 trionfa sulle sinistre del Fronte popolare.
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Uscire bene di scena è un'arte. Richiede intuito, conoscenza di sé, consapevolezza della traccia che si lascia nella storia. L'attore di razza sa che l'ultimo spettacolo è il più importante: fissa la retina, acuisce il rimpianto, lo trasforma in nostalgia. Alcide De Gasperi fa del suo partito, la Dc, il cardine dello stato da ricostruire, nel mondo di Yalta sceglie senza tentennamenti l'occidente e l'alleato americano.
Alle elezioni del 1948 trionfa sulle sinistre del Fronte popolare. Nella primavera del 1953 fa approvare una modifica alla legge elettorale, un premio di maggioranza alla coalizione che ottiene la metà più uno dei voti. Passa alla storia come “legge truffa”. Si vota il 7 giugno, Dc e alleati mancano di un soffio la maggioranza assoluta. Ha vinto lo stesso, ma è come se avesse perso. E torna definitivamente nella sua terra natale. Ha governato solo sette anni ma ha gettato le fondamenta dell'Italia che conosciamo. Il settimanale Time gli dedica la copertina: il volto dallo sguardo austero, uno scudo crociato su un capitello e il titolo “Only the free can choose”.
Lui povero cattolico della Valsugana qualche giorno prima di morire dirà alla figlia Maria Romana: “Il Signore ti fa lavorare, poi quando credi di essere necessario e indispensabile, ti toglie tutto improvvisamente. Ti fa capire che sei soltanto utile, ti dice ora basta, puoi andare. E tu non vuoi, vorresti presentarti di là col tuo compito ben fatto e preciso. La nostra piccola mente umana non si rassegna a lasciare ad altri l'oggetto della propria passione incompiuto”. I funerali si tengono a Roma: il treno che trasporta la salma viene fermato più volte da italiani piangenti. Coloro che lo trattavano da capo dei forchettoni impareranno a rimpiangerlo. Il partito sopravvive per quasi quarant'anni. I governi a dominante democristiana per dieci. Berlusconi non è De Gasperi. Per l'appunto. De Gasperi è stato leader e uomo di stato. Ma un politico “normale” formatosi fin da giovane ai riti, ai codici, alle tecniche della politica. Berlusconi no.
E' un cattolico ma di pianura. E viene da un mondo dove si può sopravvivere solo guardando al di là dell'orizzonte e della coazione della norma. La tendenza naturale a “delinquere” che ogni innovatore, ogni creatore hanno, gli ha permesso di cambiare linguaggio e regole della politica, di fondare d'arbitrio una Costituzione materiale che non gli riuscirà mai di formalizzare. La forma annoia, si sa, non è dunque cosa per lui. Per questo è un'anomalia. Anche Charles de Gaulle è stato un'anomalia, la più grande della storia europea.
E' un militare, un generale a una stella di un esercito disfatto che conosce la pesantezza della storia e vede lontano. Emerge dal nulla, voce della riscossa, bandiera dell'onore, poi liberatore e trionfatore. Viene rispedito a casa senza nemmeno troppi ringraziamenti e pregato di tornare quando il paese è sul bordo dell'abisso. A quasi settant'anni va, supera le crisi, abbatte il vecchio e ricomincia da capo, può costruire finalmente la Francia che sogna. Per dieci anni è amato, detestato, odiato come padre ma sempre acclamato come presidente, come capo. Dopo il Maggio sembra più forte che mai.
Nemmeno un anno dopo indice un referendum su un tema marginale come la riforma del Senato e il trasferimento di alcuni poteri alle regioni: lo ha voluto a tutti i costi, si impegna in prima persona, fa sapere che in caso di risultato negativo ne trarrà tutte le conseguenze. Perde per pochi voti. A mezzanotte e undici del 28 aprile 1969 annuncia che se ne va. Morirà un anno dopo. Nelle ultime immagini lo si vede passeggiare in inverno sulle spiagge della Bretagna, una figura di vecchio imponente che non ci sta a piegarsi alle raffiche di vento, la moglie che lo segue a qualche passo. Lo hanno pianto e rimpianto. Chi lo ha avversato e combattuto gli ha reso subito l'onore delle armi: anni dopo ne riconoscerà anche la grandezza .
E' stato presidente per undici anni: lascia una nuova Repubblica, una Francia con istituzioni e mezzi per compiere una certa idea di destino. Berlusconi ha otto anni di governo sulle spalle, può dire di essere durato più di De Gasperi, manca poco per eguagliare il Generale. Forse non ama il vento né il mare di Bretagna e punto la montagna, ma è tempo di prepararsi. Il grande uomo politico non deve immaginare di resistere indefinitamente. Non può accanirsi. Se nel 1991 Bettino Craxi avesse rimesso la segreteria del Psi a qualcun altro animato da sana ambizione propria, magari pure a qualcuno in odore di tradimento purché non disponibile a fare da passacarte, se avesse mostrato insomma il segno di una vera svolta e in ogni caso evitato di intervenire personalmente nei problemi di finanziamento, forse non avrebbe finito i suoi giorni ad Hammamet. Di certo non sarebbe finito il Partito socialista.
Dicono che l'accanimento dipenda sempre da un lato oscuro, da cose che risalgono all'infanzia, da una sorta di insicurezza ontologica primaria. Ma dicono anche che l'infanzia di Berlusconi sia stata oltre modo serena, che addirittura siano lì le radici della sua forza. A ben guardare non ha perso una sfida elettorale come De Gasperi. E in fondo non ha messo in gioco se stesso in modo scoperto e ultimativo come de Gaulle. Nemmeno lo si può accusare di finanziamento illecito al Pdl. Ha i suoi guai giudiziari certo, ma non corre il rischio di vedersi impiccato a una falsa fattura come accadde a Helmut Kohl, il gigante che seppe cogliere come pochi l'opportunità del momento e unificare ventre a terra la Germania divisa. Chi farà il bilancio dell'azione di Berlusconi lo farà in termini esclusivamente politici, cose fatte e non fatte, occasioni sfruttate o sprecate. Un terreno solido, dove non si respirano i miasmi della palude.
Quando un personaggio ingombrante, un avversario aborrito, lascia la scena c'è sempre il sostituto di cui dire cose ancora peggiori. Quando era al Quirinale, Francesco Cossiga ha avuto fan e avversari veementi, portatore di speranza per gli uni, pazzo picconatore per gli altri. Dopo essere uscito di scena, ci torna in modo sornione da king maker del primo governo con a capo un ex comunista: gli stessi che lo avevano deriso, insultato, gli stessi che avevano formalizzato nei suoi confronti la procedura d'impeachment ora gli sistemano la sedia in prima fila, lo coccolano. Quella parte di popolo gli tributa ovazioni. Chissà che un giorno questo non succeda anche a Berlusconi.
Persino quando la damnatio sembra avere la ferocia raggelante dell'assoluto, persino quando si crede che sia giusto uccidere Mussolini perché il processo è nelle cose e il popolo ha già emesso la sua sentenza, persino quando si crede che sia liberatorio appendere dei corpi a testa in giù, quello di lui e dell'amante a cui hanno tolto le mutande, persino in questo caso occorre rimediare, perché tutti ci abbiamo perso qualcosa.
L'immagine che fonda la retorica resistenziale e la Repubblica che ne è nata, dapprima esaltata, poi sempre più sfocata, è stata definitivamente sepolta da chi ha avuto la forza e il coraggio solitario di scavare e rimettere il passato nella giusta prospettiva. Noi siamo anche questo, siamo il popolo di piazzale Loreto: un aspetto della nostra vita civile su cui dovremmo tutti meditare, a cominciare da chi quell'album di famiglia conosce fin troppo bene. Per la prima volta Berlusconi ha mostrato una faglia: in televisione ha detto che di persone indispensabili sono pieni i cimiteri. Se un ottimista inguaribile, un combattente strenuo come lui lo ammette, vuol dire che qualche pensierino ce lo sta facendo.
Se esce di scena male, se resta asserragliato come in un bunker, Berlusconi darà alla sinistra le chance di vittoria che non ha in nessun altro paese europeo. Sarà condannato al limbo dell'ostinazione e del pregiudizio, dovrà aspettare molto tempo prima che un nuovo Renzo De Felice arrivi a liberarlo, lui che certo non è dittatore ferreo, ma monarca cortese. Uscire invece in modo armonioso, dando segnali evidenti, lasciando luoghi e simboli del suo lungo potere vorrebbe dire scivolare dolcemente dall'oggi della politica alla storia.
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