Ma Tripoli dov'è? - di Toni Capuozzo / 9
In Libia è sempre questione di giorni. Ne sono passati ottantuno
Uno dei cani a cui sono più affezionato si chiama Decio ed è un jack russell. Quando presi a frequentarlo ho cercato di informarmi sulle caratteristiche della sua specie, leggendo e chiedendo ad amici. Qualcuno, per spiegarmi la caparbietà di questi cani da tana, mi ha raccontato che in certe battute di caccia inglesi succedeva che si infilassero in cunicoli di tane per non emergerne più. Mi è tornato in mente, Decio, in questo venerdì tranquillo – è il giorno di festa, qui – che dev'essere, più o meno, l'ottantunesimo giorno dell'operazione Nato.
Tripoli. Uno dei cani a cui sono più affezionato si chiama Decio ed è un jack russell. Quando presi a frequentarlo ho cercato di informarmi sulle caratteristiche della sua specie, leggendo e chiedendo ad amici. Qualcuno, per spiegarmi la caparbietà di questi cani da tana, mi ha raccontato che in certe battute di caccia inglesi succedeva che si infilassero in cunicoli di tane per non emergerne più. Mi è tornato in mente, Decio, in questo venerdì tranquillo – è il giorno di festa, qui – che dev'essere, più o meno, l'ottantunesimo giorno dell'operazione Nato. Ce l'avevano venduta come una cosa di settimane, e continuano a dire che è questione di giorni. Forse hanno ragione, ma, vista dal basso, forse no. E' vero, Bengasi raccoglie ormai il rispetto perfino della Cina e della Russia, Francia e Italia aprono il portafogli degli asset libici congelati, e perfino leader africani come il senegalese Abdoulaye Wade dicono che prima se ne va, Gheddafi, meglio è. Secondo i ribelli, il figlio Seif al Islam avrebbe contattato Bengasi per trattare una via d'uscita dignitosa per il padre. Mentre i giudici dell'Aja confermano le accuse sullo stupro usato come arma di guerra dai gheddafiani (i pr della Pfizer precisano che il Viagra non è esportato in Libia dal 2010), la commissione dei Diritti umani dell'Onu, a Ginevra (a suo tempo presieduta dalla Libia), respinge le accuse libiche indirizzate alla Nato per crimini di guerra, e ai ribelli per cannibalismo. Insomma, una danza funebre, per il rais.
Ma, viste da Tripoli, le cose sembrano meno scontate. Ieri sono andato al Consiglio generale delle tribù libiche, all'hotel al Waddan. Duecento persone, quasi tutte in abiti tradizionali. Un pannello, sullo sfondo della sala convegni, suonava moderato: “Unità, pace, dialogo”. Il rituale ritratto di Gheddafi era posto un po' in disparte. Ma Khalifa Said, un uomo dall'aria fiera che mi ha detto, presentandosi, la sua età (57 anni) quando gli ho chiesto se fossero disposte ad accettare, le tribù, la pace senza Gheddafi, ha risposto secco: “No. Lui è il simbolo”. Certo, posso dubitare che davvero i duecento delegati rappresentassero tutte le duemila tribù libiche, certo posso chiedermi se non fossero pronti, quei delegati, a un repentino cambio di fronte, se le cose prendessero una piega diversa. Ma per ora le bombe dall'alto, il lavoro ai fianchi, il sostegno alla rivoluzione assistita della Cirenaica non hanno prodotto lo sgretolarsi che ci si aspettava, e che è dietro l'angolo per Hillary Clinton e Franco Frattini. Poi sono andato al Bihr Bar Hotel, in fondo al lungomare. Stava chiudendosi l'incontro con la delegazione “fact finder” del Parlamento africano. Un onorevole dello Zimbabwe ha precisato che la commissione non era lì per raccogliere giudizi, ma per investigare sui fatti. Sulla parete alle sue spalle campeggiavano, fianco a fianco, i ritratti di Gheddafi e di Nelson Mandela, strana coppia. Sulla spiaggia, un gruppo di ragazzini faceva il bagno, e coppie vestite di tutto punto passeggiavano sulla battigia. E' estate, e comunque vada, la primavera libica è già andata.
Il Foglio sportivo - in corpore sano