Berlusconi ha investito solo nell'immagine e non nella cultura politica

Carlo Stagnaro

La risposta breve alla domanda di Giuliano Ferrara è no: non è possibile, per ora, dare un giudizio equanime sulla parabola berlusconiana. Non è possibile perché non si è mai obiettivi mentre la partita è in corso.

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    La risposta breve alla domanda di Giuliano Ferrara è no: non è possibile, per ora, dare un giudizio equanime sulla parabola berlusconiana. Non è possibile perché non si è mai obiettivi mentre la partita è in corso. Ma, ancor più, non è possibile perché Silvio Berlusconi è croce e delizia di se stesso. Il grande errore del Cav. – errore che si vede molto bene (quasi) ex post, ma che si poteva vedere anche ex ante e che molti avevano visto con chiarezza – sta nella deliberata, cercata e voluta confusione tra se stesso e l'orizzonte politico e culturale che egli incarnava. Berlusconi non ha mai voluto investire (soldi, sforzi, fatica, fiducia…) nella costruzione di una cultura politica: Berlusconi ha investito solo nella sua immagine e nel suo carisma.

    Immagine e carisma che si sono rivelati più spesso vincenti che no, ma che nondimeno non potevano e non possono sfamare un paese in difficoltà, un paese sperduto che non ha ancora metabolizzato il principio dell'alternanza e che soprattutto non ha saputo declinare un sano confronto di idee. Del resto, l'alternanza qui sembra avvenire solo in via traumatica: con una guerra mondiale, col napalm giudiziario, con la lenta agonia di un leader seppellito dal continuo confronto con l'idea quasi messianica che lui ha di sé e che, a suo avviso, tutti devono avere di lui tranne quelli che lo odiano. L'odio e l'amore non sono le categorie con cui la politica dovrebbe giocare: sicché, slogan a parte, le elezioni dal 1994 a oggi sono un plebiscito pro o contro il Berlusconi, una conta di quelli che lo amano e di quelli che lo odiano, e non sono mai uno scontro di idee, di ricette, di soluzioni e di politiche.

    Tutto ruota, tutto muta, tutto è dettato dal posizionamento relativo del premier e di chi non lo vuole premier. Lo abbiamo visto con quest'ultimo referendum, dove il giudizio ultimo su questioni tecnicissime (le modalità di affidamento dei servizi pubblici locali! I complessi algoritmi per il calcolo delle tariffe!) era funzione di quanto il capo del governo stava sulle palle. Sicché, la rivoluzione berlusconiana – che rivoluzione è stata, nel bene e nel male: degli stili, della comunicazione, dell'organizzazione della politica e dei partiti – oggi la vediamo collassare. Berlusconi ci restituisce un paese tanto sfasciato quanto era quello che prese in mano, diciassette anni fa. Le colpe dei berlusconiani e degli antiberlusconiani si dissolvono le une nelle altre e sarebbe, più che inutile, stupido cercare di distinguere lo yin dallo yang. Il bilancio lo faremo quando avremo la serenità necessaria, la serenità la troveremo quando avremo risolto i problemi. Per favore: smettiamo di avvitarci attorno a Berlusconi, e iniziamo a discutere dei problemi e delle loro soluzioni.

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