Conversioni

Ecco perché Di Pietro non urla più e fa il moderato

Marianna Rizzini

Antonio Di Pietro che non va all'incasso bruto del referendum. Antonio Di Pietro che non chiede subito le dimissioni del premier (lo fa Pier Luigi Bersani). Antonio Di Pietro che non invoca al volo le elezioni anticipate (lo fa Nichi Vendola). Antonio Di Pietro che su Repubblica dice “no alla politica urlata”, in barba agli anni trascorsi in piazze a dir poco urlanti. Antonio di Pietro che non vuole “strumentalizzare gli elettori di centrodestra”.

    Antonio Di Pietro che non va all'incasso bruto del referendum. Antonio Di Pietro che non chiede subito le dimissioni del premier (lo fa Pier Luigi Bersani). Antonio Di Pietro che non invoca al volo le elezioni anticipate (lo fa Nichi Vendola). Antonio Di Pietro che su Repubblica dice “no alla politica urlata”, in barba agli anni trascorsi in piazze a dir poco urlanti. Antonio di Pietro che non vuole “strumentalizzare gli elettori di centrodestra”. Ce n'è abbastanza per far trasecolare Leonilde, frequentatrice del blog dell'ex pm (“quando Bersani non voleva fare opposizione dura, l'Idv chiedeva le dimissioni di Berlusconi subito. Adesso che le chiede Bersani non è più il momento giusto?”). Ancora più costernato è Sante Marafini, internauta del medesimo blog (“che cavolo di atteggiamento è questo? Prima volevi che Bersani fosse più risoluto contro Berlusconi, adesso che lo è e ne chiede le dimissioni tu ti defili e temporeggi. Non bisogna dargli tregua, non facciamo lo stesso sbaglio di Veltroni nel 2008”). E se è vero che ieri Di Pietro, su Sky, ha cercato di rassicurare i dipietristi duri, dicendo che le “dimissioni del premier” tornerà a chiederle “da domani” e “per altri motivi”, è pur vero che ha ribadito la necessità di non collegare la richiesta al risultato del referendum.

    Che cosa è successo? Perché l'ex pm di Mani pulite improvvisamente rinchiude nella lampada l'uomo sul trattore che parla pane al pane vino al vino, quel se stesso rurale sfoggiato con baldanza, mostrandosi con vesti moderate? C'è chi ci vede la tattica (“l'accordo con il Pd non è ancora chiuso”, dice un osservatore). C'è chi ci vede la furbizia di un Di Pietro che vuole farsi aspirazione civica personificata, spogliandosi della sovrastruttura partitica, visto il successo del movimentismo non solo referendario. Un dirigente dell'Idv, sotto anonimato, propende per una terza ipotesi: “Siamo stati i primi a puntare sulla legalità e sulla moralità. Poi anche gli altri, quelli che a sinistra ci attaccavano, hanno cominciato a imitarci. E purtroppo per noi ci hanno scippato gli elettori. Chissà, forse siamo stati troppo a lungo in prima linea e ci siamo logorati. Oppure questa è la prova della nostra forza: Di Pietro si prepara ad altri ruoli”.

    E' quello che pensa il vicesegretario del Pd Enrico Letta: “Non mi stupisce questo Di Pietro. Ho lavorato con lui gomito a gomito, ai tempi del governo Prodi: il Di Pietro ministro era già un'altra persona rispetto al Di Pietro di piazza. E ora, in vista di un nostro approdo alla guida del paese, comincia di nuovo a farsi intravedere il Di Pietro di governo”. Eppure ieri Di Pietro e Bersani sembravano essersi scambiati di ruolo, con Bersani che diceva “capisco Di Pietro” ma voglio le dimissioni e Di Pietro che, dopo aver detto no alla mozione di sfiducia (“troppi Giuda in Parlamento”), insisteva: “I cittadini sulle questioni concrete vogliono risposte concrete. Non credo che Zaia diventi elettore idv”. “Bersani per la prima volta si trova nella condizione riconosciuta del front runner”, dice Letta, “mentre Di Pietro sa che non guiderà la coalizione. Non c'è più bisogno di gareggiare in estremismo con Beppe Grillo”.

    Stefano Menichini, direttore del quotidiano Europa, dice che questo Di Pietro “ci stupisce per lo stesso motivo per cui il Vendola sul palco a Milano ci era parso fuori luogo”. E' un Di Pietro “che ha capito che sta accadendo qualcosa per cui è meglio essere paralleli che sovrapposti”, dice Menichini, “un Di Pietro che vede una forte corrente d'opinione che non vuole farsi mettere il cappello in testa, anche se secondo me questa corrente è ancora disposta a concedere una delega. Ma forse questo Di Pietro è anche figlio del ridimensionamento dell'Idv come partito alle amministrative”.

    L'Idv, infatti, pur vittoriosa a Napoli (ma con un Luigi De Magistris non “organico” a Di Pietro), a Milano non ha brillato (è passata dall'1,5 del 2006 al 2,5) e si è ritrovata senza assessori nonostante l'appoggio dato a Pisapia. I vendoliani però non sembrano intenzionati a lasciare da solo in campo un Di Pietro (pericolosamente?) moderato, specie ora che un verbo smaccatamente antiberlusconiano, visto il verdetto non berlusconiano delle urne, può suonare addirittura desueto. Paolo Cento, dal quartier generale Sel, pur galvanizzato per “la morte delle politiche liberiste”, dice: “Il referendum non deve essere letto come terzo tempo delle amministrative”.

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.