Il ministro del Tesoro: "Non mi dimetto"

I tentativi degli insofferenti di mitigare la strategia rigorista di Tremonti

Michele Arnese

Una questione di metodo. Una di merito. E una fiscale. In vista del Consiglio dei ministri di dopodomani, con all'ordine del giorno la manovra sui conti pubblici e il disegno di legge delega sul fisco, sono tre le differenze fra la strategia rigorista del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, e gli insofferenti che all'interno del Pdl e del governo chiedono di condividere e modificare l'impostazione del Tesoro.

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    Una questione di metodo. Una di merito. E una fiscale. In vista del Consiglio dei ministri di dopodomani, con all'ordine del giorno la manovra sui conti pubblici e il disegno di legge delega sul fisco, sono tre le differenze fra la strategia rigorista del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, e gli insofferenti che all'interno del Pdl e del governo chiedono di condividere e modificare l'impostazione del Tesoro.

    Fino a ieri sera non erano chiari, nemmeno ai principali ministri interessati, i contenuti dei tagli alla spesa pubblica necessari per la “manutenzione” dei conti per il 2011-2012 e soprattutto per il 2013 e il 2014 (per un importo pari al 2,3 punti di prodotto interno lordo). “Per sapere di più delle intenzioni di Tremonti mi sono rivolto a qualche esponente confindustriale”, dice al Foglio un ministro. Non è una boutade: infatti Confindustria, Cisl e Uil giovedì scorso sono stati convocati da Tremonti, che ha illustrato per sommi capi le aree di intervento per racimolare complessivamente 43 miliardi di euro. Un metodo che ha urtato più di un esponente della maggioranza. D'altronde c'è l'ambizione del Tesoro di voler avere prima una condivisione delle parti sociali. Non è un caso che ieri sia giunto l'ennesimo appoggio a Tremonti da Confindustria: “Questa manovra è fondamentale che venga fatta”, ha detto Emma Marcegaglia.

    Ma la frenesia di anticipare quella prevista sugli anni 2013 e 2014 suscita perplessità nel Pdl. Significative le parole di ieri del capogruppo alla Camera del partito berlusconiano: “Non bastano solo le cifre globali anno per anno – ha detto Fabrizio Cicchitto – ma è assolutamente necessaria la definizione delle voci su cui si devono esercitare i tagli e la parallela determinazione dei settori di spesa pubblica che invece vanno garantiti”. Se si anticipa la correzione sul 2013 e il 2014, sulla quale comunque l'esecutivo si è già impegnato con l'Europa, non si ha tempo di realizzare quella politica di tagli selettivi, preceduti dalla spending review auspicata da Bankitalia, e si torna di fatto ai tagli lineari da quasi tutti – compreso il governatore Mario Draghi – criticati. La replica tremontiana s'incentra su due punti. Primo: da anni attendo che i ministri mi indichino tagli spontanei ai loro capitoli di spesa ma questo raramente avviene, quindi sono costretto a imporli io. Secondo: le turbolenze sui debiti sovrani hanno riflessi anche sull'Italia con la minaccia di un declassamento del rating dell'Italia e pure delle principali banche, tanto che ieri lo spread tra il Btp italiano e l'analogo Bund tedesco è salito al record di 222 punti base, quindi è bene anticipare i tagli anche per gli anni prossimi così si dimostra ai mercati la serietà delle intenzioni governative di raggiungere il pareggio di bilancio nel 2014.

    Resta un dubbio: come mai dopo anni di rigore, austerità e tenuta dei conti sia necessario drammatizzare ulteriormente, dicono gli insofferenti alla Guido Crosetto, il sottosegretario alla Difesa, che ha stimmatizzato la manovra “da psichiatra” impostata da Tremonti. Sul fisco, comunque, si va a un compromesso: una bozza del disegno di legge delega prevede tre aliquote Irpef (al 20, 30 e 40 per cento) e innalzamento dell'Iva di un punto per le aliquote più alte (10 e 20 per cento). E' poi prevista l'abolizione dell'Irap a partire dal 2014, ovvero dalla prossima legislatura. Un segnale rivolto alla base di piccole e medie imprese sempre più disincantata.

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