La politica è una partita falsata
Una partita così in cui ognuno bagna la maglia, si agita, grida, mette a nudo intenzioni e ambizioni, simpatie e idiosincrasie non si vede di frequente. Aspiranti segretari di partito, possibili premier, futuri leader: le ambizioni ci sono, i ruoli pure. Il guaio è che ognuno, vecchio o nuovo, vorrebbe tutto per sé. Più che la politica totale è la velleità onanistica di emanciparsi dalla dura legge del collettivo.
Una partita così in cui ognuno bagna la maglia, si agita, grida, mette a nudo intenzioni e ambizioni, simpatie e idiosincrasie non si vede di frequente. Aspiranti segretari di partito, possibili premier, futuri leader: le ambizioni ci sono, i ruoli pure. Il guaio è che ognuno, vecchio o nuovo, vorrebbe tutto per sé. Più che la politica totale è la velleità onanistica di emanciparsi dalla dura legge del collettivo. Fino a qualche settimana fa ancora si intravvedevano due squadre vestite per la bisogna, gagliardetti e capitani, magari anche un tenente e un facente funzione. Il gioco certo languiva ma ce n'era comunque quel poco che bastava a tenere vive, sugli spalti, attesa e speranza. Nel nebbione si vedeva anche mister referee. Rassicurava. Poi d'improvviso è cambiato il vento, le squadre si sono moltiplicate, ognuno porta la maglietta che vuole e si sente capitano di se stesso. Non c'è più uno schema, si calcia alla 'ndo cojo cojo purché sia una bella pezza e si spera colpisca sotto la cintura. Quando si è costretti a difendersi lo si fa alla viva il parroco. Terzinacci di legno e di lotta alla Di Pietro passano di colpo al tutù rosa. Peones rugosi alla Crosetto stanchi di “sombreritos” e “bicicletas”, cercano vendetta e braccano sul prato l'artista Giulio, che però si sfina e si sfila. Non sa se può contare ancora sul capitano, “un capitano, soltanto un capitano”, che appare un po' stanco. Forse vorrebbe smettere ma non può e poi con quale maglia ritirarsi, la 5 di Beckenbauer, o la 6 di Baresi: nell'attesa pensa più che mai a “suggere”.
Fra quelli che contano e fecero anche buon gioco di squadra è gelo o è guerra: Bossi contro Maroni, leghisti contro leghisti, Maroni contro Tremonti e in fondo che ci si fa con lo spread, quando la casa brucia. Femmine contro maschi, quarantenni contro attempati, ventenni che non esistono, libere menti contro pretoriani: tutti contro Daniela la pazza e i coordinatori di ieri in attesa di farsi alla brace il diafano segretario di domani. Non hanno portato grande serenità nemmeno le nozze in bianco di colei che era la preferita e oggi al fianco di un marito da settimanale patinato si avvia a essere un'icona glamour.
Nell'altra metà campo anche coloro che fino a ieri erano considerati seri e riflessivi ora sembrano sciroccati. Ballano e gridano che le donne hanno vinto vivaddio e se non ora quando. Sono convinti che tutto sia definitivamente finito, la lunga parentesi richiusa, il premier e il suo partito ma anche gli altri e i partiti degli altri, le sue televisioni e quelle degli altri. Giurano che solo la sinistra potrà rifondare la sinistra, e meno male, m'era venuto un brivido da fallo di confusione. Così Nichi il salvifico va su in valle, le prende, non s'era accorto che Maroni c'ha la polizia e lui no. Così torna in città, grida che stanno violentando tutti e tutte, non solo la valle: la strada alla rifondazione è lunga. Altro che gloriose e scintillanti primarie. Bersani vuole vincere e ci mancherebbe pure. Ha messo tutti d'accordo: i Veltroni Fioroni Gentiloni dissoltisi quasi senza combattere, i rottamatori che come ragazzini tirano calci negli stinchi e scappano. Ma c'è lo stesso chi vorrebbe una Camusso in versione frau Merkel o una Concita se possibile più addolorata di Ségolène. In un angolo ci sono i navigati che decidono a che gioco giocare la prossima partita: sfugge il pensiero compiuto di D'Alema in materia e quindi non c'è verso che si possa chiudere in fretta. Anche perché si attivano come sempre quelli della società civile: ascari dei codici, grufolatori e solfanghisti, cacciatori e intercettatori di piquattristi e lobbisti. Nel caos il grande timoniere, il solo davvero interessato allo spread, va di mezzo marinaio per condurre in porto una riforma fiscale indolore di cui non si capisce perché non sia stata fatta a tempo debito. Le curve sono stanche anzi lesse, si annuncia la vampa d'estate. E la sola domanda che ormai conta è “il principe Alberto c'è o ci fa”?
Il Foglio sportivo - in corpore sano