Quell'inno contro il cronista postino nascosto nell'ultimo libro di Veltroni

Claudio Cerasa

Si potrà ironizzare ancora una volta sulla tradizionale enfasi retorica presente nei titoli della narrativa veltroniana (dalla “Scoperta dell'alba” a “Forse Dio è malato”, dalla “Sfida interrotta” al “Sogno spezzato”) ma una volta letto l'ultimo libro dell'ex segretario del Pd (“L'inizio del buio”, Rizzoli, 267 pagine, 18 euro) sarà difficile fare gli spiritosi e non riconoscere che il libro è davvero niente male.

    Dopo aver provato a rispondere a quelle perfide domande che ti passano per la testa ogni volta che arrivi in libreria e ti ritrovi di fronte a un romanzo, a un racconto o a un saggio firmato da un importante volto della politica italiana (“Ancora un libro? Ma non c'ha niente di meglio da fa'…”) bisogna provare a rimettere la cattiveria nel fodero, provare a essere sinceri e cercare di dire le cose come stanno. E allora sì: si potrà ironizzare ancora una volta sulla tradizionale enfasi retorica presente nei titoli della narrativa veltroniana (dalla “Scoperta dell'alba” a “Forse Dio è malato”, dalla “Sfida interrotta” al “Sogno spezzato”) ma una volta letto l'ultimo libro dell'ex segretario del Pd (“L'inizio del buio”, Rizzoli, 267 pagine, 18 euro) sarà difficile fare gli spiritosi e non riconoscere che il libro è davvero niente male.


    La trama dell'“Inizio del buio” la conoscete tutti: Veltroni racconta in quindici capitoli le vite parallele di Alfredo Rampi e di Roberto Peci e ricostruisce le ore in cui il nostro paese ha cambiato per sempre il proprio rapporto con i mezzi dell'informazione attraverso il ricordo degli ultimi istanti di vita di quel bimbo di sei anni, finito trent'anni fa in un pozzo di Vermicino, e di Roberto Peci, fratello di un famoso brigatista pentito (Patrizio Peci) condannato a morte dalle Brigate rosse alla stessa ora, dello stesso giorno, dello stesso anno in cui Alfredino cadde in quel pozzo a pochi chilometri da Roma. E' il 10 giugno del 1981 ed è in quelle ore che, secondo Veltroni, l'Italia si ritrova a fare i conti non solo con due indicibili tragedie ma anche con un fenomeno inedito per il pubblico italiano: un fenomeno il cui approfondimento è utile anche a spiegare come, quando e perché i nostri grandi mezzi di informazione sono diventati drammaticamente un po' meno padroni delle proprie azioni e un po' più vittime delle richieste del proprio pubblico. “Con il caso Alfredino e con il caso Peci – scrive Veltroni – per la prima volta le notizie travolgono il palinsesto: lo mandano all'aria, mettono fine a quel saggio equilibrio d'informazione, spettacolo, divulgazione, sport che aveva fatto della tv pubblica italiana un modello… Con Alfredino e con Peci – aggiunge Veltroni – la televisione travolge un'altra palizzata. Fa irruzione, armata della sua potenza, nella vita reale delle persone reali. Da quei giorni di giugno nessun diaframma resisterà alla pretesa del mezzo televisivo, sospinto dal crescente voyeurismo del pubblico, di entrare in ogni anfratto della vita individuale. Comincia con lo tsunami del giugno 1981, un'onda nera, una coltre di buio che porterà a Cogne, ad Avetrana, a Brembate”.

    La descrizione della storia di Alfredino Rampi e di Roberto Peci, oltre a essere un fedele resoconto di quanto accaduto in quel giugno del 1981, rappresenta un punto di vista interessante  anche sulle origini di una rivoluzione culturale le cui tracce si possono scorgere anche trent'anni dopo i fatti descritti nel libro dell'ex sindaco di Roma. Il senso del ragionamento di Veltroni è che chi governa i mezzi di comunicazione con la logica del “cliente ha sempre ragione” non solo giustifica la divulgazione di qualsiasi notizia solo per il semplice fatto che quella notizia possa in qualche modo “tirare”, ma rischia anche di dare un contributo al processo di “postinizzazione” del ruolo del giornalista e alla sua lenta trasformazione non in un professionista capace di valutare con attenzione le notizie che si devono dare da quelle che si devono non dare ma in una specie di postino che si sente costretto a offrire al pubblico tutto quello che riceve nella famosa cassetta delle lettere. Su questo punto la critica di Veltroni sa essere spietata.

    “C'è stata una grande rivoluzione civile a partire dal 1968, una secolarizzazione culturale che progressivamente fa saltare ogni verticalità, compresa la funzione pedagogica della tv, quella che portava a selezionare, normalizzare, talvolta censurare in nome di un supremo e accettato interesse collettivo. Tutto questo stava finendo. Il pubblico sarà sempre più importante. I cittadini, in prospettiva, sempre meno”. Naturalmente in queste parole tra virgolette Veltroni si riferisce alle tragedie del 1981, ma non ci vuole molto a capire che trent'anni dopo e migliaia di cortocircuiti mediatici dopo quella “secolarizzazione culturale” descritta da Veltroni non sembra averne voluto sapere di fermarsi neppure per un attimo.
     

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.