La Copeta - Argentina 2011
Ecco la Copa America, non più bella e confusa ma vetrina per gli acquisti
Sarà pure vero quello che dicono gli snob. Che in fondo è una Copeta se è vero che ci si partecipa per mero diritto geografico. Che è un pallido surrogato del Mondiale e persino parente lontano dell'Europeo dove per ogni paese qualificato alla fase finale ce ne sono almeno altri quattro rispediti a casa, scornati e sofferenti. Sarà pure vero che a conti fatti quel calcio è affare esclusivo di due grandissimi paesi.
Leggi la prima puntata di Falkland di Jack O'Malley - Leggi la prima puntata di Malvinas di Rio Paladoro - Leggi Sogno di un golasso di mezza estate di Beppe Di Corrado
Sarà pure vero quello che dicono gli snob. Che in fondo è una Copeta se è vero che ci si partecipa per mero diritto geografico. Che è un pallido surrogato del Mondiale e persino parente lontano dell'Europeo dove per ogni paese qualificato alla fase finale ce ne sono almeno altri quattro rispediti a casa, scornati e sofferenti. Sarà pure vero che a conti fatti quel calcio è affare esclusivo di due grandissimi paesi, al più di un terzo che fu molto grande e che solo ora mostra segni di risveglio, che gli altri sono così e così, e comunque in tutto dieci stecchiti, costretti a pescare altrove per chiudere tre gironi degni del nome. Ed è vero che il più antico torneo del mondo è anche il più confuso, nemmeno loro sanno se la prima edizione è quella del 1916 o quella del 1910 che si svolse per il Centenario della Revolución de Mayo, potenza ospitante l'Argentina e solo due altri paesi invitati, Cile e Uruguay. Hanno cambiato talmente tante volte formule, cadenze, modelli di organizzazione, persino regole di gioco che è normale che i cartesiani eurocentrici escano di senno. Nelle prime edizioni si è giocato una volta l'anno, nel 1959 addirittura due, con vittoria di Argentina e Uruguay. Poi ogni due anni. Infine a partire dall'edizione del 2001 si è deciso di farla svolgere ogni tre anni, negli anni dispari, per non farsi schiacciare da Mondiali e Olimpiadi, ma devono aver fatto male i conti e per impedire che l'edizione del 2010 venisse a coincidere proprio con il Mondiale in Sudafrica, nel 2007 hanno cambiato di nuovo: cadenza quadriennale, l'attuale. In novantacinque anni o in centouno secondo le differenti scuole di pensiero abbiamo dunque visto di tutto. Soppressione e poi reintroduzione dei tempi supplementari.
Il “calendario rotativo” per cui i paesi organizzatori si sarebbero dovuti succedere in rigoroso ordine alfabetico, dalla A di Argentina alla V di Venezuela, ma anche qui qualcosa non ha funzionato se nella storiografia l'Uruguay sta tra Ecuador e Bolivia e il Paraguay tra Bolivia e Colombia. E hai voglia a dire che nel 2007 la Conmebol che riunisce i padroni delle singole federazioni ha solennemente deciso che la Coppa seguirà “la misma secuencia que se había iniciado en 1987 , rotando en todos los paises cada cuatro años”: c'è sempre un granello di sabbia nella macchina, un cuneo nell'ordine, una piccola clausola che autorizza a giocarla ovunque e in qualsiasi momento purché ne facciano richiesta un certo numero di paesi.
Troppo disordine dunque per essere una cosa seria. Eppure è proprio questa flessibilità, questa insofferenza quasi anarcoide per ogni norma pianificata e centralizzata, insomma questo delizioso guazzabuglio che ha permesso di tenere il passo e reggere il punto e far sopravvivere il calcio a crisi economiche devastanti, a guerre civili, a rivoluzioni fallite, a colpi di stato. E' una lucida follia che traduce alla perfezione il modo in cui i popoli latinoamericani vivono il calcio. Come romanzo onirico, magico. Come piacere e sensualità, gioia sfrenata, delirio, disperazione e morte. Mai come danaro. E' il tratto comune di un continente conquistato da spagnoli e portoghesi, civilizzato con furore dai gesuiti, il solo che abbia contenuto il colonialismo inglese a un arcipelago e ridotto quello francese a una colonia penale. Persino nei club, in gran parte disastrati, come il leggendario River Plate retrocesso per la prima volta in una storia più che secolare, il fare i conti con la realtà, l'approccio per così dire industriale è recente: imposto dalla logica ineluttabile della politica dei Blatter e dei Platini.
La 43esima edizione della Copa America che è cominciata stanotte alle 2 e 45 ora italiana allo stadio de La Plata con Argentina-Bolivia e si chiuderà il 24 luglio al Monumental di Buenos Aires, sempre che si riesca rimetterlo in sesto per tempo dopo le devastazioni dei tifosi del River, la prima Copa a cadenza quadriennale, dunque, altro non è che il suggello di un processo inevitabile di omologazione e normalizzazione. Questa edizione, la prima trasmessa integralmente e in diretta dal più importante network mondiale, lascia intendere che entrerà a far parte stabilmente del trittico planetario con Mondiale ed Europeo. In attesa che si irrobustiscano nuove gambe in altri continenti a cominciare dall'Africa.
I club europei hanno bisogno disperato di fare shopping e di trovare lì gli specialisti di sombreritos, bicicletas e trivelas che da tempo hanno rinunciato a tirarsi su in casa . Per decenni soltanto gioia e disperazione, il principale torneo latinoamericano è ormai vetrina essenziale, indispensabile agli equilibri del calcio mondiale. Non più Copeta dunque. Ma Copa.
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