In morte del giornale tabloid

Paola Peduzzi

La prima regola di Rebekah è non farsi notare. Con quei ricci rossi scompigliati e la fama da ragazza cattiva non è compito semplice, ma se vuoi fare carriera nei tabloid britannici – quelle macchine tritatutto in cui tutto diventa macellabile – come minimo non devi mai diventare materiale buono per un titolo da prima pagina. Rebekah, che oggi è il capo del colosso mediatico di Rupert Murdoch nel Regno Unito, si è ispirata a Paul Dacre, direttore del Daily Mail.

    La prima regola di Rebekah è non farsi notare. Con quei ricci rossi scompigliati e la fama da ragazza cattiva non è compito semplice, ma se vuoi fare carriera nei tabloid britannici – quelle macchine tritatutto in cui tutto diventa macellabile – come minimo non devi mai diventare materiale buono per un titolo da prima pagina. Rebekah, che oggi è il capo del colosso mediatico di Rupert Murdoch nel Regno Unito, si è ispirata a Paul Dacre, direttore del Daily Mail, un signore potentissimo e schivo, che quasi non esce di casa per evitare di rimanere incastrato nel tritatutto (in compenso ha dettato l'agenda alla coalizione di governo per buona parte dell'anno scorso), in contrapposizione a Piers Morgan, che fu nel 1994 il più giovane direttore di tabloid – aveva 28 anni – e che a oggi ha già pubblicato tre libri di memorie ed è l'uomo più visibile e più a caccia di visibilità del mondo (provate a seguirlo su Twitter, se ci riuscite). Morgan fu il mentore di Rebekah, quando lavoravano assieme a News of the World, lui come direttore e lei come redattrice in grandissima e ambiziosissima ascesa, ma da lui Rebekah ha imparato a vendere copie, non certo a esporsi in ogni modo possibile.

    Rebekah se l'è cavata piuttosto bene, nel compito di non trasformarsi in materia da scoop, non fosse per quella notte che ha picchiato il marito attore ed è stata arrestata (fu rilasciata la mattina seguente, e siccome Rupert la aspettava per un incontro non è nemmeno passata da casa, è andata dritta da lui e prima di entrare nella stanza dove il tycoon australiano aspettava ormai da alcune ore ha detto: “Volevo dargli un benvenuto di quelli che non si dimenticano”). Se si cancellano quelle quarantotto ore in cui tutta l'Inghilterra parlò e sparlò delle botte di Rebekah – con che cosa l'ha colpito? Perché l'ha picchiato? E lui ha reagito? Perché nella stessa notte un'amica di Rebekah ha riservato un trattamento identico al compagno, anche lui attore di soap opera collega del marito della rossa signora? – lei è sempre rimasta nei canoni della normale, gestibile mondanità. Finché non è arrivato il taccuino di Glenn Mulcaire.

    Il taccuino è la fonte primaria dello scandalo che sta travolgendo media inglesi, polizia e governo, tutto d'un colpo e tutti insieme: è dagli appunti dell'investigatore privato Mulcaire, molti scritti a mano, che si è scoperto che News of the World, tabloid di proprietà di Rupert Murdoch di cui Rebekah è stata direttrice e che ieri è stato chiuso perché non poteva sopravvivere alla serie di arresti e inchieste che stanno arrivando, ha per anni fatto intercettazioni illegali su telefoni di politici, attori, giornalisti e chiunque passasse per le prime pagine dei giornali. Ieri si è saputo che la pratica era talmente entrata nella routine da essere uno strumento utile per ogni articolo. Dopo che l'intercettazione del telefono della piccola Milly Dowler ha forse cambiato le sorti di quella drammatica storia di cronaca (Milly fu rapita e uccisa nel 2002, il suo telefono fu intercettato poco dopo che era scomparsa, quando ancora non si sapeva nulla del suo destino, alcuni messaggi in segreteria furono cancellati, chissà che cosa dicevano, i genitori della ragazzina pensarono che quello fosse un segnale per far sapere che era ancora viva), ieri si è saputo che l'hacking riguardava anche i telefoni delle vedove dei soldati morti sul fronte, in Afghanistan e in Iraq, e i familiari delle vittime dell'attacco nella metropolitana del 7 luglio del 2005 (ieri ricorrevano i sei anni dalla strage, sul tempismo con cui il Guardian, regista unico dello sputtanamento tramite intercettazioni illegali dell'impero Murdoch, riesce a pubblicare i dettagli del taccuino si scriveranno libri).

    Glenn Mulcaire ha annotato tutto, perché lui, che è stato uno dei primi a finire in galera dopo che si è scoperto che aveva intercettato niente meno che i telefoni della casa reale inglese, sapeva di essere finito in un affare gigantesco. Oltre ai suoi file, Glenn aveva anche scritto un libro in cui spiegava che i piani alti del tabloid sapevano tutto – il punto è soltanto questo: erano i giornalisti in ansia da scoop ad aver messo in piedi il sistema di intercettazioni illegali tramite investigatore privato o c'era un mandato dall'alto? Nel settembre dell'anno scorso, l'Independent disse di aver visionato la sinossi di quel libro – il titolo previsto era “Hear to Here: The Inside Story of the Royal Household Tapes and The Murky World of the Media” – che poi non aveva mai visto la luce perché Glenn aveva ceduto al vil denaro: un accordo da 80 mila sterline con News of the World per non fare uscire più dettagli di quelli che già erano in possesso degli inquirenti.

    Secondo quanto scritto allora dall'Independent, Glenn aveva raccontato di aver ricevuto almeno una ventina di telefonate l'anno da News of the Word per intercettare qualcuno, e non soltanto da parte del giornalista che finì in galera assieme a lui, Clive Goodman, che allora si occupava di scrivere dei Windsor sul tabloid di Murdoch. Nella sinossi di un capitolo che avrebbe dovuto intitolarsi “The approach”,  l'approccio, Mulcaire raccontava di aver ricevuto precise istruzioni per intercettare la famiglia reale.

    Scriveva: “Fu una di quelle solite telefonate. Ne ricevevo da dieci a venti ogni anno. ‘Abbiamo un'informazione che vorremmo verificassi, vieni qui prima che puoi'. Arrivava da News of the World, che non sono mai molto educati, ma ero sotto contratto quindi non avevo la possibilità di sottrarmi”. Nel capitolo successivo, dal titolo provvisorio “The operation”, l'operazione, Mulcaire aggiungeva: “Non volevo portare a termine quell'incarico. Qualsiasi cosa abbia a che fare con i reali o con l'establishment mi fa venire subito l'ansia, ma ero sotto contratto e in questi casi devi semplicemente astrarti ed essere professionale. Ecco come devi fare se vuoi essere considerato un bravo investigatore, e io mi considero tra i migliori”. In un capitolo dal titolo “The Greed”, l'avidità, Mulcaire spiegava che aveva smesso di intercettare i telefoni dopo che era uscito un gossip sulla famiglia reale – il principe William si era stirato il tendine di un ginocchio, un'informazione che sapevano e potevano sapere soltanto gli intimi – e tutti avevano iniziato a chiedere chi potesse essere la fonte. Ma poi aveva ricominciato: “Avevamo violato tutte le regole della sicurezza. Volevo fermarmi. Sapevo che ogni mossa ulteriore sarebbe stata una sfida alla sorte, ma Goodman era affamato. Alla fine non avevo alternative. Lui sapeva che ero in grado di dargli l'accesso a una gallina dalle uova d'oro. Una chiamata a me e poteva avere un'esclusiva sulla famiglia reale. Ma soprattutto lui sapeva che io ero sotto contratto. Mi era stato detto in termini molto chiari: se ti fermi adesso, non lavorerai mai più nei media. Che cos'altro potevo fare?”.

    L'attendibilità di Glenn Mulcaire è tutta da dimostrare, così come tutte le incriminazioni di questa inchiesta che da anni Scotland Yard porta avanti, con impegno piuttosto elastico peraltro. Per quel poco che si sa di lui – le immagini lo ritraggono con i capelli lunghi lisci, un'aria che ricorda vagamente quella di Julian Assange, fondatore di Wikileaks e idolo degli hacker di moderna generazione, forse la somiglianza non è un caso – si dice che giocasse meglio a calcio di quanto non facesse bene l'investigatore e che per lui il massimo fosse andare a vedere le partite con i suoi cinque figli. L'impressione dei commentatori è che un'attività amatoriale si sia trasformata in una professione, e che sia poi finita a due passi da Buckingham Palace, troppo vicino al sole per non finire bruciati. Però Mulcaire parla di un contratto e di un rapporto di lavoro continuativo che certo non potevano essere garantiti soltanto da Goodman. Se l'investigatore non mente, Rebekah Wade (ora Brooks, si è risposata nel 2009 con l'ex allenatore di cavalli da corsa Charles Brooks) è nei guai: è stata direttrice di News of the World dal 2000 al 2003, le intercettazioni illegali allora erano già iniziate. Ora i riccioli rossi, gli occhi azzurri e l'espressione di una che non si fa intimidire facilmente sono finiti su tutti i quotidiani britannici e no. Rebekah è materiale buono per i titoli di prima pagina dei tabloid – ora non è più la direttrice, è l'editore, ancora peggio. Molti chiedono che si dimetta, perché lei non poteva non sapere, ma fin da subito Rebekah ha risposto di no: collaboro con le autorità, quel che sta accadendo è “inaccettabile”, non ne sapevo nulla e aiuterò a capire come sono andati i fatti. A sua parziale discolpa, è stato detto che ai tempi dell'intercettazione del telefono della ragazzina scomparsa e uccisa Rebekah era in vacanza – ma un direttore di giornale non è mai in vacanza, è sempre reperibile, sempre al corrente di tutto. Se pure fosse vero che aveva deciso di essere irraggiungibile, il suo vicedirettore allora era Andy Coulson (ieri il Guardian ne dava per imminente l'arresto), cioè l'ex capo della comunicazione del primo ministro inglese, David Cameron, che si dimise proprio in seguito a questo scandalo – non proprio un sostegno al premier “amico”.

    Secondo Jon Gaunt, ex commentatore del Sun (tabloid di Murdoch), Rebekah, che due sere fa aveva infine offerto le sue dimissioni, non può dimettersi, è l'ultimo, inossidabile argine per evitare che lo scandalo finisca per colpire James Murdoch, figlio di Rupert, l'erede dell'impero, il capo di tutte le operazioni in Europa e Asia, che fa base a Wapping, il quartier generale del gruppo a Londra, e che – secondo il direttore del Guardian – avrebbe pagato già consistenti somme per evitare che la verità sullo scandalo emergesse in passato.

    Come ultima difesa, non c'è nessuno meglio di Rebekah. Rupert Murdoch l'ha scelta per questo – molti dicono che sarebbe stata lei l'erede se non ci fossero stati i figli da sistemare. Rebekah ha litigato con molti, ha lasciato dietro di sé parecchi cadaveri, non ha mai perso l'occasione di denigrare i suoi nemici e di far avanzare i suoi amici, ha dimostrato di saper fare la redattrice d'assalto (la spiona, dicono ora alcuni, ché alle dipendenze di Piers Morgan andò a scovare fonti con metodi non del tutto chiari) e la manager di successo: Rebekah è il murdochismo fatto donna, l'alter ego femminile dello “squalo”, e per la maggior parte delle persone questo non è un complimento. Per lei ovviamente sì. Ha lavorato sodo per arrivare dove è arrivata, è rimasta in piedi in un mondo in cui a volte non basta nemmeno la mano dell'imperatore a proteggerti. Nel 2003, quando divenne la prima direttrice donna del Sun e la prima donna a dirigere un quotidiano popolare, Rupert Murdoch dichiarò: “Rebekah ha dimostrato di essere un grande direttore quando ha reso News of the World popolare, potente e spesso controverso. Sono certo che avrà di nuovo successo al Sun”. Parlando per la prima volta davanti alla redazione del tabloid, Rebekah scelse volutamente una metafora poco minacciosa, citò Willy Wonka de “La fabbrica del cioccolato” e disse di sentirsi felice ed emozionata come il bambino che aveva sempre avuto tutto quello che aveva desiderato. Ma il suo desiderio non era tanto o solo quello di diventare direttrice, quanto piuttosto quello di sostituire David Yelland. Lei lavorava al Sun quando Yelland fu nominato, e non aveva certo nascosto di non essere contenta di quella scelta. Yelland era molto vicino a Murdoch, era un rivale molto competitivo, aveva lavorato in America con lui, gli scriveva addirittura i discorsi, era troppo potente sul mercato britannico per poter risultare digeribile a Rebekah. Per questo lei andò via dal Sun, prese la direzione di News of the World e tornò al Sun soltanto quando finalmente Yelland se ne stava andando. Per questo Rebekah era felice come una bambina, per questo, il primo giorno in cui iniziò a dirigere il Sun, Yelland le lasciò un suo personalissimo regalo di benvenuto (su tutte le copie del giornale, in tutte le edicole del paese, alla faccia anche dell'editore, o forse con il suo appoggio, chissà).

    A pagina tre, la pagina delle ragazze in topless, c'era la bella modella Rebekah Teasdale, per l'occasione con i capelli rossi e il seno rigorosamente scoperto, con scritto: “Rebekah from Wapping”. Il nome della nuova direttrice sputtanato su quella pagina tre che, per tutte le associazioni di giornalismo femminile, lei avrebbe dovuto eliminare come primo, urgentissimo atto (non l'ha mai fatto, ovviamente: vendere copie è più importante dell'essere donne, per una che picchia il marito poi). Rebekah incassò il colpo, a Wapping ancora c'è qualcuno che, quando ci pensa, non riesce a non scoppiare a ridere. Di nascosto, ovviamente. Perché non si diventa l'ultima rete di protezione dell'impero Murdoch, l'ultimo baluardo, insacrificabile ma allo stesso tempo vulnerabile, senza mordere come uno squalo.

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi