Non aprite quel libro
La prima cosa da fare, se si è donne, è bruciare tutti i romanzi. Non leggere mai più. Lavorare a maglia, piuttosto, andare a pilates o a farsi iniezioni di botox, ma non toccare un libro. “Mai nessuna vergine ha letto dei romanzi”, scrisse Jean-Jacques Rousseau nella prefazione di “Giulia o la Nuova Eloisa” (1761), il best seller che tutte le fanciulle in fiore di quegli anni leggevano di nascosto in camera da letto, dopo che era stato vietato loro di sfogliarlo.
La prima cosa da fare, se si è donne, è bruciare tutti i romanzi. Non leggere mai più. Lavorare a maglia, piuttosto, andare a pilates o a farsi iniezioni di botox, ma non toccare un libro. “Mai nessuna vergine ha letto dei romanzi”, scrisse Jean-Jacques Rousseau nella prefazione di “Giulia o la Nuova Eloisa” (1761), il best seller che tutte le fanciulle in fiore di quegli anni leggevano di nascosto in camera da letto, dopo che era stato vietato loro di sfogliarlo. La donna che legge è destinata alla perdizione, alla dissolutezza, alla ninfomania. Le lettrici, con la mente piena di immagini pericolose, di troppo sottili confini fra il bene e il male, si affacciano sul baratro morale (e sessuale), si liberano dell'innocenza per sempre e vanno incontro a destini pericolosi (forse anche più divertenti del botulino). Secondo il saggio di Francesca Serra, “Le brave ragazze non leggono romanzi” (Bollati Boringhieri), il libro è, storicamente, la tentazione più erotica che esista: basta aprirlo per dire addio alla castità e trasformarsi in una nuova Madame Bovary (la più grande lettrice della letteratura ottocentesca), che da ingorda consumatrice di romanzi diventa una vorace adultera e non riesce più a fermarsi.
I libri, all'inizio, non erano stati pensati per le ragazze, e non si immaginava che le donne sarebbero diventate presto bulimiche di libri, lettrici furiose, iper consumatrici, fameliche responsabili della democratizzazione della cultura. Cominciarono a leggere qualunque cosa, a volerne ancora, ad arrivare all'ultima pagina di un libro e subito chiederne un altro (questa tendenza riguarda anche il talento femminile per il consumismo), e intanto sognavano, immaginavano, si procuravano il loro godimento rapinoso. “Quanti romanzi sono già usciti in stampa”, predicavano contro il degrado i teologi a metà del Seicento, che “fino i fanciulli avevano letto”, “fino le più tenere verginelle”. Lo scandalo supremo erano, naturalmente, non i fanciulli ma le verginelle. Votate alla depravazione certa, e più in là alla morte, come Emma Bovary, come Anna Karenina, come molte.
E causa del declassamento del romanzo, anche, di quella femminilizzazione della letteratura, che non ha mai più riacquistato la sua purezza (quindi le donne non soltanto sono perdute, ma la potenza di quel baratro ha provocato la perdizione e l'harmonyzzazione della letteratura mondiale) “Pornolettrici”, le chiama con ironia Francesca Serra, come Marilyn Monroe che, seminuda e con i capelli al vento, viene fotografata con l'“Ulisse” di Joyce sulla spiaggia di Long Island (le ultime pagine, quindi lo scandaloso monologo di Molly Bloom). Un'idea peccaminosa di libertà, curiosità, salto nel buio, viaggio di Alice nel paese delle meraviglie, da cui non si tornerà mai come prima.
E adesso, come ha scritto Mario Vargas Llosa disperandosi, il lettore è tremendamente femmina. Pare che sia un male. Significa che gli uomini hanno cose più importanti da fare, e che la lettura è paragonabile al bridge. Secondo Vargas Llosa la letteratura “è stata relegata, come certi vizi incoffessabili, ai margini della vita sociale”. Cioè alle donne, colpevoli anche dell'imbarbarimento. Se i buoni romanzi scarseggiano, è colpa delle pornolettrici. Avide, insaziabili, dipendenti. Talmente perdute in questa folle ninfomania da avere sostituito il mal di testa con il libro. “Scusa, non adesso, sto leggendo”.
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