“Fu la sconfitta della ragione”. Quel libro da leggere che rilegge il caso Sofri

Nicoletta Tiliacos

“Lui non dette l'ordine, ma era d'accordo”. “Lui” è Adriano Sofri e l'affermazione testuale è di Leonardo Marino, l'uomo che a sedici anni dall'omicidio del commissario Calabresi accusò l'ex leader di Lotta continua di esserne stato il mandante, e si autoaccusò di averlo eseguito con altri due militanti di Lc, Giorgio Pietrostefani e Ovidio Bompressi. A registrare quella frase, nell'agosto del 2009, fu Giovanni Parlato, il redattore del quotidiano il Tirreno che si è occupato del caso Sofri fin dal 1997.

    “Lui non dette l'ordine, ma era d'accordo”. “Lui” è Adriano Sofri e l'affermazione testuale è di Leonardo Marino, l'uomo che a sedici anni dall'omicidio del commissario Calabresi accusò l'ex leader di Lotta continua di esserne stato il mandante, e si autoaccusò di averlo eseguito con altri due militanti di Lc, Giorgio Pietrostefani e Ovidio Bompressi.

    A registrare quella frase,
    nell'agosto del 2009, fu Giovanni Parlato, il redattore del quotidiano il Tirreno che si è occupato del caso Sofri fin dal 1997, anno della prima condanna in Cassazione per i tre accusati da Marino. Parlato ha da poco pubblicato “Lui non dette l'ordine. Il caso Sofri e la memoria” (Ets, 216 pagine, 15 euro). Con il quale, ci spiega, non intende “attaccare la verità processuale, la quale, con sentenza passata in giudicato, ha condannato Sofri, Bompressi e Pietrostefani a ventidue anni. La sentenza è quella, nessuno la vuol cambiare, il caso Sofri è chiuso e nessuno vuole riaprirlo. Ho voluto mettere in fila i dubbi che mi porto appresso dal giorno in cui incontrai i tre condannati nel carcere Don Bosco di Pisa. E la rilettura di tutti gli atti processuali i dubbi me li ha confermati”.

    Il libro di Parlato ha una dedica singolare: “A tutti i giudici e agli aspiranti giudici”. Giovane aspirante magistrato è Patrizia T., un personaggio di fantasia al quale Parlato, passo dopo passo, racconta la vicenda, e che immagina assista al colloquio (vero) con Marino. Un espediente narrativo per poter fare la domanda che più gli sta a cuore: “Ad ascoltare le parole di Marino, si può condannare una persona a ventidue anni? Sofri è stato condannato per queste parole”. Parlato ci spiega infatti che “mettendo di nuovo a fuoco le tante, tantissime contraddizioni di Marino, mi sono chiesto: ma come è possibile che i giudici abbiano potuto credere a una persona che aveva sbandamenti della memoria così importanti? Dopo sedici anni ci si può sbagliare sul colore della macchina o sulla strada di fuga presa dopo l'omicidio. Ma se chiamiamo in correità altre persone non possiamo sbagliare su presenza, circostanze, luoghi. Insomma: se decidiamo di accoppare qualcuno ci ricordiamo come è andata. Il fine del mio libro – aggiunge – non è dire che i condannati per la morte di Calabresi in realtà sono innocenti, ma invitare il lettore a esercitare il dubbio. Per me, la condanna di Adriano Sofri rappresenta la sconfitta della ragione, qualcosa che mina il rapporto con la realtà, con la giustizia, con la democrazia. Ci vedo una fragilità delle nostre fondamenta giuridiche”.

    Sandra Bonsanti, a lungo direttore del Tirreno, scrive nella postfazione del libro che quando Parlato decide di incontrare Marino nel 2009, la risposta dell'uomo alle domande dirette del cronista “non è più quella data ai carabinieri, ai magistrati, alla Corte. Non è esattamente quella”. E' infatti: “Lui non dette l'ordine, ma era d'accordo”. Parlato dice che “Marino ha ripetuto in molte occasioni che Sofri era  d'accordo con la decisione di uccidere Calabresi. Ma quell'altra frase così netta (‘lui non dette l'ordine') negli atti non l'ho mai trovata. Un mandante che ‘non dette l'ordine': ecco un bell'ossimoro. E un'occasione per riflettere sulla responsabilità. Che può essere quella, morale, per la campagna di denigrazione che Lotta continua condusse contro Calabresi. Ma la responsabilità penale è personale. E chiunque pensi che Marino si sia sentito dire da Sofri: ‘Va' e uccidi', deve sapere che non è andata così”.