Il giorno che monsieur Sarkozy ha perso la sua guerra di Libia
“Gheddafi può anche restare, in un'altra stanza nel suo palazzo, con un altro titolo”. Questo auspicio non è stato espresso dal premier russo Vladimir Putin o dal turco Recep Tayyip Erdogan ma – sorprendentemente – da Gérard Longuet, ministro della Difesa di Nicolas Sarkozy. Anche l'agenzia France Presse, nel riportarlo, ne parla come di “una svolta”. Quella delineata da Longuet sarebbe a tutti gli effetti una vittoria sostanziale per il colonnello Muammar Gheddafi e una smentita frontale di tutta la strategia francese.
“Gheddafi può anche restare, in un'altra stanza nel suo palazzo, con un altro titolo”. Questo auspicio non è stato espresso dal premier russo Vladimir Putin o dal turco Recep Tayyip Erdogan ma – sorprendentemente – da Gérard Longuet, ministro della Difesa di Nicolas Sarkozy. Anche l'agenzia France Presse, nel riportarlo, ne parla come di “una svolta”.
Quella delineata da Longuet sarebbe a tutti gli effetti una vittoria sostanziale per il colonnello Muammar Gheddafi e una smentita frontale di tutta la strategia francese (ma anche inglese, americana e quindi della Nato) che ha guidato finora la guerra di Libia. L'operazione militare era mirata a eliminare – anche fisicamente – il rais libico, a togliere ogni legittimità al governo di Tripoli e a riconoscere il Consiglio nazionale di transizione (Cnt) di Bengasi quale unico governo legittimo del paese. Gli obiettivi si sono rivelati irrealistici, a fronte della più che prevedibile – per quanto non prevista né da Sarkozy né dal premier britannico David Cameron né da Barack Obama – resistenza di Gheddafi e alla palese inadeguatezza dello stesso Cnt. Ora Parigi, o quantomeno Longuet, preso atto dell'impasse delle operazioni, alla vigilia del voto con cui oggi l'Assemblée nationale deciderà sul rifinanziamento della missione (a causa del prolungamento imprevisto delle operazioni), vuole dunque chiudere al più presto la guerra di Libia. Concludere in questo stato la missione avrebbe un costo politico altissimo, visto che il ministro francese ha apertamente ipotizzato che Gheddafi resti comunque in Libia e che mantenga – sia pure “in un'altra stanza del palazzo e con un altro titolo”– un ruolo centrale nella vita del paese. Una decisione del genere sarebbe un'aperta smentita della non negoziabilità dell'allontanamento del rais dalla Libia, nonché un'offerta palese di una qualche forma di continuità della sua leadership – magari per interposta persona – e una piena ritrattazione di tutto quanto la Francia ha fatto in sede Onu.
Lo scenario indicato dal ministro che ha la responsabilità diretta della guerra in Libia per la Francia prevede infatti l'annullamento, quasi nel ridicolo, del mandato di cattura spiccato contro il rais per “crimini contro l'umanità” – come richiesto dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite al Tribunale dell'Aja – e il reintegro pieno della rispettabilità politica di Gheddafi. La svolta è motivata da una constatazione cruciale che Longuet sintetizza così: “Ora le due parti possono parlarsi, perché è stato ampiamente dimostrato come non vi sia alcuna possibilità di uscire dalla crisi libica con il ricorso alla forza”. Per la prima volta si assiste a una radicale smentita delle assicurazioni, più volte ribadite anche da Longuet, riguardo al fatto che “il ricorso della forza” avrebbe portato a una sconfitta piena, rapida e ineluttabile del colonnello Gheddafi. Le parole del ministro francese sono anche una totale presa di distanza dalle posizioni del Cnt di Bengasi, che, come ammette lo stesso Longuet, è di tutt'altro avviso. Quindi, conclude il ministro francese, “abbiamo sollecitato le due parti a parlarsi, perché secondo noi è giunto il momento di sedersi attorno a un tavolo. Noi della Nato fermeremo i bombardamenti non appena i libici cominceranno a negoziare e le forze delle due parti torneranno alle loro caserme.”
Va detto che non è chiaro se Longuet parli a nome del presidente Sarkozy o se invece, in dissenso con l'Eliseo, non si faccia portavoce delle posizioni dell'Armée che, come la Royal Air Force britannica, si fa sempre più convinta di quanto aveva detto, già da prima dell'inizio delle operazioni in Libia, l'ex segretario alla Difesa americana Robert Gates, apertamente critico sulle possibilità di successo di una guerra del genere. I dubbi sull'esistenza di un braccio di ferro in corso tra Eliseo, Armée (e forse anche Longuet) sul tema della “svolta” si basano anche sulle rivelazioni del settimanale Canard Enchaîné – sempre informatissimo sugli arcana imperii dell'Eliseo – circa la reazione scandalizzata dei generali dello stato maggiore francese a fronte dell'ordine con cui Sarkozy avrebbe comandato di “chiudere la guerra con una vittoria sul campo entro il 14 luglio”, festa della presa della Bastiglia. Per i dirigenti militari francesi, l'obiettivo imposto dal presidente è quantomeno irrealistico e il suo ordine è “scandaloso, senza precedenti”.
Certo è che Saif al Islam, il figlio “riformatore” di Gheddafi, ha subito confermato la sostanza del discorso di Longuet, sostenendo che Sarkozy abbia personalmente ricevuto un emissario di Gheddafi (circostanza smentita da Parigi). Secondo Saif al Islam, il presidente avrebbe detto: “Siamo noi ad aver creato il Cnt di Bengasi e senza il nostro sostegno, il nostro denaro e le nostre armi il Consiglio non esisterebbe”. La citazione, ovviamente, è stata altrettanto prontamente smentita dall'Eliseo. Saif al Islam ha concluso la sua intervista a un giornale algerino spiegando che ormai la trattativa coinvolge soltanto Tripoli e Parigi. Il Cnt di Bengasi è escluso, assicura, e alla fine dovrà adeguarsi.
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