Elogio del Liga

Stefano Pistolini

Non si placa la kermesse delle adunate oceaniche del rock nostrano. Anzi, approda al suo più programmatico e descrittivo degli episodi, già progettato sulla dimensione dei record e con la visione del gigantismo: Campovolo 2.0, 120mila biglietti venduti per vedere Luciano Ligabue che, 6 anni dopo il primo episodio, torna a cantare sul luogo deputato della sua immaginazione. Vuole la leggenda che ai provinciali inizi di carriera gli fosse toccato di suonare a un modesto festival dell'Unità proprio su quel terreno aeroportuale e che quel posto si sia conficcato nella sua fantasia.

    Non si placa la kermesse delle adunate oceaniche del rock nostrano. Anzi, approda al suo più programmatico e descrittivo degli episodi, già progettato sulla dimensione dei record e con la visione del gigantismo: Campovolo 2.0, 120mila biglietti venduti per vedere Luciano Ligabue che, 6 anni dopo il primo episodio, torna a cantare sul luogo deputato della sua immaginazione. Vuole la leggenda che ai provinciali inizi di carriera gli fosse toccato di suonare a un modesto festival dell'Unità proprio su quel terreno aeroportuale e che quel posto si sia conficcato nella sua fantasia: un giorno qui potrei fare un concerto con una platea woodstockiana, un palco di 90 metri e 4 milioni di euro per intrattenere i convenuti. Detto fatto: c'erano 180mila persone nel 2005, quando Liga venne qui la prima volta. Quella cifra, insuperata a livello continentale, resterà tale, perché adesso si è sbigliettato meno, promettendo una serata più confortevole del 2005, allorché i problemi furono non indifferenti. Ma il mito del Campovolo reggiano torna a decollare nell'immaginario rock nazionale. E non è facile definire la regola dell'attrazione, in questa estate 2011, di un raduno così intenzionalmente retrò, con le tende, le bandiere, i sacchi a pelo e il confortante odore di piadina. Di sicuro è questo l'italian way di stagione, nel riuso di uno dei grandi topic moderni – alla voce “rock festival” o “empatia di massa alla luce della luna”. Stavolta poi, più degli exploit numerici è il rituale che conta: Ligabue, reduce da una stagione di successi, si trova ancora a incarnare un modello che, anziché invecchiare parallelamente ai suoi 51 anni, si rafforza e mantiene senso.

    Liga è il pendant di Springsteen, riambientato nel quadro italiano – accessibile e riproducibile lungo tutto l'arco culturale della penisola. E' l'individualista che dà voce alla sua idea ma si sottrae alla partecipazione irrigimentata, è il solitario che non delega le responsabilità e si dichiara immune ai condizionamenti. E' la scontentezza dell'Italia di oggi, la nostalgia delle radici, l'erede di quel culto emiliano per la Costituzione che lui chiama “carta dell'utopia”, scritta da uomini che seppero fare la politica come quelli di oggi non sanno fare più. In sostanza Liga è un leader naturale che oggi si sfila dal ruolo e agisce per assenza: il suo “no”, il suo distacco, il suo rimprovero diventano “genere”.

    E' il ritorno dei cani sciolti che in altri anni fecero della non-adesione uno stile di vita e un segno di riconoscimento. E montare Campovolo 2.0 significa chiamare a raccolta coloro che nelle canzoni (ancor di più: nell'impronta esecutiva) di Ligabue trovano definizione. Dando a tutto ciò la forma di una sterminata celebrazione, come neppure osa fare il citato Springsteen delle inquietudini, degli american horses e del potere ai sentimenti. Il pericolo allora sta nell'adesione incondizionata a questo conformismo del pessimismo, dell'incomprensione e della fierezza, nell'autoesclusione di queste vite da bar, da radio libera, da campetto spellato, da castelli di sogni. “Balliamo sul mondo”, dice Ligabue, che offre ai fan una festa memorabile ma anche il recinto in cui rinchiuderla: siamo qui, quelli che resistono, quelli che non si piegano, quelli che scalciano, quelli del Bar Mario e dei mostri dentro. Comunque vada sarà un successo: ma bisogna crederci fino in fondo, prendere ossigeno e tuffarsi nel maremoto del Campovolo. Ligabue è la rockstar a schiena dritta: a coloro che la giudicano posizione troppo esplicita, questa notte di wattaggio supremo potrebbe sembrare il trionfo del narcisismo.