Ai mercati e ai cittadini non basta l'austerity
Se la stabilità fiscale, rappresentata dal pareggio del bilancio statale, e la stabilità monetaria, intesa come inflazione che non eccede il 2 per cento, sono i presupposti dello sviluppo, per l'Unione europea si attende un futuro radioso, dato che tra sussurri e grida tutti i paesi membri si stanno adattando a questa politica. Di ciò, però, non paiono convinti i due attori principali del processo: il mercato – forse è meglio dire le agenzie di rating (che ne hanno combinate più di Bertoldo in Francia) – e i cittadini europei.
Se la stabilità fiscale, rappresentata dal pareggio del bilancio statale, e la stabilità monetaria, intesa come inflazione che non eccede il 2 per cento, sono i presupposti dello sviluppo, per l'Unione europea si attende un futuro radioso, dato che tra sussurri e grida tutti i paesi membri si stanno adattando a questa politica. Di ciò, però, non paiono convinti i due attori principali del processo: il mercato – forse è meglio dire le agenzie di rating (che ne hanno combinate più di Bertoldo in Francia) – e i cittadini europei. Per mercato e agenzie di rating la soluzione si avrebbe dotando la Banca centrale europea del potere, non l'obbligo, di intervento a tutto tondo, dai cambi al debito pubblico, per fronteggiare ogni genere di speculazione, e gli organi dell'Unione del potere di emettere eurobond entro limiti tali da rilanciare lo sviluppo degli investimenti.
I cittadini europei devono capire che non possono più godere dei vantaggi né d'essere i partner privilegiati degli Stati Uniti, né del restare isolati dai miliardi di cittadini poveri che avevano inseguito l'illusione di creare benessere sotto la bandiera del comunismo. Se vogliono proteggere il loro benessere, devono sapersi adattare alle nuove circostanze e cedere ai popoli arretrati, nel breve periodo, parte del loro potere d'acquisto, per poi recuperarlo accrescendo anno dopo anno la produttività, anche avvalendosi di economie esterne create dall'Unione.
Se non si accetta questa politica capace di conciliare rigore e sviluppo e non la si incorpora in nuovi accordi europei, non si intravvede come l'organizzazione che chiamiamo Unione possa sopravvivere. Continuiamo pure a fare finta che la colpa sia della Grecia, aggiungiamoci Portogallo e Irlanda, allarghiamo alla Spagna e all'Italia la responsabilità del male, ma esso ha radici nelle democrazia europea incompiuta.
Giuseppe Guarino, uno degli ultimi grandi saggi che dovremmo stare a sentire, sostiene che non c'è alternativa a più democrazia nell'Unione europea, anzi ritiene che ci stiamo già muovendo in questa direzione. Spero che abbia ragione, ma ho timore che il movimento, almeno quello di superficie, sia in direzione contraria, cioè dello sfaldamento democratico, dove le scelte di chi ha oggi il potere – e lo vuol proteggere per come è stato organizzato in epoca passata – fanno aggio su quelle di coloro che dovrebbero delegarlo e controllarlo. E ciò accade non solo per motivi interni all'Europa, ivi inclusa ovviamente l'Italia (che ce la mette tutta per non farsi accettare dal mondo). Siamo tutti eterodiretti. Il problema è in che consiste l'“etero” e da chi origina. In ogni caso l'Ue è attaccata dall'esterno, da un nemico per molti versi invisibile, e quando ciò accade è regola saggia che tutte le forze si uniscano.
All'atto della firma del Trattato di Maastricht e del suo corollario, il Patto di stabilità e (non a caso) di sviluppo, l'obiettivo era di mettere le sorti in comune per contare nel mondo e cercare di stare un po' meglio. E' andata diversamente. L'unica proposta concreta a favore dello sviluppo è stata quella dei grandi progetti infrastrutturali finanziati con eurobond; per ora questo strumento è usato solo per fronteggiare la speculazione. Un impulso esogeno di spesa sosterrebbe la domanda interna europea, si trasmetterebbe ai consumi, renderebbe meno impellente il ricorso alle esportazioni e meno stringente il vincolo della bassa produttività, dove essa incide sulla mancata crescita.
In questa fase storica i passi importanti da fare sono tre: 1. fronteggiare la speculazione sistemando i debiti pubblici in eccesso con operazioni di finanza straordinaria simili a quelle usate per la grande crisi 1929-33; 2. dare poteri fiscali autonomi (tassazione e emissione di titoli) agli organi dell'Unione su specifiche materie, lasciando il resto delle competenze agli stati-membri; 3. ampliare il mandato della Banca centrale europea, consentendo a essa, senza obbligarla, di intervenire sul mercato dei cambi e sul debito pubblico. In breve, è necessaria una nuova fase costituente europea diversa da quella “dei diritti di cittadinanza” perseguita a Lisbona e poi respinta, fatta di cose concrete che inducano i cittadini a percepirle come utili anche a loro e non solo agli interessi che si sono costituiti attorno all'attuazione dei trattati europei. Lasciando così le cose, la palla di neve, che in questi giorni si è già ingrossata, diverrà valanga.
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