Procure permettendo

Autunno con rimpasto, poi si vedrà. Il patto tra il Cav., Bossi e Tremonti

Salvatore Merlo

Archiviata la manovra, la domanda non è più soltanto “che succederà lunedì a Piazza Affari”, ma è: reggerà all'urto – e fino a quando – il patto siglato ieri pomeriggio tra Silvio Berlusconi, Umberto Bossi e Giulio Tremonti? I tre si sono parlati alla Camera: solidarietà e tutti a difesa del governo. Il ministro dell'Economia resta al suo posto (per ora), il premier lo difenderà ma a Bossi ha chiesto che la Lega voti in Aula a scrutinio segreto contro l'arresto del deputato del Pdl Alfonso Papa.

    Archiviata la manovra, la domanda non è più soltanto “che succederà lunedì a Piazza Affari”, ma è: reggerà all'urto – e fino a quando – il patto siglato ieri pomeriggio tra Silvio Berlusconi, Umberto Bossi e Giulio Tremonti? I tre si sono parlati alla Camera: solidarietà e tutti a difesa del governo. Il ministro dell'Economia resta al suo posto (per ora), il premier lo difenderà ma a Bossi ha chiesto che la Lega voti in Aula a scrutinio segreto contro l'arresto del deputato del Pdl Alfonso Papa. Il Cav. ha insistito a lungo con il leader padano, anche durante il volo preso insieme da Roma verso Milano. In pubblico Bossi è sembrato incline a tutt'altra soluzione: “Papa? In galera”. Ma chissà, nel segreto dell'urna di Montecitorio gli elettori non vedono. Così nel governo c'è chi affetta sicurezza: “Non ricordo una sola richiesta di custodia cautelare a scrutio segreto in cui l'opposizione abbia votato per l'arresto. Solo Napoleone è riuscito ad arrestare un Papa”, dice un sottosegretario ex di An. Ma il garantismo dell'area popolare del Pd (Beppe Fioroni), dei Radicali, e degli ex socialisti (Francesco Tempestini e altri) non basta a rassicurare il premier, che nel movimentismo delle procure riconosce “lo stesso clima di Mani pulite” cui stavolta però “bisogna resistere”. E di qui la richiesta rivolta a Bossi: “Non possiamo mandare Papa in galera, poi sarebbe una slavina”. Un patto, dunque, con Bossi e Tremonti per puntellare il governo: solidarietà e tregua tra le fazioni in lotta. “Hic manebimus optime”, aveva detto Tremonti alcuni giorni fa. “Se ci dividiamo cadremo insieme, uniti invece si può resistere”: questo il senso. Resistere all'assedio di ben cinque procure, che secondo voci riferite al premier si preparano a rovesciare richieste di arresto nei confronti di parlamentari ed esponenti del Pdl: da Genova, da Roma, da Bari, da Napoli, e da una procura siciliana (forse Palermo). Più della speculazione il Cav. ora teme i giudici. Ma non sembra prevedere un collasso del suo esecutivo, anzi compila la lista di un rimpasto di governo. “Sarà a settembre”.

    La manovra è stata approvata anche dalla Camera con annessa fiducia, il centrodestra si conferma maggioranza in Parlamento. I numeri non mancano, ma i pensieri di ministri e deputati sono agitati da un tintinnare di manette che ieri ha prodotto una psicosi collettiva nel personale politico del Pdl. “E' lo stesso film del 1992, solo con una sceneggiatura scritta male. Senza grandezza. Ogni giorno ci si informava: oggi chi arrestano?”. Ieri i deputati socialisti, come il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto e il deputato Sergio Pizzolante, a Montecitorio hanno avuto l'impressione di un tremendo déjà-vu, un brivido che più giovani colleghi del Pdl come Nunzia De Girolamo faticano a capire: “Se vogliamo fare il partito degli onesti dobbiamo dare dei segnali forti”.

    La crisi speculativa è passata quasi in secondo piano. Da fattore di rischio per la stabilità di governo ieri si è trasformata in un problema per il Pd. “Con grande responsabilità Giorgio Napolitano lavora alla stabilità”, dice Denis Verdini. E forse, dicendo così, il coordinatore del Pdl svela un paradosso: la crisi, se non travolge tutto, rafforza il governo periclitante, perché non ci sono alternative e la richiesta di elezioni anticipate “è semplicemente un periodo ipotetico dell'impossibilità”. Strano, ma forse vero a giudicare dagli umori diffusi nelle file del Pd. “E' finita che su questa manovra ci abbiamo messo noi la faccia. La gente crede che il Pd l'abbia votata”, spiega al Foglio un deputato democrat vicinissimo al segretario Pier Luigi Bersani. E' per questo che ieri Bersani ha dovuto mettere un argine, dicendo che “nei confronti del governo la nostra responsabilità si ferma qui”.

    Perché il Pd ha sul serio tolto Berlusconi dagli impicci. Un riferimento, quello del segretario, neanche troppo implicito (e insofferente) alle indicazioni che il Quirinale aveva manifestato in più di un colloquio. Non sono pochi quelli che attribuiscono adesso a Napolitano la responsabilità di aver portato il partito a permettere la celere approvazione “di una manovra alla quale siamo completamente contrari e che puntella un governo inetto. Tutto, per giunta, senza nessuna contropartita”.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.