La fine di Rebekah era registrata da due giorni in una segreteria telefonica

Paola Peduzzi

"Ora non posso rispondere, ma lasciate un messaggio e Rebekah vi richiamerà”. Questo, da qualche giorno, dice la segreteria telefonica di Kelvin MacKenzie, ex direttore (truculento) del Sun appena passato al concorrente Daily Mail. Nulla meglio di questo messaggio spiega la caduta di Rebekah Brooks, da venerdì ex capo di News International, la filiale britannica dell'impero di Rupert Murdoch. Rebekah, la preferita del capo, è diventata il simbolo della crisi delle intercettazioni illegali.

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    Rebekah Brooks è stata liberata su cauzione. L'ex ad di News International, è stata rilasciata intorno alla mezzanotte. La 43enne Brooks era stata fermata nel quadro dell'inchiesta sulle intercettazioni illegali e sui sospetti di corruzione di agenti di polizia. La Brooks aveva rassegnato venerdì le dimissioni da amministratore delegato di News International.

    "Ora non posso rispondere, ma lasciate un messaggio e Rebekah vi richiamerà”. Questo, da qualche giorno, dice la segreteria telefonica di Kelvin MacKenzie, ex direttore (truculento) del Sun appena passato al concorrente Daily Mail. Nulla meglio di questo messaggio spiega la caduta di Rebekah Brooks, da venerdì ex capo di News International, la filiale britannica dell'impero di Rupert Murdoch. Rebekah, la preferita del capo, è diventata il simbolo della crisi delle intercettazioni illegali: pensi allo scandalo e vedi i suoi riccioli rossi. Come si fa a sopravvivere così? L'etica per me è importante, devo ripulire il mio nome, ha scritto ieri nella lettera di dimissioni Rebekah – dimissioni “che questa volta sono state accettate”, ha specificato, perché lei aveva ceduto già una settimana fa, ma Murdoch aveva detto di no, si procede compatti –, ringraziando il gruppo per i 22 anni passati insieme: era arrivata come redattrice (di tabloid) e se ne è andata come padrona di tutta News International.

    Ma il suo nome s'è sporcato: prima era soltanto una donna parecchio detestata, come soltanto le donne di successo lo sono, troppo vicina a Murdoch per non suscitare gelosie, ma brava e influente, e comunque intoccabile. Poi si è scoperto che le spiate sui telefoni di praticamente tutti i cittadini britannici – reali e no, bastavano una chiamata, una domanda precisa e un bonifico e lo scoop era già in pagina – erano una pratica così comune dentro ai tabloid del gruppo che i manager non potevano non sapere. Rebekah era direttrice di News of the World, giornale da poco defunto, quando si verificò il caso più oltraggioso, quello che ha scatenato la gogna pubblica contro i murdocchiani: l'intercettazione del telefono di una ragazzina scomparsa da un paio di giorni (poi ritrovata morta). Rebekah ha sempre detto di non saperne nulla, ancora ieri ha ribadito di voler collaborare per accertare la verità dei fatti, ma il sistema delle spiate era talmente grande, talmente noto, che per tutti Rebekah è ormai colpevole (la giuria mediatica ha sentenziato, chi di stampa ferisce di stampa perisce, dicono i maligni). Murdoch l'ha difesa fino all'ultimo: ancora due sere fa, quando andava in stampa l'intervista dello squalo al Wall Street Journal, la linea era quella della compattezza.

    Ci sono stati “errori minori”, ha detto Murdoch, ne verremo fuori, anche se siamo esausti. Ma molti insider sentivano già gli scricchiolii: Michael Wolff, biografo di Murdoch, aveva previsto le dimissioni di Rebekah con due giorni d'anticipo; i nemici sibilavano che le manette erano già pronte (se solo la polizia se la passasse meglio di Rebekah: l'impero Murdoch ha molte chance di sopravvivere anche a questa tremenda crisi, ma Scotland Yard potrà mai restaurare il suo nome dopo questa storiaccia di omertà e corruzione?); i politici chiedevano il suo sacrificio per ripulirsi anche le loro coscienze. Ma tra giovedì sera e venerdì mattina ci sono stati i segnali definitivi. Intervistato alla Bbc, il secondo investitore più importante di News Corp., il principe al Waleed bin Talal al Saud, ha detto: “Non accetterò di trattare con un'azienda in cui c'è una donna o un uomo con soltanto un'ombra di dubbio sulla sua integrità”. Ieri mattina il Telegraph ha poi rivelato che la figlia “londinese” di Murdoch, Elisabeth (peraltro grande amica di Brooks), si era ribellata alla linea di casa, confidando agli amici: “Rebekah ha fottuto l'azienda”.

    L'insacrificabile è stata sacrificata, la strategia è cambiata: nel fine settimana News International chiederà scusa per “gli errori seri commessi” dalle pagine di pubblicità comprate su tutti giornali, mentre Rupert Murdoch ieri ha (finalmente) incontrato i genitori della ragazzina scomparsa. Restano incognite pesanti: che cosa accadrà negli Stati Uniti dove l'Fbi e la Casa Bianca si stanno muovendo per mettere sotto accusa l'impero murdocchiano? Soprattutto: che cosa avrà da dire di così grave Rebekah, davanti alla commissione parlamentare, da essersi dimessa?

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    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi