Gli inglesi sono già stanchi di sentirsi raccontare le malefatte dei tabloid

William Ward

La stampa anglofona, all'estero, è celebrata con un misto di ammirazione, invidia e timore, che induce a trattare come oro ciò che esce dalle rigorosissime penne dell'Economist e del Financial Times – soprattutto, caratteristica italiana, se si tratta di attacchi contro il governo del proprio paese. Gli inglesi, invece, si guardano bene dal nobilitare la propria tradizione giornalistica: quella degli “hacks” (gli scribacchini) è la categoria professionale meno amata dal pubblico britannico.

    Londra. La stampa anglofona, all'estero, è celebrata con un misto di ammirazione, invidia e timore, che induce a trattare come oro ciò che esce dalle rigorosissime penne dell'Economist e del Financial Times – soprattutto, caratteristica italiana, se si tratta di attacchi contro il governo del proprio paese. Gli inglesi, invece, si guardano bene dal nobilitare la propria tradizione giornalistica: quella degli “hacks” (gli scribacchini) è la categoria professionale meno amata dal pubblico britannico, che riserva ai giornalisti un disprezzo paragonabile soltanto a quello accordato agli agenti immobiliari.

    Non è un caso se, per chi nasce nel Regno Unito, Fleet Street – la strada londinese dove ha sede buona parte dei quotidiani nazionali – sia da sempre “the street of shame”, la via della vergogna. I fattacci della stampa britannica abbondano sempre, tanto che la rivista satirica Private Eye ha una (seguitissima) rubrica dedicata all'argomento e chiamata, per l'appunto, The Street of Shame. I lettori più devoti, ovviamente, sono i giornalisti, che considerano una denuncia su The Street of Shame, o magari sulla sorella (un po' più moralistica) Media Monkey del Guardian, come una specie di tacca d'onore sul fucile.

    La pessima reputazione del giornalismo britannico non è cosa nuova. Già nel Settecento, quando i primi quotidiani erano stampati in edizioni limitatissime per i lettori delle “coffee houses” di Londra, Bristol e Edimburgo, gli “hacks” erano considerati sensibili al soldo e gli intrallazzi tra politica, giornalismo e affari erano dati per scontati.

    Dal 1969, quando “the Dirty Digger” – l'australianaccio corrotto, nomignolo storicamente affibbiato a Rupert Murdoch – approdò per la prima volta a Fleet Street, comprando il News of the World dalla famiglia editoriale dei Carr, gli “hacks” si sono spinti molto più in là. Invece di catechizzare i dipendenti su schiena dritta, integrità e fatti divisi dalle opinioni, Murdoch li incoraggiava a cercare più scoop, possibilmente i più oltraggiosi possibili, per vendere ancora più copie. C'è voluto poco perché i suoi rivali, che lo accusavano di distruggere le nobili tradizioni della rispettabile Fleet Street, cominciassero a imitarlo in tutto e per tutto, lanciando, negli anni Settanta, una nuova stagione per i “red tops” – i tabloid inglesi hanno la testata stampata in rosso – , che è andata a influenzare anche i titoli più seriosi – i così detti “broadsheets”, per le dimensioni a lenzuolo.

    Certo, il Sunday Times dell'epoca Murdoch ha triplicato la tiratura, schiacciando i rivali domenicali (Sunday Telegraph, Observer, Independent on Sunday) a colpi di rivelazioni shock. Ma anche Harold Evans, alla guida del Sunday Times prima dell'acquisto di Murdoch (nonché marito di Tina Brown, direttrice di Newsweek), era solito scatenare i suoi segugi alla ricerca delle notizie più imbarazzanti. Lo ha ricordato domenica scorsa l'attuale direttore del Sunday Times, John Witherow, facendo un lungo elenco dei numerosi servizi scioccanti pubblicati dai “self righteous” (i bacchettoni dall'etica incorruttibile) come il gruppo Independent, il Guardian, l'Observer, e persino dalla Bbc. Tutti servizi basati su notizie ottenute con metodi chiaramente illegali, pur di avere la notizia clamorosa da sbattere in prima pagina.

    Nella “via della vergogna”, per perseguire la linea editoriale che si ritiene “giusta”, non si esita a ricorrere a strategie basate sulle tecniche più inconfessabili. Il pubblico britannico lo sa e accetta di buon grado la trasgressione (e legge tantissimo le notizie che vengono da quelle strategie). Secondo i sondaggi, le rivelazioni sulle malefatte dei giornali inglesi sono venute a noia a tutti i sudditi di Sua Maestà – a esclusione di quelli che lavorano nel “beltway”, il complesso mediatico-politico della capitale. Mentre lo scandalo innescato dal News of the World si aggrava ogni giorno che passa, il pubblico britannico vorrebbe leggere altro: sappiamo bene come lavorano i giornalisti, non abbiamo certo bisogno che ce lo ricordino tutti i giorni.