Il martire del San Raffaele

Paolo Rodari

Mario Cal, 71 anni, numero due di don Luigi Verzé al San Raffaele di Milano, si è tolto la vita ieri mattina sparandosi con la pistola a tamburo Smith & Wesson che portava sempre con sé per legittima difesa. Alla segretaria Stefania ha detto che entrava nel suo studio per ritirare le ultime carte personali.

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    Mario Cal, 71 anni, numero due di don Luigi Verzé al San Raffaele di Milano, si è tolto la vita ieri mattina sparandosi con la pistola a tamburo Smith & Wesson che portava sempre con sé per legittima difesa. Alla segretaria Stefania ha detto che entrava nel suo studio per ritirare le ultime carte personali dopo che, venerdì scorso, la Fondazione Monte Tabor che gestisce i conti del San Raffaele aveva sancito la sua uscita di scena e l'entrata nel cda della “cordata” vaticana dichiaratasi in grado di sanare il passivo dell'istituto ospedaliero che ammonta a 972 milioni di euro. L'arrivo nel nuovo cda di Giuseppe Profiti, già presidente del Bambin Gesù di Roma, del presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi, dell'ex ministro Giovanni Maria Flick, e dell'imprenditore Vittorio Malacalza, ovvero degli uomini legati al segretario di stato vaticano Tarcisio Bertone, era stato visto da Cal come la fine di un sogno, l'evidenza che la missione, la vocazione, alla quale aveva dedicato tutta la sua esistenza e i suoi ideali era tramontata definitivamente nel modo più inglorioso, in un mare di debiti.

    Mario Cal era per don Verzé un fratello gemello. Si erano conosciuti anni fa a Milano grazie a comuni amici, quando Cal era manager sportivo alla Bianchi Colnago. Da allora sempre insieme. Fu don Verzé poche settimane fa a definire Cal “un amico fraterno, una copia di me, il super Sigillo”. Il riferimento era all'“Associazione Sigilli” che raccoglie i fedelissimi di don Verzé e il cui scopo è attuare il precetto evangelico di guarire gli infermi. Cal non faceva parte di quell'associazione. Non ne aveva bisogno. Per don Verzé, lui, era più che un Sigillo. Un uomo leale, dinamico, sempre sorridente. “Era un uomo forte”, ha detto ieri la moglie, tanto che “non ho avuto nei giorni scorsi sentore né avvisaglie che volesse suicidarsi”. E allora perché l'ha fatto? Cosa ha spinto Cal a entrare nel suo studio e a farla finita con tutto e tutti, a spararsi proprio ora che il Vaticano aveva deciso di dargli una mano, di addossarsi il pesante debito accumulato negli ultimi anni?

    La risposta non è facile. Dalle due lettere lasciate nel suo studio, una indirizzata alla moglie e una alla segretaria, non emergerebbero problemi che vadano oltre la delusione per un ideale non realizzato, un progetto fino a ieri in mano sua e oggi in mano d'altri. Di certo c'è un fatto. Venerdì prossimo il nuovo cda del San Raffaele si riunirà per portare avanti l'“operazione risanamento”, sulla quale pesa la mancanza di liquidità necessaria per pagare i debiti con scadenza a luglio (20 milioni di euro) e a ottobre (50 milioni di euro). Cal era informato dell'ordine del giorno. Sapeva che il nuovo cda avrebbe sì risanato i debiti, ma l'avrebbe fatto sotto l'ombrellone del tribunale di Milano. E che la supervisione del tribunale non sarebbe stata una semplice vigilanza.

    Le opzioni sul tavolo, infatti, sono due: quella del concordato preventivo oppure quella del fallimento, due opzioni che prevedono, inevitabilmente, che il protocollo civile si tramuti in indagine penale. Un colpo durissimo, quest'ultimo, per uno come Cal, per chi ha dedicato gran parte della propria esistenza all'eccellenza, al lavoro pulito, alla medicina intesa come ricerca del benessere. Un colpo che, dicono al Foglio alcuni manager vicini a Cal, “Mario ha voluto si riversasse esclusivamente su di sé. Col suicidio Cal vuole salvare i suoi amici. Vuole dire al tribunale e a tutti che l'unico colpevole del fallimento è lui, non è don Verzé, non sono i Sigilli, non sono coloro che in questi anni hanno lavorato nella dirigenza del San Raffaele. Quello di Cal, insomma, è un ultimo, tragico e disperato, gesto d'amore”.

    Cal non aveva avversione per i nuovi arrivati, come non ce l'aveva per il Vaticano. Ma certo non si dimenticano facilmente le pressioni ricevute dal Vaticano per vendere nel 1999 il San Raffaele di Roma agli Angelucci. Come non si dimenticano le critiche del Vaticano contro un ospedale le cui cure e ricerche non sempre sono avvenute in piena conformità alla dottrina. In “Pelle per pelle” (Mondadori, 2004) don Verzé racconta di un rapporto non facile, un rapporto che è insieme di odio e di amore.

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