Il silenzio del Cavaliere inquieta assai, soprattutto i suoi avversari

Umberto Silva

Il silenzio degli innocenti atterrisce, anche quello dei colpevoli o presunti tali. Il silenzio del Cavaliere inquieta assai. Non che i suoi nemici pensino, dopo il colpo infertogli, ch'egli stia tramando chissà quale vendetta; al contrario, temono si sia stancato di parlare e fin di governare. Addirittura congetturano che Berlusconi si sia “rotto”, come scrive il più acuto e arguto dei suoi oppositori, Michele Serra, innervosito da un silenzio che minaccia di privarlo di una preziosa spalla: ridere di qualcuno è anche ridere con qualcuno.

    Il silenzio degli innocenti atterrisce, anche quello dei colpevoli o presunti tali. Il silenzio del Cavaliere inquieta assai. Non che i suoi nemici pensino, dopo il colpo infertogli, ch'egli stia tramando chissà quale vendetta; al contrario, temono si sia stancato di parlare e fin di governare. Addirittura congetturano che Berlusconi si sia “rotto”, come scrive il più acuto e arguto dei suoi oppositori, Michele Serra, innervosito da un silenzio che minaccia di privarlo di una preziosa spalla: ridere di qualcuno è anche ridere con qualcuno. Tacendo, il Cavaliere turba i suoi detrattori ben più di quando spara battute e proclami a destra e a manca. Si sentono abbandonati; privi di quel sole che benché nero li riscalda, cadono nell'angoscia. Finché il Cavaliere parla, straparla, si esibisce, bastona, insulta e ride, anche i suoi oppositori, seppure in tono minore, parlano e straparlano, bastonano, insultano e ridono.

    Senza la sua voce
    non possono più fargli da eco e a loro volta tacciono; ma non è un aureo momento di riflessione, è un silenzio coatto, l'eco di un altrui silenzio. Rotto solo da un'accusa che risuona come una supplica: “Perché non parli, padrone?”. Un padrone, un padre gonfio di sé, così i ribelli si sforzano di vedere il Cavaliere e così lo combattono, ma in modo tale da costringerlo a restare in sella. Ne hanno assoluto bisogno, togli il padrone il servo che fa? Gli tocca esporsi, incontrare il rischio, i morsi della mancanza e del desiderio, la solitudine dell'impresa. Preferisce giocare di sponda: lascia le gloriose ma perigliose incombenze al padrone e si limita a spiarlo, a denigrarlo e a godere del suo godimento accontentandosi delle briciole. Briciole saporite: berlusconizzandosi, divenendo a sua volta smanioso di insozzare i sepolcri imbiancati della politica e delle istituzioni, il popolo della sinistra ha dovuto mascherarsi ai propri occhi, infittendo accuse e ostilità nei confronti del donatore insano. Fino all'aggressione fisica: la consapevolezza del debito verso un odiato padrone risulta intollerabile.

    In famiglia si brindò quando Tartaglia spaccò la faccia al Cavaliere e quell'altro gli gettò addosso il cavalletto, ma ora la notizia che il Cav. è scivolato in bagno picchiando la testa suscita apprensione. Richiama incidenti occorsi ai propri genitori in bagni magari meno lussuosi ma le piastrelle sono per tutti viscide e insidiose. Quando i desideri di morte che concernono persone care – e che pertanto sono trasposti su figure altre, – accadono nel reale, non si scherza più, più non si danza, subentra una colpevolizzazione. Ora il padrone tace, lasciando i servi in solitudine. Un'occasione: se si va oltre il sentimento di colpa il silenzio apre all'ascolto, offre occasioni d'intendimento. Suggerisce, ad esempio, che non è il caso di perdere tempo a prendersela con il Cav. o la Tav, quando la vera padrona, colei che tiranneggia, si chiama rinuncia, in una vanesia modestia.