Al mercato delle idee

Così la crisi dei mercati rimette in discussione i totem del tremontismo

Michele Arnese

Piazza Affari ieri ha rifiatato: il listino azionario milanese è stato il migliore d'Europa dopo che lunedì era stato il peggiore. Anche lo spread fra Btp e Bund, pur a livelli non tranquillizzanti, è sceso a 304,1 punti, cedendo l'8,4 per cento rispetto all'apertura di giornata. Lunedì il differenziale aveva toccato il picco di 337 punti. I numeri di azioni e bond hanno rassicurato il ministero dell'Economia retto da Giulio Tremonti. Al Tesoro, comunque, resta lo stato d'allerta per il caso greco e per i rischi dei debiti sovrani.

    Piazza Affari ieri ha rifiatato: il listino azionario milanese è stato il migliore d'Europa dopo che lunedì era stato il peggiore. Anche lo spread fra Btp e Bund, pur a livelli non tranquillizzanti, è sceso a 304,1 punti, cedendo l'8,4 per cento rispetto all'apertura di giornata. Lunedì il differenziale aveva toccato il picco di 337 punti. I numeri di azioni e bond hanno rassicurato il ministero dell'Economia retto da Giulio Tremonti. Al Tesoro, comunque, resta lo stato d'allerta per il caso greco e per i rischi dei debiti sovrani. Tremonti ha discusso della situazione lunedì con i principali banchieri italiani, ai quali ha accennato i rilievi anche di altri governi europei sulla posizione della Germania, suffragati ieri dalla stessa cancelliera tedesca: “Quello che succederà giovedì a Bruxelles durante il programmato vertice europeo non porterà a una soluzione spettacolare – ha detto ieri Angela Merkel – ma io e il governo tedesco promuoveremo un processo controllato di misure che dovranno susseguirsi nel corso del tempo per risolvere il problema della Grecia alla radice”.

    Il pensiero merkeliano conferma le perplessità del Tesoro italiano sull'azione della Germania nella risoluzione della crisi dei debiti sovrani: flemmatica tendente all'immobilismo sulla crisi greca, rigorista fino all'intransigenza nel costringere i paesi più periferici a convergere su metodi e tempi tedeschi sul rigore fiscale e sull'equilibrio dei conti pubblici. Questo non significa, ricordano ambienti del Tesoro, che l'Italia non si sia allineata nel puntare al pareggio di bilancio entro il 2014 o che non lavori per inserire nella Costituzione vincoli stringenti nella finanza pubblica, a partire dal debito pubblico. Quello che però a Via Venti Settembre si auspica, senza esplicitazioni pubbliche, è la fine dei traccheggiamenti di Berlino sul progetto degli Eurobond rilanciati di recente da Tremonti con il consenso di esponenti di rilievo francesi e belgi, in primis, come forma difensiva sui debiti e propulsiva dello sviluppo. Così come non si intravvede nelle parole e nelle opere del governo tedesco la prospettiva di un ruolo sistemico più ampio per il fondo di stabilizzazione Esm creato per la crisi greca. C'è poi, anche in ambienti governativi non solo italiani, un rilievo sull'operato istituzionalmente ineccepibile della Banca centrale europea sui tassi che, però, è scarsamente mitigato con interventi selettivi negli acquisti dei bond pubblici: la smentita di due giorni fa dell'Istituto centrale di Francoforte su acquisti di titoli non fa presagire alcun cambiamento di rotta della Banca presieduta da Jean-Claude Trichet. Tanto che ieri lo stesso Trichet, in un'intervista al quotidiano economico polacco Hn, ha sottolineato che l'Italia, così come gli altri paesi del sud Europa, è in grado di superare la crisi da sola, senza alcun aiuto esterno.

    Se nella maggioranza di governo l'impostazione europea di Tremonti è condivisa, sta iniziando a incrinarsi la fiducia pregiudiziale che fino a poco tempo fa si aveva nei confronti del titolare del Tesoro e nella sua capacità di essere in sintonia con le aspettative dei mercati finanziari. Il vistoso incremento dello spread registrato lunedì, quindi dopo l'approvazione della manovra tremontiana rafforzata anche per la pressante moral suasion del Quirinale, ha attenuato nel Pdl la convinzione che Tremonti sia una garanzia imprescindibile di stabilità finanziaria. D'altronde la manovra economica di Tremonti ha contraddetto uno dei totem del premier Silvio Berlusconi condiviso e assecondato anche dal ministro dell'Economia: noi non mettiamo le mani nelle tasche degli italiani, è stato il refrain. In verità, come fin da principio ha notato Andrea Bassi su Mf/Milano Finanza, il decreto di stabilizzazione finanziaria acuiva il peso di nuove imposte. Tanto che, come ha calcolato il Sole 24 Ore, il 60 per cento delle risorse arriveranno da tributi (anche sotto forma di abolizione di agevolazioni e sgravi fiscali) e solo il 40 per cento da tagli alla spesa pubblica. Un'impostazione rovesciata rispetto a quanto lo stesso governo, nel Documento di economia e finanza (Def) inviato alla Commissione europea, sosteneva: gli ulteriori interventi, aveva scritto il ministero dell'Economia ad aprile, “continueranno ad essere concentrati sul lato della spesa”.
    Anche la sintonia accreditata fra Tremonti e mondo cattolico dà segnali controversi: il settimanale Famiglia Cristiana, mai troppo tenero con il centrodestra, sul prossimo numero definisce la manovra tremontiana “una macelleria sociale contro il ceto medio e le famiglie con i figli”.

    Subisce evoluzioni pure il colbertismo tenue propugnato e in parte praticato da Tremonti per rintuzzare l'offensiva delle aziende francesi in Italia. Svanita la cordata italiana per rilevare Parmalat nonostante un decreto ad hoc anti Opa (Offerta pubblica di acquisto), il ministro dell'Economia aveva cercato di evitare anche che Edison finisse in mani francesi. Ora, però, Tremonti asseconda un esito per il gruppo energetico non troppo dissimile dalla prospettiva iniziale. Sta di fatto, comunque, che la Cassa depositi e prestiti controllata dal Tesoro ha avviato il fondo strategico per sostenere le imprese italiane strategiche e ieri la commissione Finanze della Camera all'unanimità ha approvato un documento in cui si attesta, tremontianamente, che l'attuale normativa sull'Opa “non è soddisfacente” perché privilegia troppo la “contendibilità” delle aziende, ma con un effetto paradossale di “accentuare la chiusura degli assetti proprietari”.