Effetto Maroni

Su Papa (in galera) e Tedesco (salvo) si giocano i destini del Cav. e di Bossi

Salvatore Merlo

Da oggi Silvio Berlusconi sa di non avere più un solo interlocutore nella Lega. A fianco di Umberto Bossi, incombente, ora c'è Roberto Maroni. E con il ministro dell'Interno, che sponsorizza Angelino Alfano e invoca un gesto di discontinuità al governo, il premier dovrà negoziare.

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    Da oggi Silvio Berlusconi sa di non avere più un solo interlocutore nella Lega. A fianco di Umberto Bossi, incombente, ora c'è Roberto Maroni. E con il ministro dell'Interno, che sponsorizza Angelino Alfano e invoca un gesto di discontinuità al governo, il premier dovrà negoziare. Questi i fatti: la Camera ha votato sì all'arresto del deputato del Pdl Alfonso Papa, mentre il Senato ha graziato il senatore del Pd Alberto Tedesco. Lo scrutinio segreto rende difficile l'individuazione dei flussi, ma in realtà a taccuini chiusi nessuno fa troppi misteri. Nel primo caso sono stati determinanti i circa trenta voti della Lega, in linea con le inclinazioni manifestate da Maroni che ha platealmente votato con la mano sinistra per farsi vedere. Nel caso di Tedesco è stato invece il Pd a far confluire decine di voti – “persino troppi”, ironizzano in area dalemiana – in favore del collega di partito indagato a Bari. “Un detto contadino delle paludi Pontine sintetizza perfettamente la situazione”, dice al Foglio Andrea Augello, sottosegretario alla Funzione pubblica e senatore del Pdl. “Recita il detto: ‘Se Peppe mio è uguale a Peppe tuo, mi tengo Peppe mio'. Noi invece ci siamo presi il Peppe del Pd, mentre il nostro va in galera”. Perché solo il Pdl ha votato contro l'arresto in entrambi i casi.

    I berlusconiani se la prendono con Maroni, teatralmente presente in Aula al contrario di Umberto Bossi che al Cavaliere aveva offerto garanzie. Il premier ha cercato fino all'ultimo di non politicizzare il caso Papa, ma qualche effetto sulla maggioranza adesso è inevitabile perché Maroni riconosce in questo voto l'inizio di una nuova fase e carica di aspettative i prossimi mesi. “E' una vergogna. E' una vergogna”, ha sibilato il Cavaliere abbandonando gli scranni del governo. Molti deputati della Lega per votare hanno utilizzato il sistema della cosiddetta pallina verde che di fatto annulla la segretezza del voto. Volevano si sapesse. Marco Reguzzoni, il capogruppo, ha persino scattato una fotografia: il dito schiacciato sul tasto verde. Il Cav. teme i giudici ed evita di pensare ai leghisti, ma nel suo entourage non si parla d'altro che di Maroni.

    Quali gli effetti politici? Berlusconi ha accolto il risultato del voto su Papa come una sorta di fatalità, guarda con preoccupazione all'attivismo delle procure, considera tutta la faccenda “un precedente pericoloso” e invoca una reazione all'attacco giudiziario che tuttavia al momento nessuno sa spiegare quali modalità dovrebbe assumere. La verità è che intorno al premier, nel suo entourage, si chiacchiera soltanto della Lega e di quello che succede a casa di Umberto Bossi. A pochi minuti dall'inizio della votazione su Papa, Denis Verdini diceva che “dovrebbe andare tutto bene”, confidando nelle parole rassicuranti che Bossi aveva consegnato a Berlusconi lunedì sera a cena. E invece no. Maroni ieri è emerso, con la sua presenza fisica determinante per l'esito del voto, alla guida della Lega a fianco di un Bossi che invece non ha calcato la scena cedendola per intero al suo colonnello.

    Il ministro dell'Interno è soddisfatto del risultato, considera il voto su Papa un fortissimo messaggio per la “discontinuità” rivolto al Pdl e al suo leader, Berlusconi. “Il messaggio per gli amici del Pdl è chiaro. C'è un limite alla sopportazione”, dice Matteo Salvini che è un alto ufficiale dell'esercito maroniano al comune di Milano. Gli equilibri interni alla Lega sembrano essersi spostati e la “linea Maroni”, che al Cavaliere chiede un gesto di discontinuità anche al governo, da ieri è diventata ufficialmente condizionante nei confronti della “linea Bossi”. Secondo questa architettura Angelino Alfano è un interlocutore vero, capace – lo ha detto Maroni poche settimane fa a Mirabello – di garantire l'alleanza con la Lega. Anche senza Berlusconi. Chi ha mai detto che soltanto Giulio Tremonti ha queste caratteristiche?, spiegano i leghisti. Ma chissà. Nel partito padano circola un adagio che rende l'idea di una fase convulsa e nervosa: siamo più preoccupati per quello che accade dentro casa nostra che delle sorti del governo.

    Oggi il Senato vota sul rifinanziamento delle missioni all'estero, compresa la guerra in Libia che Maroni e Bossi considerano una follia. La Lega potrebbe votare contro, distinguendosi di nuovo dal resto della maggioranza. Ma quella di Maroni non è una traiettoria che punta a uscire dal governo, a causare una crisi. “La sua è una linea leale nei confronti del Pdl, ma lui è anche uno che spinge per novità al momento impossibili”, dice Maurizio Gasparri riferendosi all'ipotesi di una staffetta a Palazzo Chigi, un cambio in corsa che per Maroni potrebbe anche vedere incoronato il neo segretario del Pdl Angelino Alfano.

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    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.