Povera Europa

Enrico Cisnetto

Tutto bene? Per salvare la Grecia il solito vertice franco-tedesco ha tirato fuori, come coniglio dal cilindro, l'idea di un “Piano Marshall”, che poi la riunione dei capi di governo dell'Eurozona a Bruxelles ha benedetto formalmente. Capiremo meglio di cosa si tratti – si è parlato di una gestione da “default selettivo” dei rimborsi dei titoli greci in scadenza e di maggiore flessibilità per l'European Financial Stability Facility (Efsf) – ma una cosa è certa: l'Europa ha fatto propria la tesi “minimalista”, e cioè che quello della Grecia è un caso “grave ma unico”.

    Tutto bene? Per salvare la Grecia il solito vertice franco-tedesco ha tirato fuori, come coniglio dal cilindro, l'idea di un “Piano Marshall”, che poi la riunione dei capi di governo dell'Eurozona a Bruxelles ha benedetto formalmente. Capiremo meglio di cosa si tratti – si è parlato di una gestione da “default selettivo” dei rimborsi dei titoli greci in scadenza e di maggiore flessibilità per l'European Financial Stability Facility (Efsf), compresa quella di procedere a operazioni di buy-back dei bond ellenici sul mercato secondario – ma una cosa è certa: l'Europa ha fatto propria la tesi “minimalista”, e cioè che quello della Grecia è un caso “grave ma unico”. Dunque, all'appuntamento che alla vigilia è stato definito “storico” l'Europa è riuscita a farcela, nonostante le cattive premesse dell'antivigilia dovute a un eccesso di neghittosità da parte di Angela Merkel? A giudicare dall'euforia dei mercati, che da tempo vivevano ben altre sensazioni, con gli spread scesi tutti di botto e le Borse a macinare rialzi ben oltre quello che era già accaduto negli ultimi due giorni, bisognerebbe rispondere di sì. Tuttavia, io credo invece che le cose stiano diversamente. Penso, per esempio, che ieri in gioco non fosse solo o tanto la Grecia, quanto l'euro e con esso il processo d'integrazione europeo che la sua creazione a suo tempo voleva promuovere. E se è possibile che le decisioni assunte dai leader continentali sistemino la partita di Atene, mi pare difficile si possa sostenere che esse siano in grado di portare a buon fine quella che riguarda la moneta unica.

    Perché avendo lasciato che la vicenda greca si trascinasse per un anno, e che con essa nascessero i casi di Irlanda e Portogallo, e poi che la speculazione si orientasse minacciosa verso Italia e Spagna, e ancora avendo rinviato la convocazione di un vertice straordinario mentre era in corso l'attacco dei mercati ai titoli del debito e alle banche italiane, è chiaro che a questo punto la risposta non poteva e non doveva che essere globale, e non più solo indirizzata a una specifica questione aperta, seppure importante come il “caso Grecia”. Ed è altrettanto chiaro che l'unica soluzione per salvare l'euro e la futura unità europea può solo essere la disponibilità di tutti a creare un “debito comune”.

    Così come è chiaro che lo strumento per raggiungere quest'ultimo obiettivo si chiama Eurobond, titoli comuni del debito pubblico comune. Progetto sostenuto da tempo dall'Europarlamento, dal presidente dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker e dall'Italia (o meglio, dal ministro Tremonti), finora senza alcun successo. E non mi pare proprio che quanto è emerso ieri a Bruxelles vada in quella direzione. Qualcuno sostiene che avendo chiamato l'Efsf a svolgere un ruolo centrale nella nuova operazione di aiuto ad Atene, che va ben oltre quello finora svolto di concessione di garanzie, si siano poste le premesse per fare del “Fondo salva stati”, cui le agenzie di rating già riconoscono la tripla A, il soggetto che potrà emettere i futuri Eurobond. Può darsi, speriamo. Ma una decisione in questo senso non c'è stata, e la situazione non consente più lentezze e incertezze, perché ieri i mercati hanno fatto dell'impostazione rialzista il motivo dei loro guadagni, ma non è affatto detto che i ribassisti non si rimettano presto al lavoro.

    D'altra parte, sono in molti a essere convinti – e io con loro – che se i tedeschi fossero posti di fronte alla scelta di dare l'okay all'emissione di titoli del debito federale o al contrario assumersi la responsabilità della reversibilità dell'euro, alla fine sceglierebbero questa seconda eventualità. Diciamoci la verità, la signora Merkel è un buon capo di governo, ma non è Helmut Kohl. Capisce che l'euro ha avuto successo nella finanza globalizzata, non fosse altro perché è di gran lunga la seconda moneta di riserva e regola una quota crescente degli scambi commerciali planetari. E che con gli Usa destinati a non uscire tanto facilmente dall'angolo, questo successo potrebbe addirittura aumentare. Ma capisce anche che questo successo comporta la perdita della sovranità monetaria, cioè uno degli attributi fondamentali della sovranità tout court, e su questo non intende rischiare la pelle. Sa che i suoi concittadini non le perdonerebbe il sì a che una fetta dell'enorme stock di debito pubblico in circolazione possa essere “swappata” con debito federale, garantito “in ultima istanza” proprio dai contribuenti degli stati “virtuosi”, in primis la Germania. Buon capo di governo sì, statista è un'altra cosa.