La Copeta - Argentina 2011
Sfinire l'avversario e trafiggerlo ai rigori. La via paraguaiana alla Copa
Sono qui “esperando, el tremendo juego”: così Hugo Chavez incita il suo Venezuela via Twitter. Non è solo tifo ma alta politica nazional popolare. Il pazzotico presidente ha bisogno della vittoria per finalmente far esplodere l'interesse per il calcio, fin qui confinato a minoranze di origine italiana, in un paese che tuttora gli preferisce il baseball, sport che chissà perché lui considera sia per ricchi bianchi e comunque retaggio di quei bastardi di yankee. “El tremendo juego” è arrivato.
Sono qui “esperando, el tremendo juego”: così Hugo Chavez incita il suo Venezuela via Twitter. Non è solo tifo ma alta politica nazional popolare. Il pazzotico presidente ha bisogno della vittoria per finalmente far esplodere l'interesse per il calcio, fin qui confinato a minoranze di origine italiana, in un paese che tuttora gli preferisce il baseball, sport che chissà perché lui considera sia per ricchi bianchi e comunque retaggio di quei bastardi di yankee. “El tremendo juego” è arrivato. Ma porta un'altra maglia. Nemmeno il Venezuela è sfuggito alla maledizione che da un po' di tempo in qua colpisce chiunque si trovi a dover affrontare il Paraguay: l'Italia lo ebbe come primo avversario al Mondiale 2010, finì con uno striminzito pareggio che ne compromise le chance di qualificazione. Zero a zero.
E' questa la strada paraguaiana alla finale: non perdere mai, non vincere mai, infilare cinque pareggi consecutivi, ogni volta sfinire gli avversari per poi trafiggerli ai calci di rigore. Nei quarti di finale succede al Brasile che non trasforma alcuna delle limpide occasioni create e poi come in un incubo sbaglia quattro rigori su quattro. E va così al Venezuela che non crea quanto i brasiliani ma qualcosa fa. Un guizzo alla fine del primo tempo: Vizcarrondo, fisico bestiale con folta capigliatura racchiusa in una coda di cavallo, difensore intrattabile che soffia sulla sua area come un mantice e magari salva pure la porta tuffandosi di spalla, questa volta è in attacco e conclude una bella azione inzuccando nel sette. Arbitro e guardalinee vedono qualcosa che era sfuggito a tutti, la presenza nell'area piccola di almeno due giocatori del Venezuela in posizione di fuori gioco influente, e giustamente annullano. L'azione continua e la palla colpisce in pieno la traversa. E' noia per quasi un'ora fino ai tempi supplementari ma i due lampi delle maglie color vinaccia si spengono sui pali. Quando inizia la serie dei calci di rigore, il Paraguay si sente come il gatto che gioca con il topo: si entra nel suo regno inviolabile su cui esercita un dominio incontrastato. I suoi cecchini sembrano dei navy seals, un centro dopo l'altro. Il portiere, il grandissimo Justo Villar, il migliore dei suoi nelle ultime partite, para il rigore calciato da un terrorizzato Lucena. Il calcio di rigore è per il Paraguay arma di dissuasione del debole al forte e visibilmente il primo test per chiunque voglia entrare nel giro della Nazionale.
E' un bel vedere? No, siamo anzi al limite della renitenza. Ma che colpa ha il Paraguay se può contare su difensori di montagna con piedi quadrati e malgrado ciò o forse proprio per questo praticamente insuperabili come il centrale Da Silva o su centrocampisti ruvidi ma tignosi che riescono ad asfissiare gli avversari? Si dice che quella dei rigori sia una lotteria. E' uno sciocco luogo comune. Anzi non c' è nulla di meno casuale, di più tecnico di un calcio di rigore: quando viene parato, vuol dire una cosa sola, che è stato calciato male. E il più delle volte dallo sguardo di chi lo batte, persino da come aggiusta la palla o prende la rincorsa, si intuisce se la butta dentro o sbaglia. Beppe Signori li tirava da fermo sempre nell'angolo, Francesco Totti si permise pure l'irrisione suprema del cucchiaio: perché non conta tanto la forza quanto la precisione. E la precisione ha bisogno di cattiveria, del vuoto della mente e di gambe che non tremano. Se fosse andata avanti a oltranza, l'altra sera i paraguaiani non avrebbero sbagliato mai. Anche questo è calcio. Anche questo è arte. E dà diritto a un posto in finale.
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