L'apertissima Norvegia, che in realtà così aperta non è

Roberto Volpi

Civilissima, democraticissima, accoglientissima. Sono solo alcuni dei superlativi utilizzati da giornali e televisioni per significare come sia difficile anche soltanto immaginare che una tragedia delle proporzioni di quella di Oslo possa essersi verificata in un paese come la Norvegia.

    Civilissima, democraticissima, accoglientissima. Sono solo alcuni dei superlativi utilizzati da giornali e televisioni per significare come sia difficile anche soltanto immaginare che una tragedia delle proporzioni di quella di Oslo possa essersi verificata in un paese come la Norvegia.

    Sempre i nostri mezzi di informazione si lasciano volentieri sconcertare da tragedie se non simili nelle proporzioni certamente per aspetti e dinamiche, per via degli ambienti umani in cui maturano, per i tratti psicologici di frange non così marginali della popolazione che mettono in luce. Eppure il giallo scandinavo, nel suo quantitativo tracimare, la dice lunga sulla malattia esistenziale che percorre quelle società e che si manifesta in tanti “sintomi” che soltanto un punto di vista esclusivamente economicistico non riesce a cogliere: dai tassi di suicidio a quelli di abortività delle minorenni quei paesi sono all'avanguardia, sarà mica un caso.
    Ma anche sull'accoglienza. Oggi la Norvegia, ieri la Svezia o la Finlandia… l'apoteosi della Scandinavia. Accoglientissime tutte. Che esagerazione, che mancanza di misura. E che provincialismo desideroso di mostrare quanto sono magnifiche e progressive le sorti degli altri a confronto delle nostre, miserelle e pure involute.

    Si leggessero qualche dato, ogni tanto.
    Perché non basta pubblicarli a paginate, i dati vanno richiamati quando servono. Così sull'accoglientissima. E sulla conseguente retorica della società apertissima (altro superlativo utilizzato). Ma insomma, aperta quanto? E quanto più dell'Italia? E dico Italia perché si leggeva senza alcuna fatica, dietro ogni parola che incensava la civilissima società aperta norvegese, il paragone implicito con la retrograda Italia. Cosicché uno, leggendo e ascoltando, pensava: oddio, laggiù è tutto un coltivare immigrazione e integrazione mentre quaggiù stiamo ancora alla guerra ai clandestini, ai respingimenti, o poveri noi, o povera Italia.

    Dicono dunque questo i dati? Neppure per sbaglio. Dicono che nella penisola scandinava, con circa venti milioni di abitanti, ci sono un milione di immigrati residenti o poco più. Mentre sul suolo italico, calpestato da sessanta milioni di individui, ce ne sono quasi quattro milioni e mezzo. Risultato: cinque immigrati residenti ogni cento abitanti nella penisola scandinava, sette virgola cinque ogni cento abitanti in Italia, il cinquanta per cento in più. E laggiù sono ricchi come Creso. E hanno a disposizione spazi infiniti. E materie prime da sfruttare che da noi figurati. Dal che si deduce che accoglientissimi siamo semmai noi, e pure apertissimi, visto e considerato che sono gli scandinavi a controllare i flussi migratori in entrata ben più di quanto non facciamo in Italia. E' la statistica, bellezza. Mica il pregiudizio.