Caro Bersani, noi ti diamo il beneficio del dubbio ma tu raccontala tutta
Più che la rabbia, colpisce nel discorso di Pier Luigi Bersani l'accesso di veterocomunismo. Chiunque sia stato anche un po' in quel partito sa che è sempre stato abitato da una doppia morale: secondo cui il ladro è un borghesuccio farabutto che agisce per il proprio esclusivo tornaconto per cupidigia e perciò va condannato, invece chi contribuisce al finanziamento di un partito è moralmente diverso – e superiore – perché serve una ragione sociale collettiva.
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Più che la rabbia, colpisce nel discorso di Pier Luigi Bersani l'accesso di veterocomunismo. Chiunque sia stato anche un po' in quel partito sa che è sempre stato abitato da una doppia morale: secondo cui il ladro è un borghesuccio farabutto che agisce per il proprio esclusivo tornaconto per cupidigia e perciò va condannato, invece chi contribuisce al finanziamento di un partito è moralmente diverso – e superiore – perché serve una ragione sociale collettiva. Insomma una cosa è una volgare villa al mare o la barca, un'altra il compagno G. Purtroppo non è così. Chi ruba per sé pecca in modo banalmente umano, è socialmente isolato e in generale dovrebbe essere rapidamente scoperto e punito. Al contrario chi viola la legge o fa operazioni al limite della legalità per finanziare un partito è parte di un insieme per definizione opaco e portato a occupare tutti gli interstizi della cosa pubblica. A differenza del ladro, non conta su un pugno di complici ma sulla protezione implicita e determinata di centinaia di migliaia di sodali, accomunati dall'appartenenza politica e cementati dall'ideologia. D'evidenza, è per una democrazia una rogna molto più complicata.
Con tutto il beneficio del dubbio e della presunzione d'innocenza, gli affari venuti alla luce e ruotanti attorno all'ex sindaco di quella che un tempo era davvero la Stalingrado d'Italia hanno verosimiglianza nel metodo e una sinistra credibilità di sistema.
Pier Luigi Bersani è stato presidente dell'Emilia Romagna, conosce appieno i tanti meriti e le faglie del movimento cooperativo cresciuto all'ombra del partito. Per avere sempre considerato legittime e sacrosante le intenzioni di Unipol di scalare una banca nazionale e persino normale, semmai un piccolo peccato da parvenu, quel “allora abbiamo una banca?” che sembrava coronare i sogni di emancipazione dei Fassino e dei D'Alema, crediamo di essere in diritto di ascoltare ben altro dalla bocca del segretario dei democratici. La commistione fra politica e affari non è un problema da poco, da anni affligge tutte le democrazie avanzate. Non c'è presidente americano, cancelliere tedesco, premier inglese o presidente francese su cui non sia aleggiato più di un sospetto. Proprio perché in Italia il fenomeno ha dimensioni patologiche, chi la vuole governare domani dovrebbe dire qualcosa di meno indignato nella forma e meno palloccoloso nel merito. Dovrebbe avere il coraggio di prendere le distanze dal finanziamento pubblico dei partiti e dalle sciagurate norme che lo regolano: i Radicali ne fecero materia per un referendum che fu votato massicciamente dagli italiani, non ne conosco uno che da allora abbia cambiato idea. Dovrebbe dire ad esempio se non sia di gran lunga preferibile il finanziamento privato fiscalmente deducibile, visto che non siamo più negli anni Cinquanta e anche la sinistra ha i suoi industriali e i suoi banchieri.
Avremmo voluto vederlo andare contro lo spirito nauseabondo del tempo, difendere lo scambio tra potere e denaro perché di questo è fatta la politica moderna e non di quella cosa evanescente e anemica di cui parla Eugenio Scalfari. Sentire una sua arringa sull'importanza delle lobby in democrazia, sul loro riconoscimento e sull'introduzione di regole chiare di funzionamento, se non vogliamo un paese da cabala che scivoli da una P all'altra in serie. E magari una bella proposta di legge sugli appalti pubblici. Insomma un po' di America che la politica spettacolo l'ha inventata e qualche anticorpo l'avrà pure trovato. Che non è certo sanzionare i partiti che non presentano bilanci in ordine. E nemmeno fare un'azione collettiva in nome del buon nome e dell'orgoglio ferito.
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