Poetica del braccio destro
Poi, va a finire che uno certe cose se le ritrova. E non sempre fa piacere. Così, se nel 2009 trionfante appariva, a chi tale doveva apparire, la notizia sul Corriere della Sera (“Sarà Penati il braccio destro di Bersani”), e successivi mesi di gloria politica sempre sul quotidiano di via Solferino (“Intervista a Penati, braccio destro di Bersani: Vendola cambi atteggiamento, bisogna battere il Pdl”), adesso che Penati ha il suo da fare per sbrogliarsi da accuse mica da poco, così da far scattare la titolazione al Fatto.
Poi, va a finire che uno certe cose se le ritrova. E non sempre fa piacere. Così, se nel 2009 trionfante appariva, a chi tale doveva apparire, la notizia sul Corriere della Sera (“Sarà Penati il braccio destro di Bersani”), e successivi mesi di gloria politica sempre sul quotidiano di via Solferino (“Intervista a Penati, braccio destro di Bersani: Vendola cambi atteggiamento, bisogna battere il Pdl”), adesso che Penati ha il suo da fare per sbrogliarsi da accuse mica da poco, così da far scattare la titolazione al Fatto (“‘Corruzione e concussione', indagato Penati, braccio destro di Bersani”), è inteso e logico che i giornali presentino e ripresentino lo stesso – mediaticamente inguaiato – come “il braccio destro di Bersani”.
Che sempre si vorrebbe esser monchi, e pure ciechi a un occhio, in certi frangenti giornalistici e giudiziari. Perché poi un “braccio destro” che protegga e provveda, tanto per il bene quanto per il male, va a finire che tutti ce l'hanno, come certi il profilo su Facebook – e pochissimi, invece, hanno la soddisfazione di cavarne, a onor di cronaca, onore politico. E' una stagione, questa sorta di estate monsonica, dove avvisi di garanzia piovono a cascata – e tanti dicono che tanti ne verranno. Nuvoloni all'orizzonte, “è arrivata la bufera / è arrivato il temporale / chi sta bene e chi sta male” – c'è un pigolìo di fondo, come un lamentoso coro greco, altro che il trotterellante Renato Rascel, che dall'ombra annuncia sciagure. Sarà la stagione, c'è da pensare, che vedrà il trionfo (mediatico e non gradito), e quindi il successivo tonfo, del mito del “braccio destro”. Ovunque cala lo sguardo, ora un “braccio destro” pare levarsi – non fortunatamente quale fascistico saluto, piuttosto come pittoresco contorno del leader finito (con ragione o con gran torto) nell'occhio del ciclone. Più delle bancarelle dei cocomerari, le “braccia destre” sotto il solleone italico del 2011. Più degli ombrelloni sulle spiagge. Più delle macchine dei vacanzieri ai caselli autostradali – e senza qui voler stare a rimestare sull'epica e sui dubbi della Milano-Serravalle. Se quasi sempre, a legger le cronache, “braccio destro” pare deprecabilmente far rima con lesto, persin troppo lesto, ignoto e lesto – oh, nulla io sapevo! oh, molto codesta cosa mi sorprende! – giorno verrà che l'essere “braccio destro” ritornerà a condizioni di più elevata riconsiderazione.
Ma il momento è questo: di Filippo Penati e Bersani, appunto; e sul fronte opposto di Marco Milanese, ardito e tonico ex delle Fiamme Gialle che ora rischia di fare falò dell'intelligente e avveduto (“notoriamente tanto prudente da rasentare l'isteria”, scrivono le gazzette antipatizzanti) suo ministro, costretto a scendere dalle vette del globalismo e del mercatismo suicida alle steppe immobiliari del Pio sodalizio dei Piceni. Che così nel titolo ritraeva e dettagliava, a sovrastare un già dettagliatissimo articolo, l'Espresso qualche settimana fa: “La resistibile ascesa di Marco Milanese, braccio destro di Tremonti. Da finanziere a regista delle nomine. Le barche. Le auto. I gioielli. I viaggi. Le ricche consulenze”. E al contrario l'altro giorno sintetizzava Dagospia: “Il braccio mal-destro”. Magari ci sono di quelli che, quasi sempre facendo di necessità poca virtù, aspirano a essere una sorta di François Leclerc du Tremblay – “braccio destro” del cardinale Richelieu, “L'eminenza grigia” magnificamente ritratta da Aldous Huxley: il prototipo, magari e potendo, del “braccio destro” più utile e di maggior scaltrezza del nostro universo politico: Gianni Letta accorto (e non poche volte disperato) badante dello scrosciante Berlusconi, e non a caso cronisticamente omaggiato dell'appellativo di “Eminenza Azzurrina”. Ma malamente quasi sempre aspirano, tra il peccato soggettivo della propria vanità e quello oggettivo dell'eccessiva disponibilità ai voleri padronali. Che il “braccio destro”, disgraziatamente, certi leader e in certi casi finiscono col tramutare in mano lesta. Un vero “braccio destro” dovrebbe annusare il baratro e preservare da ogni possibile precipizio il capo che lo ha unto e alla bisogna consacrato.
“Guardi, sta per fare una cazzata…”: ma pochi sono in grado di dirlo (e forse, di nuovo, l'eccezione è Letta), pochissimi amano sentirselo dire. Se vasta è la vanità che spesso accende le passioni del “braccio destro”, sconfinata è invece quella del leader che lo sovrasta. Tutti papisti, a un certo punto, come Pio XII quando (e di quanta gloria era pure circondato, altro che burocrazie ministeriali) s'impuntava con la Curia: “Non voglio collaboratori, voglio esecutori!”. Ma perlomeno il Pontefice si diceva di suo assistito (che così fosse, poi, è altro conto, e piuttosto difficile da tirare) quanto meno divinamente.
Nelle nostre miserie terrene, tutt'altra storia. Così a spulciare le cronache e i verbali di questa estate dello scontento, a quasi nessuno un “braccio destro” si nega e quasi ognuno “braccio destro” altrui appare. E così – citando qua e là – rispunta Bruno Binasco, “braccio destro di Gavio”, e l'onorevole Alfonso Papa, dalla trincea franante di Montecitorio consegnato a una cella di Poggioreale, nei primi resoconti appariva quale “braccio destro di Luigi Bisignani”, pur se nelle sue successive conversazioni con i magistrati dello stesso dice che “ha tramato contro di me”. E identica valutazione, per un'accidentata e tremenda deviazione dalla politica alla cronaca, ma è cronaca che sempre alla politica torna, nella brutta faccenda del San Raffaele, con con quel colpo di rivoltella in quelle stanze da dove si pensava di allungare la vita quasi in termini biblici: “Si spara il braccio destro di don Verzé” (Corriere). Figura sempre sfuggente, quella del “braccio destro”, e ancor di più impallidita e infrollita da quando con la fine dei partiti politici – quelli dove esserci o non esserci non era esattamente la stessa cosa – si è passati dal “braccio destro” del militante per la causa a quello del semplice fedele all'umana sorte. Fedeltà momentanea, peraltro. Dovrebbe vedere e non farsi vedere, riferire e non chiacchierare, spegnere i fuochi e non accenderli. E' l'ideale racchiuso nell'ammonimento (certo pavido, pur in delicate condizioni necessario) del Conte Zio all'irruente Fra' Cristoforo: “Sopire e troncare, troncare e sopire…”. Fosse pure un tantino balbuziente, il “braccio destro” potrebbe risultare davvero ideale.
Che appunto, alla fine “braccio destro” è definizione vaga, assolutamente imprecisa, fatalmente indefinita. Non avendo né codificazioni né certificazioni, la qualifica tocca a segretari o tirapiedi, colleghi politici o amanti, portavoce o portaborse. Ci sono carriere politiche che sbocciano come “braccio destro” fino a trionfalmente concludersi con l'ascesa sul trono del vecchio capo: come fu per Ciriaco De Mita con Fiorentino Sullo – e come non fu, infine, per Clemente Mastella con il suo mentore Ciriaco, ferocemente effigiato quale “sessantenne con la minigonna”, cadenti le cosce e cadente il potere. Il “braccio destro” insieme sostanza e metafora di ogni rapporto politico, tra il gerarchico e la complicità, tra l'amicizia e il privato servizio, tra la fedeltà ribadita e quella rinnegata – così da rendere un paradossale onore alla verità contenuta nel Vangelo di Matteo: “Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra”, e appunto nulla so!, nulla sapevo!, nulla immaginavo! E' il (possibile) tradimento, in fondo, la carica adrenalinica che ogni rapporto col proprio “braccio destro” motiva e fortifica. Bordeggiare l'orlo dell'abisso (politico, ma persino esistenziale), in certi momenti della vita, e sentirsi spinti nel vuoto da chi il suo braccio doveva offrire per proteggere anziché per ridurlo all'indice accusatore. E' in quella sottile striscia di centimetri, tra il possibile trionfale ritorno nel campo arioso delle sicurezze e il definitivo precipitare nel vuoto soffocante dove tutto va in gioco e tutto si perde, che il rapporto tra capo e gregario, corpo e “braccio destro”, ha ragione e ha insieme perdizione. Rapporto a suo modo quasi incestuoso – di reciproca convenienza in attesa di mutare in rapporto di lotta: lupo contro lupo prima, poi branco contro branco, quando brama “il braccio destro” d'essere l'intero corpo. Mai sarà, come nelle leggende mongole, che il Lupo Grigio-blu e la Cerbiatta Selvatica finiscano con l'accoppiarsi per insieme generare la “razza di ferro”: chi si ritroverà Cerbiatta dovrà o soccombere o fuggire.
Un momento, quello della resa dei conti, che inevitabilmente arriva. Pochi fortunati rapporti – di tale gerarchia, di tale complicità – si consumano nella fedeltà assoluta, nel bene e nel male, finché morte non separerà così diverse sorti. E' chiaro che molto poi dipende dai politici che il “braccio destro” serve. Uno spernacchiato ministro attuale è un conto, altro erano Andreotti o Craxi, Moro o Togliatti. Eppure, anche in quel caso, ci fu la fede e ci fu la lotta.
Ma infine, ogni storia è storia a sé. Se Andreotti fu il più simbolico “braccio destro” della Prima Repubblica, quando De Gasperi lo incontrò nella Biblioteca vaticana dove cercava documenti sulla Marina del Papa, e saggiamente gli domandò: “Scusi, ma non ha niente di meglio da fare?” – e fu simbolico “braccio destro” che si mutò in simbolo stesso dell'immutabile potere (e Montanelli pose l'esatta gerarchia che deve esistere tra un leader e il suo, al momento, attendente: “Vanno tutti e due in chiesa, ma De Gasperi parlava con Dio e Andreotti parlava col prete” – ché appunto i sacrestani votano, come il pratico Giulio ebbe a far notare). Da incarnazione del potere, singolare sorta ebbe Andreotti di diverse “braccia destre”: una dea Kali democristiana dalle molte membra, Sbardella e Pomicino, Lima e Franco Evangelisti. E fu proprio con quest'ultimo – certo tra i tanti il suo “braccio destro” di più lungo corso, e al momento della morte omaggiato dal Corriere come “camerlengo di Andreotti” – che l'antico capo ebbe un duro scontro su certi presunti incontri con il generale Dalla Chiesa per le carte di Moro: “Franco forse li ha sognati”. Sono dinamiche – e a leggere le cose di questi giorni qualcosa s'intuisce, pur se nulla per ora si chiarisce – curiose, complesse, tortuose. E comunque un vero “braccio destro”, non il mutevole spiacciafaccende né l'opportunista del momento, ha davanti a sé il capo quasi nella sua nudità – e spaventi e paure e rabbie. Uno sguardo particolare, un penetrare la penombra impenetrabile dal di fuori. C'è una straordinaria, vecchia intervista a Sereno Freato, che di Aldo Moro fu “braccio destro”, al Giornale di Brescia che bene spiega tutto questo. Anima “nera”, secondo altri democristiani, dello statista assassinato dalle Br, che ebbe i suoi guai negli anni dello scandalo dei petroli (“Venni arrestato, mi feci quindici mesi di prigione in cinque prigioni diverse, niente arresti domiciliari. Fui assolto in primo, secondo e terzo grado. Questa è la storia”). E (anche) questo è Moro, nel suo racconto: “Moro che tremava in volo… che dormiva con la luce accesa… che sognava di costruire una biblioteca al piano terra e sotto una piscina, nella sua casa di Torrita Tiberina… Moro che odiava stringere le mani delle persone e aveva sempre una bottiglia di alcol pronta in auto per disinfettarsi… Moro che spariva due mesi, malato di un male strano… Moro che nuotava benissimo con un costume nero, ridicolo, da primo Novecento… Moro che carburava intorno a mezzanotte e teneva tutti sotto con un'energia incredibile, senza cibo né acqua perché avrebbe dovuto comunicarsi, digiuno, a messa prima…”. Oppure Massimo D'Alema visto dal suo “braccio destro” Nicola Latorre: “Non è certo un uomo fragile, però è una persona molto tenera”. E pure D'Alema ha mostrato una certa larghezza di vedute, sulla faccenda, così che se Latorre è adesso il suo “braccio destro” ufficiale, qua e là ne spuntano di diversi – perciò il Giornale può intervistare Gianni Cuperlo presentandolo come “l'ex braccio destro di D'Alema”. Per non dire della sorte toccata a Craxi: ancora adesso è un meravigliato fiorire di “braccia destre” che si vedono (quasi sempre) sbirrescamente rinfacciata l'antica consuetudine. Se Giuliano Amato parla, è sempre “l'ex braccio destro di Craxi” a prendere la parola – memorabile un comunicato del Pmli, marxisti-leninisti di fervida fantasia stilistica: “Rovesciamo il governo Amato, antico nemico dei lavoratori, ex braccio destro di Craxi, teorico e realizzatore della Seconda Repubblica”. Nonché, già che ci siamo, “capitalista, neofascista, presidenzialista”. E infiniti altri, fino a Claudio Martelli, quello autorizzato ad aprire il “frigo di casa” – e che alla fine con lo scalpo politico dell'antico capo pensava di rendere ai socialisti l'onore perduto. Niente passa, tutto viene riciclato. E a Radio Padania, ecco gli ascoltatori che vanno all'assalto: “Il braccio destro di Berlusconi, Cicchitto, era il braccio destro di Craxi!”.
Ogni storia è comunque storia destinata alla consumazione, da consegnare al silenzio o alle cronache, certe altre volte ai verbali d'interrogatorio. Ci fu pure l'immagine di un “braccio destro”, quello di Forlani, il mite Enzo Carra, con gli schiavettoni ai polsi – e “braccio destro” forlaniano era in fondo, e benissimo a suo modo lo è stato, Casini… Ma qui è ancora storia, o quasi. Faccenda pertanto conclusa. Piuttosto, è nel vortice che sta per avvolgere l'intera politica, nelle spire che stringeranno eventi e segreti e paure, che infinite altre “braccia destre” verranno ad affollare l'orizzonte – persino “il braccio destro di Penati” giornalisticamente è già affiorato. Due anni fa, Giulio Santagata, che di Prodi fu “braccio destro”, appunto un libro sull'argomento scrisse, ovviamente intitolato “Il braccio destro” (Pendragon): a volerci ricamare sopra, quasi una beffarda, fantastica storia infinita. Che per quelle terre la gloria si sfiora, ma a non saperla ben maneggiare la rovina propria e altrui avvicina. O resta un brandello d'onore o si passa a far la parte di “Sgrinfia, il braccio destro di Gambadilegno” – però omaggiato come “un mito” sulla sua pagina Facebook.
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